Le elezioni del 2004 in India. Uno stop al neoliberismo

di Prabhat Patnaik, "la rivista del manifesto", N. 52, luglio-agosto 2004

Nel 1991 l'India, uno dei baluardi del dirigismo terzomondista fin dai tempi di Jawaharlal Nehru, si avventurò in una politica economica neoliberista, un mutamento di campo che all'epoca fu giudicato da un illustre economista della Banca mondiale «uno dei tre eventi più importanti del ventesimo secolo», insieme al crollo dell'Unione Sovietica e alla svolta della Cina verso le `riforme di mercato'. La causa immediata della svolta indiana fu una crisi della bilancia dei pagamenti legata a una combinazione di circostanze: la guerra del Kuwait e la decisione degli indiani non residenti di estinguere in tutta fretta i loro depositi presso le banche indiane. Ma si trattava in realtà di un problema marginale, che sarebbe stato possibile risolvere senza nessuna svolta epocale: il motivo reale del mutamento di rotta fu invece il fatto che le contraddizioni insite nella strategia dirigista, particolarmente manifeste in una situazione di crisi delle risorse fiscali, avevano messo lo Stato con le spalle al muro, e la borghesia, soprattutto alcuni suoi settori di più recente formazione, volevano adottare una politica neoliberista, verso la quale peraltro esercitavano forti pressioni le potenze imperialiste. Era stato il Partito del Congresso al governo ad avviare le riforme neoliberiste, e fu invece un governo guidato dal partito indù di destra, il Bjp 1, salito al potere nel 1998, a spingere all'estremo quelle stesse riforme.
A prima vista, questo fatto può sembrare sconcertante. Il Bjp è l'ala politica di una organizzazione fascista, il Rss, che si era formata negli anni '20 predicando un violento odio etnico nei confronti della minoranza musulmana. Non aveva svolto alcun ruolo positivo nella lotta di liberazione, dato che era sostanzialmente anti-musulmano più che anti-colonialista. Aveva partecipato attivamente alle violenze etniche che seguirono l'indipendenza e la spartizione del paese, e uno dei suoi seguaci era stato l'assassino del Mahatma Gandhi. Per quanto non vi fossero prove che collegassero l'organizzazione nel suo complesso a questo crimine, il Rss era stata messa al bando per un certo periodo di tempo, fino a che non si impegnò ad abiurare la sua linea politica. Aveva formalmente rispettato l'impegno, costituendo il Bjp come braccio politico, che adottava slogan opportunistici di ogni sorta, anche se l'obiettivo costante del Rss era sempre stato la costituzione di uno Stato indù. Come altre organizzazioni fasciste, anche il Rss aveva una sua destra estrema, contraria all'egemonia delle multinazionali e della finanza globale, e fautrice dello `swadeshi' o `capitalismo indigeno', il che rende piuttosto singolare l'adesione entusiastica al neoliberismo da parte del Bjp.
Ma il Rss/Bjp non è un'organizzazione religiosa fondamentalista come tante altre presenti in molti paesi mediorientali. Essa è di stampo prettamente fascista. Pur facendo appello ai sentimenti religiosi (la sua recente ascesa al potere è stata fortemente favorita dall'episodio della distruzione di una moschea del XVI secolo a Ayodhya, attuata con il pretesto che proprio in quel sito - dove si dice sia nato Rama, la divinità indù - doveva essere costruito un tempio), ha una forte connotazione tecnologica, con un ampio seguito tra benestanti professionisti di origine indiana che vivono negli Usa e altrove, che uniscono gli orientamenti conservatori della loro patria adottiva con un labile collegamento elitario alle loro `radici culturali' proprio attraverso il Rss. Forte della sua affinità di lunga data con Israele e quindi con gli Usa (soprattutto dopo l'11 settembre), il Bjp è subito salito sul carro trionfante del neoliberismo e ha conquistare una cospicua fetta di sostenitori tra i nuovi ricchi all'interno del paese, giovani professionisti in carriera (gli yuppies) e larghi strati della borghesia (oltre alla sua base tradizionale piccolo borghese). In questa situazione, all'interno del movimento l'estrema destra è stata messa a tacere senza difficoltà.
