di Prabhat Patnaik, "la rivista del manifesto", N. 52, luglio-agosto 2004
Nel 1991 l'India, uno dei baluardi del dirigismo terzomondista fin dai
tempi di Jawaharlal Nehru, si avventurò in una politica economica
neoliberista, un mutamento di campo che all'epoca fu giudicato da un illustre
economista della Banca mondiale «uno dei tre eventi più importanti
del ventesimo secolo», insieme al crollo dell'Unione Sovietica e
alla svolta della Cina verso le `riforme di mercato'. La causa immediata
della svolta indiana fu una crisi della bilancia dei pagamenti legata a
una combinazione di circostanze: la guerra del Kuwait e la decisione degli
indiani non residenti di estinguere in tutta fretta i loro depositi presso
le banche indiane. Ma si trattava in realtà di un problema marginale,
che sarebbe stato possibile risolvere senza nessuna svolta epocale: il
motivo reale del mutamento di rotta fu invece il fatto che le contraddizioni
insite nella strategia dirigista, particolarmente manifeste in una situazione
di crisi delle risorse fiscali, avevano messo lo Stato con le spalle al
muro, e la borghesia, soprattutto alcuni suoi settori di più recente
formazione, volevano adottare una politica neoliberista, verso la quale
peraltro esercitavano forti pressioni le potenze imperialiste. Era stato
il Partito del Congresso al governo ad avviare le riforme neoliberiste,
e fu invece un governo guidato dal partito indù di destra, il Bjp
1, salito al potere nel 1998, a spingere all'estremo quelle stesse riforme.
A prima vista, questo fatto può sembrare sconcertante. Il Bjp
è l'ala politica di una organizzazione fascista, il Rss, che si
era formata negli anni '20 predicando un violento odio etnico nei confronti
della minoranza musulmana. Non aveva svolto alcun ruolo positivo nella
lotta di liberazione, dato che era sostanzialmente anti-musulmano più
che anti-colonialista. Aveva partecipato attivamente alle violenze etniche
che seguirono l'indipendenza e la spartizione del paese, e uno dei suoi
seguaci era stato l'assassino del Mahatma Gandhi. Per quanto non vi fossero
prove che collegassero l'organizzazione nel suo complesso a questo crimine,
il Rss era stata messa al bando per un certo periodo di tempo, fino a che
non si impegnò ad abiurare la sua linea politica. Aveva formalmente
rispettato l'impegno, costituendo il Bjp come braccio politico, che adottava
slogan opportunistici di ogni sorta, anche se l'obiettivo costante del
Rss era sempre stato la costituzione di uno Stato indù. Come altre
organizzazioni fasciste, anche il Rss aveva una sua destra estrema, contraria
all'egemonia delle multinazionali e della finanza globale, e fautrice dello
`swadeshi' o `capitalismo indigeno', il che rende piuttosto singolare l'adesione
entusiastica al neoliberismo da parte del Bjp.
Ma il Rss/Bjp non è un'organizzazione religiosa fondamentalista
come tante altre presenti in molti paesi mediorientali. Essa è di
stampo prettamente fascista. Pur facendo appello ai sentimenti religiosi
(la sua recente ascesa al potere è stata fortemente favorita dall'episodio
della distruzione di una moschea del XVI secolo a Ayodhya, attuata con
il pretesto che proprio in quel sito - dove si dice sia nato Rama, la divinità
indù - doveva essere costruito un tempio), ha una forte connotazione
tecnologica, con un ampio seguito tra benestanti professionisti di origine
indiana che vivono negli Usa e altrove, che uniscono gli orientamenti conservatori
della loro patria adottiva con un labile collegamento elitario alle loro
`radici culturali' proprio attraverso il Rss. Forte della sua affinità
di lunga data con Israele e quindi con gli Usa (soprattutto dopo l'11 settembre),
il Bjp è subito salito sul carro trionfante del neoliberismo e ha
conquistare una cospicua fetta di sostenitori tra i nuovi ricchi all'interno
del paese, giovani professionisti in carriera (gli yuppies) e larghi strati
della borghesia (oltre alla sua base tradizionale piccolo borghese). In
questa situazione, all'interno del movimento l'estrema destra è
stata messa a tacere senza difficoltà.
