Walter Peruzzi, dal sito http://www.cattolicesimo-reale.it/, 14 luglio 2009
Se col Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica era parsa riconoscere
l’esistenza di valori morali, istanze sociali e aspirazioni umane condivisibili
da credenti e non credenti in virtù della comune ragione, oggi una
tale apertura, in verità anche allora solo intenzionale, è
stata del tutto abbandonata per tornare alla posizione tradizionale per
la quale nessun valore è tale se non è “cristiano” (che per
il papa vuol dire cattolico), la ragione in tanto vale in quanto è
purificata dalla fede e l’uomo niente può senza Dio (cioè
la Chiesa dato che, come spiegava Pio XI, “il rappresentante delle idee,
dei pensieri e dei diritti di Dio non è che la Chiesa”).
Questa visione fondamentalista, secondo cui a guidare anche la vita
politica, l’economia e la società deve essere la dottrina cattolica
(i fondamentalisti islamici direbbero la legge coranica), ha trovato forse
la più compiuta espressione nella terza recentissima enciclica di
Benedetto XVI.
IL CRISTIANESIMO INDISPENSABILE ALLO SVILUPPO SOCIALE
La Caritas in veritate, dedicata alla questione sociale, prende le
mosse dalla Populorum progressio di Paolo VI, vista come la Rerum novarum
dell’età contemporanea e letta, contro i cattolici progressisti,
in continuità con la tradizione (“non ci sono due tipologie di dottrina
sociale, una preconciliare e una postconciliare, diverse tra loro, ma un
unico insegnamento, coerente e nello stesso tempo sempre nuovo”).
Ma se la Rerum Novarum, si proponeva di opporre la dottrina sociale
della Chiesa ad una specifica teoria, il comunismo materialista e ateo,
Ratzinger si spinge oltre negando, fin dalla apertura dell’enciclica, qualsivoglia
dottrina, teoria o pratica che non siano illuminate dal cristianesimo e
riducibili ad esso [i corsivi, qui e in seguito, sono nel testo papale]:
La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s’è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera. […] Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. […] l’adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale. […]
Anche il richiamo alla Populorum progressio serve a Ratzinger per rendere più esplicita tale impostazione:
Pubblicando nel 1967 l’Enciclica Populorum progressio, il mio venerato
predecessore Paolo VI […] ha affermato che l’annuncio di Cristo è
il primo e principale fattore di sviluppo […] Solo con la carità,
illuminata dalla luce della ragione e della fede, è possibile conseguire
obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana e umanizzante
[…].Senza la prospettiva di una vita eterna, il progresso umano in questo
mondo rimane privo di respiro. […] lo sviluppo umano integrale [richiede]
una visione trascendente della persona, ha bisogno di Dio: senza di Lui
lo sviluppo o viene negato o viene affidato unicamente alle mani dell’uomo,
che cade nella presunzione dell’auto-salvezza e finisce per promuovere
uno sviluppo disumanizzato.
[…] Il Vangelo è elemento fondamentale dello sviluppo, perché
in esso Cristo, « rivelando il mistero del Padre e del suo amore,
svela anche pienamente l’uomo all’uomo ». […] La vocazione cristiana
a tale sviluppo riguarda dunque sia il piano naturale sia quello soprannaturale;
motivo per cui, « quando Dio viene eclissato, la nostra capacità
di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il “bene” comincia a svanire
».
Ne deriva che
[…] Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere
chi egli sia. […] La maggiore forza a servizio dello sviluppo è
quindi un umanesimo cristiano […] Al contrario, la chiusura ideologica
a Dio e l’ateismo dell’indifferenza, che dimenticano il Creatore e rischiano
di dimenticare anche i valori umani, si presentano oggi tra i maggiori
ostacoli allo sviluppo. L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo
disumano. Solo un umanesimo aperto all’Assoluto può guidarci nella
promozione e realizzazione di forme di vita sociale e civile — nell’ambito
delle strutture, delle istituzioni, della cultura, dell’ethos — salvaguardandoci
dal rischio di cadere prigionieri delle mode del momento.
[…] Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso
Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che
l’amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui procede l’autentico
sviluppo, non è da noi prodotto ma ci viene donato.