Nonostante tutti i suoi appelli e la propaganda su base etnica, il Bjp non è mai riuscito a ottenere più di un quarto dei voti totali del paese, poco meno del Partito del Congresso, e anche questo solo a seguito della disillusione della popolazione dopo i primi cinque anni di riforme neoliberiste. È riuscito a governare con l'appoggio di una serie di partiti regionali e di gruppi minori, a volte animati da uno spirito localistico di opposizione al Congresso, a volte allettati dall'offerta di assistenza finanziaria ai governi statali, in una situazione in cui gli stati erano stati sottoposti a una vera e propria torchiatura fiscale da parte del governo centrale, a volte irretiti dal fascino del potere, e a volte semplicemente perché volevano salire sul carro dei vincitori. Dal 1998 il Bjp è stato il leader incontestato del governo di coalizione (di 22 partiti) definito come Alleanza democratica nazionale (Nda). Era al potere e lo ha gestito con effetti devastanti.
In politica estera, si è registrato un secco allineamento agli Usa, e il governo ha addirittura accarezzato l'idea di inviare truppe in Iraq su richiesta americana, fino a che l'opposizione popolare di massa non l'ha costretto a desistere. Pur senza abbandonare ufficialmente il tradizionale appoggio dell'India alla causa palestinese, si è realizzata una maggior sintonia di sentimenti con Israele, e più di una volta si è giunti a parlare di un'asse India-Usa-Israele. Con il pretesto della lotta contro il terrorismo, sono state promulgate leggi eccezionali, in particolare la Legge per la prevenzione del terrorismo (Pota) che permette l'arresto senza possibilità di libertà provvisoria su cauzione e istituisce i tribunali speciali. I quadri del Rss prendevano di mira le minoranze, ovviamente i musulmani, ma anche i cristiani. Si è verificata una serie di aggressioni nei confronti dei missionari cristiani e si è richiesta una legge che impedisca le conversioni al cristianesimo. Le istituzioni a carattere culturale e pedagogico gestite dal governo venivano affidate a persone di scarsa esperienza, ma di provata fedeltà al Rss. Si è cercato di introdurre nelle scuole tutta una serie di libri di testo che reinterpretavano la storia indiana secondo gli orientamenti del Rss. Si è cercato perfino di introdurre a livello universitario corsi - di ispirazione chiaramente reazionaria - sull'astrologia e sulle pratiche dei sacerdoti bramini. I `comunisti' erano stigmatizzati in tutti i modi e qualsiasi opinione liberale contraria al Rss era tacciata di `comunismo'; ogni attività a livello culturale veniva guardata con sospetto. Il pittore e il produttore di teatro più famosi del paese, che si dà il caso fossero musulmani, sono stati fatti oggetto di aggressioni. Soprattutto, a partire dal febbraio 2002, a Gujarat si è scatenato un pogrom di massa contro i musulmani, organizzato con la connivenza del governo dello stato, che era ed è tuttora governato da un fedelissimo del Rss. Il pogrom era in apparenza una rappresaglia per l'uccisione di alcuni attivisti indù, ma la natura precisa di quell'assassinio è tuttora avvolta nel mistero. In breve, è stato sferrato un attacco senza mezzi termini contro la cultura pluralista del paese, i fondamenti laici della sua cittadinanza, e l'eredità storica della sua lotta contro il colonialismo.
Questa eredità è stata minata alle basi anche nel settore economico, con un deciso impegno sulla via del neoliberismo. Il decennio neoliberista degli anni '90 ha registrato una forte crisi deflattiva. La riduzione delle entrate fiscali, dovuta al taglio delle aliquote e agli `incentivi' fiscali per gli investimenti, l'aumento degli interessi sul debito pubblico e l'esclusione di principio dell'aumento del deficit pubblico (nonostante per gran parte di quel periodo si verificassero simultaneamente scorte alimentari indesiderate, capacità industriale non utilizzata crescita di riserve in valuta estera), hanno spinto i governi, sia a livello centrale che (per effetto del braccio di ferro con il governo centrale) a livello degli stati regionali a ridurre drasticamente le spese, soprattutto quelle nel settore sociale, le spese per gli investimenti, per lo sviluppo rurale, e per il finanziamento dell'assistenza ai non abbienti. Questa politica ha provocato un crisi strutturale (che non si è riusciti a superare neppure facendo condizioni di gran favore a tutte le multinazionali possibili), un degrado delle strutture della scuola pubblica e della sanità (a cui accedono soprattutto i poveri), e - in seguito alla riduzione del potere di acquisto, soprattutto nelle zone rurali del paese - la compressione della domanda interna.