Nonostante tutti i suoi appelli e la propaganda su base etnica, il
Bjp non è mai riuscito a ottenere più di un quarto dei voti
totali del paese, poco meno del Partito del Congresso, e anche questo solo
a seguito della disillusione della popolazione dopo i primi cinque anni
di riforme neoliberiste. È riuscito a governare con l'appoggio di
una serie di partiti regionali e di gruppi minori, a volte animati da uno
spirito localistico di opposizione al Congresso, a volte allettati dall'offerta
di assistenza finanziaria ai governi statali, in una situazione in cui
gli stati erano stati sottoposti a una vera e propria torchiatura fiscale
da parte del governo centrale, a volte irretiti dal fascino del potere,
e a volte semplicemente perché volevano salire sul carro dei vincitori.
Dal 1998 il Bjp è stato il leader incontestato del governo di coalizione
(di 22 partiti) definito come Alleanza democratica nazionale (Nda). Era
al potere e lo ha gestito con effetti devastanti.
In politica estera, si è registrato un secco allineamento agli
Usa, e il governo ha addirittura accarezzato l'idea di inviare truppe in
Iraq su richiesta americana, fino a che l'opposizione popolare di massa
non l'ha costretto a desistere. Pur senza abbandonare ufficialmente il
tradizionale appoggio dell'India alla causa palestinese, si è realizzata
una maggior sintonia di sentimenti con Israele, e più di una volta
si è giunti a parlare di un'asse India-Usa-Israele. Con il pretesto
della lotta contro il terrorismo, sono state promulgate leggi eccezionali,
in particolare la Legge per la prevenzione del terrorismo (Pota) che permette
l'arresto senza possibilità di libertà provvisoria su cauzione
e istituisce i tribunali speciali. I quadri del Rss prendevano di mira
le minoranze, ovviamente i musulmani, ma anche i cristiani. Si è
verificata una serie di aggressioni nei confronti dei missionari cristiani
e si è richiesta una legge che impedisca le conversioni al cristianesimo.
Le istituzioni a carattere culturale e pedagogico gestite dal governo venivano
affidate a persone di scarsa esperienza, ma di provata fedeltà al
Rss. Si è cercato di introdurre nelle scuole tutta una serie di
libri di testo che reinterpretavano la storia indiana secondo gli orientamenti
del Rss. Si è cercato perfino di introdurre a livello universitario
corsi - di ispirazione chiaramente reazionaria - sull'astrologia e sulle
pratiche dei sacerdoti bramini. I `comunisti' erano stigmatizzati in tutti
i modi e qualsiasi opinione liberale contraria al Rss era tacciata di `comunismo';
ogni attività a livello culturale veniva guardata con sospetto.
Il pittore e il produttore di teatro più famosi del paese, che si
dà il caso fossero musulmani, sono stati fatti oggetto di aggressioni.
Soprattutto, a partire dal febbraio 2002, a Gujarat si è scatenato
un pogrom di massa contro i musulmani, organizzato con la connivenza del
governo dello stato, che era ed è tuttora governato da un fedelissimo
del Rss. Il pogrom era in apparenza una rappresaglia per l'uccisione di
alcuni attivisti indù, ma la natura precisa di quell'assassinio
è tuttora avvolta nel mistero. In breve, è stato sferrato
un attacco senza mezzi termini contro la cultura pluralista del paese,
i fondamenti laici della sua cittadinanza, e l'eredità storica della
sua lotta contro il colonialismo.
Questa eredità è stata minata alle basi anche nel settore
economico, con un deciso impegno sulla via del neoliberismo. Il decennio
neoliberista degli anni '90 ha registrato una forte crisi deflattiva. La
riduzione delle entrate fiscali, dovuta al taglio delle aliquote e agli
`incentivi' fiscali per gli investimenti, l'aumento degli interessi sul
debito pubblico e l'esclusione di principio dell'aumento del deficit pubblico
(nonostante per gran parte di quel periodo si verificassero simultaneamente
scorte alimentari indesiderate, capacità industriale non utilizzata
crescita di riserve in valuta estera), hanno spinto i governi, sia a livello
centrale che (per effetto del braccio di ferro con il governo centrale)
a livello degli stati regionali a ridurre drasticamente le spese, soprattutto
quelle nel settore sociale, le spese per gli investimenti, per lo sviluppo
rurale, e per il finanziamento dell'assistenza ai non abbienti. Questa
politica ha provocato un crisi strutturale (che non si è riusciti
a superare neppure facendo condizioni di gran favore a tutte le multinazionali
possibili), un degrado delle strutture della scuola pubblica e della sanità
(a cui accedono soprattutto i poveri), e - in seguito alla riduzione del
potere di acquisto, soprattutto nelle zone rurali del paese - la compressione
della domanda interna.