Quando l’uomo si presume autosufficiente e si crede capace di “produrre” il progresso anziché solo “riceverlo” da Dio, insiste Ratzinger, ossia se dimentica l’altra ossessione di questo papa, la realtà del peccato originale, dà vita a sistemi sociali e politici che conculcano la libertà e la giustizia:
[…] L’essere umano è fatto per il dono, che ne esprime ed attua la dimensione di trascendenza. Talvolta l’uomo moderno è erroneamente convinto di essere il solo autore di se stesso, della sua vita e della società. È questa una presunzione, conseguente alla chiusura egoistica in se stessi, che discende — per dirla in termini di fede — dal peccato delle origini. […] La convinzione di essere autosufficiente e di riuscire a eliminare il male presente nella storia solo con la propria azione ha indotto l’uomo a far coincidere la felicità e la salvezza con forme immanenti di benessere materiale e di azione sociale. […] A lungo andare, queste convinzioni hanno portato a sistemi economici, sociali e politici che hanno conculcato la libertà della persona e dei corpi sociali e che, proprio per questo, non sono stati in grado di assicurare la giustizia che promettevano. Come ho affermato nella mia Enciclica Spe salvi, in questo modo si toglie dalla storia la speranza cristiana, che è invece una potente risorsa sociale a servizio dello sviluppo…
E’ appena il caso di rimarcare quanto sia risibile e storicamente contraddetta la tesi di Ratzinger secondo cui l’umanesimo può favorire sviluppo, libertà e giustizia solo se è aperto alla dimensione della trascendenza e della speranza cristiana. Basta pensare infatti ai sistemi economici, politici e sociali messi in campo – nel nome di Dio, con la benedizione della Chiesa, “l’apertura alla trascendenza” e una grande abbondanza di “speranza cristiana” – quando, per dirla con Leone XIII, “la filosofia del Vangelo governava la società”, “la forza della sapienza cristiana e lo spirito divino erano penetrati nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli” e la società traeva da ciò “frutti inimmaginabili” (Immortale Dei, 1885), cioè ai tempi del feudalesimo, del Sacro Romano Impero e della servitù della gleba…
UN’IDEA METAFISICA DELLO SVILUPPO
In armonia con tale impostazione idealistica, che prescinde dai concreti processi storici e dalle cause materiali dei fenomeni umani, Benedetto XVI identifica i fattori che favoriscono o impediscono lo sviluppo soprattutto in quegli elementi di carattere spirituale o morale che stanno particolarmente a cuore alla Chiesa di Roma.
Per un vero sviluppo umano, sesso responsabile…
L’enciclica, in particolare, offre il destro a Benedetto XVI per rilanciare
la sua campagna contro l’aborto e in difesa dell’embrione, fatti passare
per elementi-chiave del “vero sviluppo”:
L’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo. Quando
una società s’avvia verso la negazione e la soppressione della vita,
finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie
per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo. Se si perde la sensibilità
personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre
forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono.
[...] Si assiste oggi a una pesante contraddizione. Mentre, per
un verso, si rivendicano presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario,
con la pretesa di vederli riconosciuti e promossi dalle strutture pubbliche,
per l’altro verso, vi sono diritti elementari e fondamentali disconosciuti
e violati nei confronti di tanta parte dell’umanità. Si è
spesso notata una relazione tra la rivendicazione del diritto al superfluo
o addirittura alla trasgressione e al vizio, nelle società opulente,
e la mancanza di cibo, di acqua potabile, di istruzione di base o di cure
sanitarie elementari in certe regioni del mondo del sottosviluppo e anche
nelle periferie di grandi metropoli.
Si noti, en passant, come nel “superfluo” rivendicato nei paesi ricchi
contro “l’essenziale” che manca a quelli poveri, Benedetto XVI affastelli
insieme il consumismo (su cui torna altrove) e rivendicazioni che nulla
tolgono ai paesi poveri e che occor portare avanti anche al loro interno,
come i diritti dei gay o delle coppie di fatto (cui si fa trasparente riferimento,
sapendo su quale dente batte la lingua papale, quando si parla di “presunti”
diritti o di “trasgressione e vizio”).