Nonostante il fatto che, per la prima volta dai tempi dell'indipendenza, negli anni novanta il tasso di crescita della produzione dei cereali sia sceso al di sotto del tasso di crescita demografica, il crollo del potere d'acquisto era stato così drastico, soprattutto nelle zone rurali, che nel giugno 2002 il governo aveva accantonato ben 65 milioni di tonnellate di scorte di cereali, anche se va tenuto conto che la domanda pro capite di cereali nel suo complesso a quell'epoca era sceso ai livelli della vigilia della seconda guerra mondiale. Per liberarsi di queste scorte, il governo del Bjp ha venduto i cereali sul mercato internazionale a prezzi inferiori a quelli che pagavano gli indiani più poveri, nonostante che il livello anomalo delle scorte dimostrasse che le masse popolari pativano la fame.
La riduzione degli investimenti nelle infrastrutture, abbinata al taglio dei sussidi ai contadini, la quasi totale abolizione del regime di credito agevolato all'agricoltura e il crollo dei prezzi internazionali di molti prodotti agricoli in seguito alla nuova deregolamentazione decisa dal Wto, sono state le cause convergenti che hanno prodotto una crisi agraria su vasta scala, che in numerosi stati ha spinto al suicido migliaia di contadini, alcuni dei quali anche relativamente prosperi. Nella nuova situazione di liberalizzazione delle importazioni e di credito a tassi elevati, anche le piccole e medie industrie si trovarono di fronte al rischio di fallire. Nonostante una notevole espansione dei servizi informatici e della esternalizzazione di segmenti dei processi produttivi delle aziende (quella che adesso il candidato democratico alla presidenza degli Usa Kerry intende limitare), sia nei centri urbani che nelle zone rurali le possibilità di lavoro si sono molto ridotte. I lavoratori organizzati si sono trovati a fronteggiare una politica di drastica ristrutturazione (cosiddetti `pensionamenti volontari') e una forte riduzione dei poteri di contrattazione, con la Corte Suprema che addirittura deliberava contro il diritto di sciopero. Si cominciava a parlare apertamente della necessità di `introdurre flessibilità nel mercato del lavoro' (ben noto eufemismo per camuffare un attacco a tutto campo contro i lavoratori).
Si tratta di processi che si sono già verificati in molti paesi, e che a un osservatore esterno possono sembrare scontati, ma in India, con la sua lunga storia di dirigismo e la forte tradizione democratica ereditata da una lunga lotta contro il colonialismo, rappresentavano un cambiamento inimmaginabile, in particolar modo quando il governo del Bjp ha cominciato a vendere al settore privato le aziende pubbliche in attivo, a prezzi stracciati (alcune aziende sono state poi rivendute nel giro di settimane a un multiplo del prezzo di acquisto). Nel settore petrolifero, dopo la decolonizzazione e in seguito alla lunga lotta contro le `sette sorelle' e le agenzie imperialiste che agivano per loro conto (e anche questo, soltanto grazie all'aiuto ricevuto dall'Unione Sovietica) esisteva il controllo pubblico, ma si è cercato di privatizzare questo settore, con una prima tranche di azioni della Oil and Natural Gas Commission, azienda pubblica in forte attivo, che veniva comprata da prestanomi di Warren Buffet, noto finanziere californiano.
Contemporaneamente, anche in India si è verificato il boom della Borsa, le riserve in valuta estera si sono moltiplicate, segnando un incredibile record di 110 miliardi di dollari all'inizio di maggio2003, mentre la Banca Centrale faceva del suo meglio per tenere sotto controllo l'apprezzamento della valuta, in una situazione in cui l'India stava diventando una `area di parcheggio' dei dollari. Il traffico cittadino era perennemente intasato da auto importate, o assemblate sul posto, sintomo e simbolo della prosperità dei ceti superiori - che in India assommano ad alcuni milioni di persone - conquistata grazie ai nuovi indirizzi economici e continuamente enfatizzata dai mass media a livello sia internazionale che locale.