Nonostante il fatto che, per la prima volta dai tempi dell'indipendenza,
negli anni novanta il tasso di crescita della produzione dei cereali sia
sceso al di sotto del tasso di crescita demografica, il crollo del potere
d'acquisto era stato così drastico, soprattutto nelle zone rurali,
che nel giugno 2002 il governo aveva accantonato ben 65 milioni di tonnellate
di scorte di cereali, anche se va tenuto conto che la domanda pro capite
di cereali nel suo complesso a quell'epoca era sceso ai livelli della vigilia
della seconda guerra mondiale. Per liberarsi di queste scorte, il governo
del Bjp ha venduto i cereali sul mercato internazionale a prezzi inferiori
a quelli che pagavano gli indiani più poveri, nonostante che il
livello anomalo delle scorte dimostrasse che le masse popolari pativano
la fame.
La riduzione degli investimenti nelle infrastrutture, abbinata al taglio
dei sussidi ai contadini, la quasi totale abolizione del regime di credito
agevolato all'agricoltura e il crollo dei prezzi internazionali di molti
prodotti agricoli in seguito alla nuova deregolamentazione decisa dal Wto,
sono state le cause convergenti che hanno prodotto una crisi agraria su
vasta scala, che in numerosi stati ha spinto al suicido migliaia di contadini,
alcuni dei quali anche relativamente prosperi. Nella nuova situazione di
liberalizzazione delle importazioni e di credito a tassi elevati, anche
le piccole e medie industrie si trovarono di fronte al rischio di fallire.
Nonostante una notevole espansione dei servizi informatici e della esternalizzazione
di segmenti dei processi produttivi delle aziende (quella che adesso il
candidato democratico alla presidenza degli Usa Kerry intende limitare),
sia nei centri urbani che nelle zone rurali le possibilità di lavoro
si sono molto ridotte. I lavoratori organizzati si sono trovati a fronteggiare
una politica di drastica ristrutturazione (cosiddetti `pensionamenti volontari')
e una forte riduzione dei poteri di contrattazione, con la Corte Suprema
che addirittura deliberava contro il diritto di sciopero. Si cominciava
a parlare apertamente della necessità di `introdurre flessibilità
nel mercato del lavoro' (ben noto eufemismo per camuffare un attacco a
tutto campo contro i lavoratori).
Si tratta di processi che si sono già verificati in molti paesi,
e che a un osservatore esterno possono sembrare scontati, ma in India,
con la sua lunga storia di dirigismo e la forte tradizione democratica
ereditata da una lunga lotta contro il colonialismo, rappresentavano un
cambiamento inimmaginabile, in particolar modo quando il governo del Bjp
ha cominciato a vendere al settore privato le aziende pubbliche in attivo,
a prezzi stracciati (alcune aziende sono state poi rivendute nel giro di
settimane a un multiplo del prezzo di acquisto). Nel settore petrolifero,
dopo la decolonizzazione e in seguito alla lunga lotta contro le `sette
sorelle' e le agenzie imperialiste che agivano per loro conto (e anche
questo, soltanto grazie all'aiuto ricevuto dall'Unione Sovietica) esisteva
il controllo pubblico, ma si è cercato di privatizzare questo settore,
con una prima tranche di azioni della Oil and Natural Gas Commission, azienda
pubblica in forte attivo, che veniva comprata da prestanomi di Warren Buffet,
noto finanziere californiano.
Contemporaneamente, anche in India si è verificato il boom della
Borsa, le riserve in valuta estera si sono moltiplicate, segnando un incredibile
record di 110 miliardi di dollari all'inizio di maggio2003, mentre la Banca
Centrale faceva del suo meglio per tenere sotto controllo l'apprezzamento
della valuta, in una situazione in cui l'India stava diventando una `area
di parcheggio' dei dollari. Il traffico cittadino era perennemente intasato
da auto importate, o assemblate sul posto, sintomo e simbolo della prosperità
dei ceti superiori - che in India assommano ad alcuni milioni di persone
- conquistata grazie ai nuovi indirizzi economici e continuamente enfatizzata
dai mass media a livello sia internazionale che locale.
Ingannato da questa fase di espansione, sostenuta da numerosi sondaggi
di opinione, il governo del Bjp ha deciso di indire elezioni anticipate
e ha condotto una campagna all'insegna dello slogan `India Shining' [splendida
India], e di una sensazione `Feel Good' [sentirsi bene] diffusa nell'aria.