L’enciclica permette anche di spezzare una lancia in favore della famiglia
tradizionale indissolubile fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna
etc. etc. e contro la pianificazione delle nascite, con l’argomento che
la crescita demografica non aumenta le bocche da sfamare ma le braccia
da impiegare per lo sviluppo:
[…] Considerare l’aumento della popolazione come causa prima del
sottosviluppo è scorretto, anche dal punto di vista economico: basti
pensare, da una parte, all’importante diminuzione della mortalità
infantile e il prolungamento della vita media che si registrano nei Paesi
economicamente sviluppati; dall’altra, ai segni di crisi rilevabili nelle
società in cui si registra un preoccupante calo della natalità.
[...] La Chiesa, che ha a cuore il vero sviluppo dell’uomo, gli raccomanda
il pieno rispetto dei valori umani anche nell’esercizio della sessualità.
[…] La responsabilità vieta infatti sia di considerare la sessualità
una semplice fonte di piacere, sia di regolarla con politiche di forzata
pianificazione delle nascite. […] A tutto ciò si deve opporre la
competenza primaria delle famiglie in questo campo, rispetto allo Stato
e alle sue politiche restrittive, nonché un’appropriata educazione
dei genitori.
L’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza
sociale ed economica. Grandi Nazioni hanno potuto uscire dalla miseria
anche grazie al grande numero e alle capacità dei loro abitanti.
[…] gli Stati sono chiamati a varare politiche che promuovano la centralità
e l’integrità della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo
e una donna, prima e vitale cellula della società…
Il papa trova il modo di inserire l’appello per lui nevralgico della “difesa della vita” anche nel capitolo relativo alla difesa dell’ambiente:
[…] Per salvaguardare la natura non è sufficiente intervenire con incentivi o disincentivi economici e nemmeno basta un’istruzione adeguata. Sono, questi, strumenti importanti, ma il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società. Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale.
E, nel suo furore ideologico, Benedetto XVI non si accorge neppure della contraddizione in cui cade quando, dopo aver rivendicato il diritto alla vita e alla morte naturale, condanna il concepimento artificiale mentre si sta battendo per imporre leggi che tengano in vita “artificialmente” chi è ridotto allo stato vegetativo.
… e libertà di religione (quella vera)
Altri valori centrali per lo sviluppo umano sono, secondo il papa,
la libertà in fatto di religione e la messa in onore dell’etica
(sempre intendendo in primis la religione e l’etica “cristiane” cioè,
per lui, “cattoliche”):
C’è un altro aspetto della vita di oggi, collegato in modo molto
stretto con lo sviluppo: la negazione del diritto alla libertà religiosa.
[…] Di fatto, oggi spesso si uccide nel nome sacro di Dio, come più
volte è stato pubblicamente rilevato e deplorato dal mio predecessore
Giovanni Paolo II e da me stesso. Le violenze frenano lo sviluppo autentico
e impediscono l’evoluzione dei popoli verso un maggiore benessere socio-economico
e spirituale. Ciò si applica specialmente al terrorismo a sfondo
fondamentalista, che genera dolore, devastazione e morte, blocca il dialogo
tra le Nazioni e distoglie grandi risorse dal loro impiego pacifico e civile.
Va però aggiunto che, oltre al fanatismo religioso che in alcuni
contesti impedisce l’esercizio del diritto di libertà di religione,
anche la promozione programmata dell’indifferenza religiosa o dell’ateismo
pratico da parte di molti Paesi contrasta con le necessità dello
sviluppo dei popoli, sottraendo loro risorse spirituali e umane. Dio è
il garante del vero sviluppo dell’uomo, in quanto, avendolo creato a sua
immagine, ne fonda altresì la trascendente dignità e ne alimenta
il costitutivo anelito ad “essere di più”.
[…] Per questo motivo, se è vero, da un lato, che lo sviluppo
ha bisogno delle religioni e delle culture dei diversi popoli, resta pure
vero, dall’altro, che è necessario un adeguato discernimento. La
libertà religiosa non significa indifferentismo religioso e non
comporta che tutte le religioni siano uguali. Il discernimento circa il
contributo delle culture e delle religioni si rende necessario per la costruzione
della comunità sociale nel rispetto del bene comune soprattutto
per chi esercita il potere politico. Tale discernimento dovrà basarsi
sul criterio della carità e della verità. Siccome è
in gioco lo sviluppo delle persone e dei popoli, esso terrà conto
della possibilità di emancipazione e di inclusione nell’ottica di
una comunità umana veramente universale. « Tutto l’uomo e
tutti gli uomini » è criterio per valutare anche le culture
e le religioni. Il Cristianesimo, religione del « Dio dal volto umano
», porta in se stesso un simile criterio.