Ingannato da questa fase di espansione, sostenuta da numerosi sondaggi di opinione, il governo del Bjp ha deciso di indire elezioni anticipate e ha condotto una campagna all'insegna dello slogan `India Shining' [splendida India], e di una sensazione `Feel Good' [sentirsi bene] diffusa nell'aria. Al governo si è contrapposta una coalizione di partiti laici guidati in numerosi stati dal Partito del Congresso e dalla sinistra nelle sue roccaforti. L'alleanza tra queste due forze si è limitata a pochi stati, per quanto fosse scontato da tempo che la sinistra avrebbe appoggiato a livello centrale un governo laico. L'esito elettorale è stata una clamorosa disfatta per la coalizione guidata dal Bjp, di cui non si vedeva l'eguale dal lontano 1977, allorché Indira Gandhi subì una umiliante sconfitta alle elezioni che aveva indetto per legittimare il governo autoritario da lei imposto durante il periodo della `Emergenza' 2. Ancora una volta il popolo indiano si è dimostrato all'altezza della situazione. I recenti risultati elettorali dimostrano innanzitutto le salde radici della democrazia rappresentativa in India. Il semplice fatto che la popolazione di quello che è praticamente un intero continente si sia espressa a grande maggioranza in questo senso, quasi senza contatti fra le singole persone, nonostante l'apparente frammentazione sul piano linguistico, religioso, di casta ecc., e abbia votato senza tentennamenti contro tutto quello che i guru avevano propinato sull'«India Shining», è veramente un evento di portata immensa.
Tuttavia, gli elettori indiani non si sono pronunciati soltanto contro il Bjp, ma anche contro gli indirizzi di una politica neoliberista. Vale la pena di osservare che anche negli stati governati dal Congresso, come Karnataka e il Punjab, dove dettava legge la volontà della Banca mondiale o dell'Adb [Banca Asiatica per lo Sviluppo] e la disperazione dei contadini arrivava al suicidio, la popolazione ha votato contro il Partito del Congresso, così come aveva fatto pochi mesi prima nel Madhya Pradesh, rovesciando il governo di quel partito. In realtà, la tendenza a punire in sede elettorale i governi `riformisti' si era imposta fin dall'introduzione delle `riforme' neoliberiste nel 1991, ma questo dato aveva potuto essere sempre minimizzato e negato accampando questa o quella spiegazione specifica legata alla impopolarità del governo direttamente interessato. L'esito delle recenti elezioni, invece, rivela la realtà nuda e cruda. Non è sorprendente che il Partito del Congresso, sensibile agli umori popolari, si sia presentato con un manifesto elettorale in forte contraddizione con l'agenda neo-liberista che esso stesso aveva fattivamente contribuito a introdurre nell'economia indiana.
In realtà, le due caratteristiche salienti di queste elezioni sono state lo spostamento della posizione dichiarata del Partito del Congresso e la forte crescita della sinistra. Il manifesto del Partito del Congresso prevedeva di dare nuovo impulso agli investimenti pubblici, con priorità al settore agricolo, di rafforzare il sistema pubblico di distribuzione di cereali e di alcuni altri prodotti essenziali, di non privatizzare le aziende pubbliche in attivo e, soprattutto, puntava su un progetto di garanzia dell'occupazione che avrebbe assicurato un minimo di 100 giorni di lavoro all'anno ad almeno un membro di ogni nucleo familiare. Erano le rivendicazioni presentate dalla sinistra nei giorni più esaltanti del neoliberismo trionfante. Il fatto che le abbia fatte proprie il Partito del Congresso è sintomatico dell'umore popolare. Lo stesso discorso vale per la forte ascesa della sinistra, anche se limitata alle aree del suo più diffuso consenso.
La sinistra, costituita da una coalizione di quattro partiti, ha ottenuto 62 seggi in un Parlamento di 543, il suo miglior risultato di tutti i tempi. Ha virtualmente stravinto nei tre stati in cui è una forza importante, il Bengala occidentale, il Kerala e Tripur. Dato che era impossibile costituire un governo laico senza il suo appoggio, si riteneva che dovesse aderire al governo per dargli maggior solidità. Anche se questa posizione alla fin fine è stata respinta dal Comitato centrale del Partito comunista indiano (di matrice marxista), il più forte dei quattro partiti, e la sinistra ha deciso di limitarsi a dare al governo un appoggio esterno, il fatto più significativo è che un grandissimo numero di artisti, intellettuali e attivisti sociali, rappresentativi di tutto l'arco politico, dal gandhismo alla sinistra anarchica, alla socialdemocrazia ai movimenti progressisti vicini alle Ong, abbia letteralmente supplicato la sinistra di partecipare al governo. In molti casi si trattava di persone tradizionalmente ostili alla sinistra organizzata. Il fatto che, nonostante questa antica diffidenza, tutti questi soggetti chiedessero che la sinistra facesse parte del governo per difendere gli interessi delle popolazione, indica uno spostamento significativo nello schieramento delle forze sociali e politiche, e segna la nascita di un rapporto di tipo nuovo, di cui già le prime indicazioni si potevano notare nella partecipazione attiva della sinistra al Forum sociale mondiale di Mumbai 3.