Al governo si è contrapposta una coalizione di partiti laici guidati
in numerosi stati dal Partito del Congresso e dalla sinistra nelle sue
roccaforti. L'alleanza tra queste due forze si è limitata a pochi
stati, per quanto fosse scontato da tempo che la sinistra avrebbe appoggiato
a livello centrale un governo laico. L'esito elettorale è stata
una clamorosa disfatta per la coalizione guidata dal Bjp, di cui non si
vedeva l'eguale dal lontano 1977, allorché Indira Gandhi subì
una umiliante sconfitta alle elezioni che aveva indetto per legittimare
il governo autoritario da lei imposto durante il periodo della `Emergenza'
2. Ancora una volta il popolo indiano si è dimostrato all'altezza
della situazione. I recenti risultati elettorali dimostrano innanzitutto
le salde radici della democrazia rappresentativa in India. Il semplice
fatto che la popolazione di quello che è praticamente un intero
continente si sia espressa a grande maggioranza in questo senso, quasi
senza contatti fra le singole persone, nonostante l'apparente frammentazione
sul piano linguistico, religioso, di casta ecc., e abbia votato senza tentennamenti
contro tutto quello che i guru avevano propinato sull'«India Shining»,
è veramente un evento di portata immensa.
Tuttavia, gli elettori indiani non si sono pronunciati soltanto contro
il Bjp, ma anche contro gli indirizzi di una politica neoliberista. Vale
la pena di osservare che anche negli stati governati dal Congresso, come
Karnataka e il Punjab, dove dettava legge la volontà della Banca
mondiale o dell'Adb [Banca Asiatica per lo Sviluppo] e la disperazione
dei contadini arrivava al suicidio, la popolazione ha votato contro il
Partito del Congresso, così come aveva fatto pochi mesi prima nel
Madhya Pradesh, rovesciando il governo di quel partito. In realtà,
la tendenza a punire in sede elettorale i governi `riformisti' si era imposta
fin dall'introduzione delle `riforme' neoliberiste nel 1991, ma questo
dato aveva potuto essere sempre minimizzato e negato accampando questa
o quella spiegazione specifica legata alla impopolarità del governo
direttamente interessato. L'esito delle recenti elezioni, invece, rivela
la realtà nuda e cruda. Non è sorprendente che il Partito
del Congresso, sensibile agli umori popolari, si sia presentato con un
manifesto elettorale in forte contraddizione con l'agenda neo-liberista
che esso stesso aveva fattivamente contribuito a introdurre nell'economia
indiana.
In realtà, le due caratteristiche salienti di queste elezioni
sono state lo spostamento della posizione dichiarata del Partito del Congresso
e la forte crescita della sinistra. Il manifesto del Partito del Congresso
prevedeva di dare nuovo impulso agli investimenti pubblici, con priorità
al settore agricolo, di rafforzare il sistema pubblico di distribuzione
di cereali e di alcuni altri prodotti essenziali, di non privatizzare le
aziende pubbliche in attivo e, soprattutto, puntava su un progetto di garanzia
dell'occupazione che avrebbe assicurato un minimo di 100 giorni di lavoro
all'anno ad almeno un membro di ogni nucleo familiare. Erano le rivendicazioni
presentate dalla sinistra nei giorni più esaltanti del neoliberismo
trionfante. Il fatto che le abbia fatte proprie il Partito del Congresso
è sintomatico dell'umore popolare. Lo stesso discorso vale per la
forte ascesa della sinistra, anche se limitata alle aree del suo più
diffuso consenso.
La sinistra, costituita da una coalizione di quattro partiti, ha ottenuto
62 seggi in un Parlamento di 543, il suo miglior risultato di tutti i tempi.
Ha virtualmente stravinto nei tre stati in cui è una forza importante,
il Bengala occidentale, il Kerala e Tripur. Dato che era impossibile costituire
un governo laico senza il suo appoggio, si riteneva che dovesse aderire
al governo per dargli maggior solidità. Anche se questa posizione
alla fin fine è stata respinta dal Comitato centrale del Partito
comunista indiano (di matrice marxista), il più forte dei quattro
partiti, e la sinistra ha deciso di limitarsi a dare al governo un appoggio
esterno, il fatto più significativo è che un grandissimo
numero di artisti, intellettuali e attivisti sociali, rappresentativi di
tutto l'arco politico, dal gandhismo alla sinistra anarchica, alla socialdemocrazia
ai movimenti progressisti vicini alle Ong, abbia letteralmente supplicato
la sinistra di partecipare al governo. In molti casi si trattava di persone
tradizionalmente ostili alla sinistra organizzata. Il fatto che, nonostante
questa antica diffidenza, tutti questi soggetti chiedessero che la sinistra
facesse parte del governo per difendere gli interessi delle popolazione,
indica uno spostamento significativo nello schieramento delle forze sociali
e politiche, e segna la nascita di un rapporto di tipo nuovo, di cui già
le prime indicazioni si potevano notare nella partecipazione attiva della
sinistra al Forum sociale mondiale di Mumbai 3.