[…] La religione cristiana e le altre religioni possono dare il loro
apporto allo sviluppo solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica,
con specifico riferimento alle dimensioni culturale, sociale, economica
e, in particolare, politica. La dottrina sociale della Chiesa è
nata per rivendicare questo « statuto di cittadinanza » della
religione cristiana. La negazione del diritto a professare pubblicamente
la propria religione e ad operare perché le verità della
fede informino di sé anche la vita pubblica comporta conseguenze
negative sul vero sviluppo. L’esclusione della religione dall’ambito pubblico
come, per altro verso, il fondamentalismo religioso, impediscono l’incontro
tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell’umanità.
Libertà di religione e per le religioni, dunque, ma soprattutto
per quella “vera” che non va confusa con quelle false e abbassata al loro
livello – per dirla con Leone XIII e Pio XI. Solo la religione del “Dio
dal volto umano” ha quella possibilità di emancipazione e inclusione
dell’umanità intera che il potere politico dovrà valutare,
assicurando a tale religione, anzi proprio alla “dottrina sociale della
Chiesa”, non solo il diritto ad essere professata pubblicamente ma ad “operare
perché le verità della fede informino di sé anche
la vita pubblica”.
A questo punto riesce difficile capire in che cosa la concezione di
Benedetto XVI diverga dal “fondamentalismo religioso” che pure dice di
ripudiare. Forse per fondamentalismo lui intende l’imposizione della religione
con le armi, anziché solo con l’ordine dato ai parlamentari cattolici
di votare come Dio (la Chiesa) comanda…
La centralità dell’etica (cristiana)
Sulla stessa falsariga il papa rivendica la centralità per lo
sviluppo dell’etica. Non un’etica “qualsiasi” ma, anche in questo caso,
quella “cristiana”:
Rispondere alle esigenze morali più profonde della persona ha
anche importanti e benefiche ricadute sul piano economico. L’economia infatti
ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; non di un’etica
qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona. Oggi si parla
molto di etica in campo economico, finanziario, aziendale. […] È
bene, tuttavia, elaborare anche un valido criterio di discernimento, in
quanto si nota un certo abuso dell’aggettivo « etico » che,
adoperato in modo generico, si presta a designare contenuti anche molto
diversi, al punto da far passare sotto la sua copertura decisioni e scelte
contrarie alla giustizia e al vero bene dell’uomo.
Molto, infatti, dipende dal sistema morale di riferimento. Su questo
argomento la dottrina sociale della Chiesa ha un suo specifico apporto
da dare, che si fonda sulla creazione dell’uomo “ad immagine di Dio”, un
dato da cui discende l’inviolabile dignità della persona umana,
come anche il trascendente valore delle norme morali naturali. Un’etica
economica che prescindesse da questi due pilastri rischierebbe inevitabilmente
di perdere la propria connotazione e di prestarsi a strumentalizzazioni;
più precisamente essa rischierebbe di diventare funzionale ai sistemi
economico-finanziari esistenti, anziché correttiva delle loro disfunzioni.
Torna il declassamento a cittadini di serie B, tipico di tutti i regimi e le dottrine teocratiche, di quanti (e sono sempre di più con buona pace di papa Benedetto), non credono né in Dio né in un uomo creato a sua immagine e quindi prescindono dai due pilastri papali dell’etica economica.
Solitudine e Trinità
L’ottica spiritualistica e astratta con cui si guarda allo sviluppo
umano trova conferma in questo altro passo, che considera come una delle
più gravi povertà la “solitudine” derivante dal “rifiuto
dell’amore di Dio” ed esorta a superarla con relazioni interpersonali che
hanno nella Trinità il loro “divino modello”:
[…] Una delle più profonde povertà che l’uomo può
sperimentare è la solitudine. A ben vedere anche le altre povertà,
comprese quelle materiali, nascono dall’isolamento, dal non essere amati
o dalla difficoltà di amare. Le povertà spesso sono generate
dal rifiuto dell’amore di Dio, da un’originaria tragica chiusura in se
medesimo dell’uomo, che pensa di bastare a se stesso, oppure di essere
solo un fatto insignificante e passeggero, uno « straniero »
in un universo costituitosi per caso. L’uomo è alienato quando è
solo o si stacca dalla realtà, quando rinuncia a pensare e a credere
in un Fondamento.