Il nuovo governo si è costituito in base ad un Programma minimo comune, che, per quanto di gran lunga insufficiente rispetto agli obiettivi della sinistra, ha ricevuto il suo appoggio ed è stato accolto con favore nel paese. Il Programma rappresenta effettivamente un cambiamento di marcia rispetto al neoliberismo, in quanto riafferma con forza la centralità dell'intervento dello Stato per migliorare le condizioni di vita del popolo. Poco importa quali saranno le misure specifiche iniziali, se si rimarrà fedeli a questa percezione; inevitabilmente si attiverà una dialettica alternativa che si allontanerà dal percorso neoliberista.
Non deve sorprendere quindi che la finanza globalizzata non vedesse di buon occhio il Programma minimo comune. In questo momento, in realtà, l'India è un paese che testimonia di uno scontro tra la volontà popolare, che chiede di mettere fine alle politiche neoliberiste, e la spinta del capitale finanziario internazionale, e dei suoi rappresentanti nazionali, che insiste per portare avanti le `riforme' neoliberiste, con il grosso dei media anglofoni, sia elettronici che della carta stampata, che si schierano decisamente al suo seguito. Il capitale finanziario ha sparato il primo colpo, in questa sua lotta contro la volontà popolare, addirittura durante il processo elettorale (che in India dura diversi giorni), con il palese intento di influenzare il verdetto popolare. Allorché, dopo le prime tornate elettorali, gli exit polls avevano fatto intuire le difficoltà di un ritorno al potere del governo guidato dal Bjp, c'è stato un vero e proprio crollo in Borsa, e il Bjp non ha perso tempo nel chiedere voti in nome della stabilità finanziaria. Quando sono stati dichiarati i risultati finali, e la sinistra, senza la quale era impossibile costituire un governo, si è dichiarata contro il disinvestimento nei settori fondamentali e la svendita delle imprese pubbliche in attivo, c'è stato un nuovo crollo azionario, prontamente strumentalizzato dai mass media, che lo hanno presentato come l'inizio della catastrofe.
Era una montatura assurda dato che in India le quotazioni di Borsa incidono assai poco sulle decisioni di investimento delle imprese private, e tanto più sugli investimenti globali. Le cosiddette `perdite' legate al calo delle quotazioni di Borsa sono principalmente `perdite di carta', senza nessun impatto sulla ricchezza reale del paese; e in ogni caso soltanto lo 0,1% della popolazione del paese dispone di una qualche partecipazione azionaria. Ciononostante il blitz dei media è continuato implacabile: si è affermato che «l'intransigenza ideologica della sinistra» aveva bruciato capitali pari a mille miliardi di rupie. Imbaldanziti da tutto questo clamore, alcuni finanzieri hanno addirittura organizzato una dimostrazione contro il blocco della privatizzazione delle aziende del settore pubblico in attivo (come se fosse un loro diritto naturale impadronirsi delle proprietà del popolo!).
Una certa ripresa della Borsa c'è stata quando Sonia Gandhi - la leader del Congresso che è entrata in grande sintonia con le masse e praticamente da sola aveva portato alla vittoria il Partito, e che proprio per la sua `inesperienza' veniva considerata `favorevole ai poveri', ha lasciato a Manmohan Singh, l'artefice iniziale delle `riforme', la carica di primo ministro. Ma poi, quando il Programma comune è stato reso di dominio pubblico, si è verificato un ennesimo crollo in Borsa. Il nuovo ministro delle finanze Chidambaram, anch'egli con un passato `riformista', ha fatto del suo meglio per rassicurare il capitale finanziario, finora con risultati incerti. La fuga di capitali non costituisce ancora un problema, ma non passa giorno senza che i mass media facciano circolare storie terrorizzanti, chiamando pesantemente in causa il Programma comune.
A questo punto l'interrogativo è: quale sarà l'esito di questo scontro? In quale direzione sta andando l'India? Il fatto che il governo dipenda dall'appoggio della sinistra scongiurerebbe l'eventualità di un suo completo voltafaccia rispetto agli impegni sanciti nel Programma comune in materia di politica economica. Anche se la sinistra ha assicurato il suo appoggio al governo per i cinque anni della legislatura, è improbabile che il governo voglia sfruttare tale impegno per portare avanti un programma neoliberista. Il risultato minimo che potrà essere conseguito a breve termine, perciò, è un congelamento delle `riforme' con l'approvazione di alcune misure per alleviare le difficoltà della popolazione, come è stato annunciato, ad esempio, dal nuovo governo dell'Andhra Pradesh, dopo la sconfitta del precedente regime molto amato dagli imperialisti. E certamente, si potrà fare molto per eliminare l'influenza funesta del fascismo etnico nell'ambito dell'istruzione, cancellare la Legge per la prevenzione del terrorismo dai codici vigenti, introdurre leggi vincolanti contro l'istigazione alla violenza etnica, correggere i pregiudizi di politica estera del governo del Bjp e, in linea generale, restaurare le fondamenta laiche della struttura sociale.
In una prospettiva di più lungo termine è chiaro che l'adozione del programma neoliberista risultava in parte dal fatto che il vecchio dirigismo aveva condotto la borghesia in un vicolo cieco, il che limita decisamente la capacità della borghesia stessa di tracciare un nuovo corso che si allontani dal neoliberismo. La borghesia attuale non è quella della battaglia anticolonialistica, così come l'imperialismo attuale è ben diverso rispetto al colonialismo del passato. La borghesia attuale non è in grado di tracciare un percorso di sviluppo antimperialista, che pure potrebbe andare a suo vantaggio, e convincere molti dei suoi settori ad aderire al movimento per la svolta. L'impulso e la guida di questo percorso alternativo devono venire necessariamente dalla sinistra. In altri termini, gli sviluppi attuali in India segnano l'avvio di un processo - che sarà inevitabilmente lungo, tortuoso, e caratterizzato da fasi alterne - di polarizzazione della società in due fronti, uno filoimperialista, sostenuto dal Fondo monetario, dalla Banca mondiale, dall'alta finanza globalizzata e dalle multinazionali, e un altro antimperialista, guidato dalla sinistra ma che coinvolge elementi di varia estrazione. L'imminente sconfitta dell'imperialismo in Iraq dovrebbe creare spazi per il consolidamento del secondo fronte, ma la portata del suo eventuale successo è condizionata in tutto e per tutto dalla capacità della sinistra di liberarsi del settarismo e delle vecchie concezioni schematiche e di aggregare quanti più segmenti è possibile fra la forze sociali antimperialiste. Da qualche mese, in moltissimi paesi del Terzo Mondo - di cui l'India è l'esempio più recente - i popoli hanno respinto le politiche neoliberiste imposte dall'imperialismo. Ma diffusi fermenti antimperialisti si registrano ormai in tutto il Terzo Mondo. La sinistra ha l'obbligo di entrare in sintonia con questi, perché soltanto così potrà avvicinare quelli che sono i suoi obiettivi di fondo.

Note

1 Bharatiya Janata Party, nato dal Rashtriya Swayamsevak Sangh (più avanti citato con la sigla Rss) fondato nel 1925 (NdRM).
2 Nel periodo successivo al 1973, in seguito al diffondersi di violente rivolte nelle regioni più povere del paese e di estesi fenomeni di corruzione, il potere di Indira Gandhi fu messo in discussione e, colpita da un'accusa di brogli elettorali da parte della Corte Suprema, ne furono richieste le dimissioni. In risposta, nel 1975, Indira varò leggi eccezionali che sospendevano le garanzie costituzionali (NdRM).
3 Cfr. nel fascicolo di febbraio della «rivista del manifesto» (n. 47, p.11) il corsivo di lc (Luciana Castellina) che precede l'articolo di Bonaventura de Sousa Santos, Il movimento tra passato e futuro (NdRM).
Prabhat Patnaik insegna Politiche macroeconomiche al Centre for Economic Studies and Planning, alla Jawaharlal Nehru University, Nuova Dehli.