[…] La creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza
nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più
matura anche la propria identità personale. Non è isolandosi
che l’uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri
e con Dio.[…] Ciò vale anche per i popoli. È, quindi, molto
utile al loro sviluppo una visione metafisica della relazione tra le persone.
[…] Il tema dello sviluppo coincide con quello dell’inclusione relazionale
di tutte le persone e di tutti i popoli nell’unica comunità della
famiglia umana, che si costruisce nella solidarietà sulla base dei
fondamentali valori della giustizia e della pace. Questa prospettiva trova
un’illuminazione decisiva nel rapporto tra le Persone della Trinità
nell’unica Sostanza divina. […] Anche le relazioni tra gli uomini lungo
la storia non hanno che da trarre vantaggio dal riferimento a questo divino
Modello.
SOTTOSVILUPPO E “ATTEGGIAMENTI DELL’ANIMA”
Su questo asse, teologico-metafisico e fondamentalista, Benedetto XVI
cerca di innervare una analisi critica dello sviluppo capitalistico o,
piuttosto, un dettagliato e più concreto elenco delle distorsioni,
contraddizioni, carenze, guasti di tale sviluppo – dalla delocalizzazione
alla disoccupazione, dall’impoverimento crescente all’aumento delle differenze
sociali alla condizione dei migranti. Critiche spesso corrette e puntuali,
intrecciate agli auspici di interventi radicali ma che, dato il rifiuto
d’ogni indagine sulle cause materiali del sottosviluppo e sui rimedi economici
e politici concreti da apportarvi, restano acqua fresca, ossia si riducono
a spiegare i guasti e a cercare di rimediarvi con cause e rimedi spirituali,
con “atteggiamenti dell’anima” inadeguati e superflui:
[…] Paolo VI nell’Enciclica Populorum progressio osservava che le cause del sottosviluppo non sono primariamente di ordine materiale. Egli ci invitava a ricercarle in altre dimensioni dell’uomo. Nella volontà, prima di tutto, che spesso disattende i doveri della solidarietà. Nel pensiero, in secondo luogo, che non sempre sa orientare convenientemente il volere. Per questo, nel perseguimento dello sviluppo, servono « uomini di pensiero capaci di riflessione profonda, votati alla ricerca d’un umanesimo nuovo, che permetta all’uomo moderno di ritrovare se stesso ». Ma non è tutto. Il sottosviluppo ha una causa ancora più importante della carenza di pensiero: è « la mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli ». Questa fraternità, gli uomini potranno mai ottenerla da soli? La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli. La ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità. Questa ha origine da una vocazione trascendente di Dio Padre, che ci ha amati per primo, insegnandoci per mezzo del Figlio che cosa sia la carità fraterna. Paolo VI, presentando i vari livelli del processo di sviluppo dell’uomo, poneva al vertice, dopo aver menzionato la fede, « l’unità nella carità del Cristo che ci chiama tutti a partecipare in qualità di figli alla vita del Dio vivente, Padre di tutti gli uomini » [53].
In conclusione sarebbero i cattivi sentimenti (mancanza di solidarietà, di fraternità, di riflessione) a produrre un nefasto modello di sviluppo e occorrerebbero i buoni sentimenti per superarlo e innescarne uno nuovo – la fraternità in primo luogo, cui però senza la fede non è dato arrivare. E si torna così al punto di partenza: il Vangelo, la carità nella verità cui si riduce la dottrina sociale della Chiesa, la fraternità cristiana, sono i fattori centrali dello sviluppo umano. Chiacchiere senza costrutto; utili tuttavia a Benedetto per confermare nella fede i “quattro gatti” che, secondo l’ex-vaticanista del Tg3, hanno ancora la pazienza di ascoltarlo…