Il nuovo governo si è costituito in base ad un Programma minimo
comune, che, per quanto di gran lunga insufficiente rispetto agli obiettivi
della sinistra, ha ricevuto il suo appoggio ed è stato accolto con
favore nel paese. Il Programma rappresenta effettivamente un cambiamento
di marcia rispetto al neoliberismo, in quanto riafferma con forza la centralità
dell'intervento dello Stato per migliorare le condizioni di vita del popolo.
Poco importa quali saranno le misure specifiche iniziali, se si rimarrà
fedeli a questa percezione; inevitabilmente si attiverà una dialettica
alternativa che si allontanerà dal percorso neoliberista.
Non deve sorprendere quindi che la finanza globalizzata non vedesse
di buon occhio il Programma minimo comune. In questo momento, in realtà,
l'India è un paese che testimonia di uno scontro tra la volontà
popolare, che chiede di mettere fine alle politiche neoliberiste, e la
spinta del capitale finanziario internazionale, e dei suoi rappresentanti
nazionali, che insiste per portare avanti le `riforme' neoliberiste, con
il grosso dei media anglofoni, sia elettronici che della carta stampata,
che si schierano decisamente al suo seguito. Il capitale finanziario ha
sparato il primo colpo, in questa sua lotta contro la volontà popolare,
addirittura durante il processo elettorale (che in India dura diversi giorni),
con il palese intento di influenzare il verdetto popolare. Allorché,
dopo le prime tornate elettorali, gli exit polls avevano fatto intuire
le difficoltà di un ritorno al potere del governo guidato dal Bjp,
c'è stato un vero e proprio crollo in Borsa, e il Bjp non ha perso
tempo nel chiedere voti in nome della stabilità finanziaria. Quando
sono stati dichiarati i risultati finali, e la sinistra, senza la quale
era impossibile costituire un governo, si è dichiarata contro il
disinvestimento nei settori fondamentali e la svendita delle imprese pubbliche
in attivo, c'è stato un nuovo crollo azionario, prontamente strumentalizzato
dai mass media, che lo hanno presentato come l'inizio della catastrofe.
Era una montatura assurda dato che in India le quotazioni di Borsa
incidono assai poco sulle decisioni di investimento delle imprese private,
e tanto più sugli investimenti globali. Le cosiddette `perdite'
legate al calo delle quotazioni di Borsa sono principalmente `perdite di
carta', senza nessun impatto sulla ricchezza reale del paese; e in ogni
caso soltanto lo 0,1% della popolazione del paese dispone di una qualche
partecipazione azionaria. Ciononostante il blitz dei media è continuato
implacabile: si è affermato che «l'intransigenza ideologica
della sinistra» aveva bruciato capitali pari a mille miliardi di
rupie. Imbaldanziti da tutto questo clamore, alcuni finanzieri hanno addirittura
organizzato una dimostrazione contro il blocco della privatizzazione delle
aziende del settore pubblico in attivo (come se fosse un loro diritto naturale
impadronirsi delle proprietà del popolo!).
Una certa ripresa della Borsa c'è stata quando Sonia Gandhi
- la leader del Congresso che è entrata in grande sintonia con le
masse e praticamente da sola aveva portato alla vittoria il Partito, e
che proprio per la sua `inesperienza' veniva considerata `favorevole ai
poveri', ha lasciato a Manmohan Singh, l'artefice iniziale delle `riforme',
la carica di primo ministro. Ma poi, quando il Programma comune è
stato reso di dominio pubblico, si è verificato un ennesimo crollo
in Borsa. Il nuovo ministro delle finanze Chidambaram, anch'egli con un
passato `riformista', ha fatto del suo meglio per rassicurare il capitale
finanziario, finora con risultati incerti. La fuga di capitali non costituisce
ancora un problema, ma non passa giorno senza che i mass media facciano
circolare storie terrorizzanti, chiamando pesantemente in causa il Programma
comune.
A questo punto l'interrogativo è: quale sarà l'esito
di questo scontro? In quale direzione sta andando l'India? Il fatto che
il governo dipenda dall'appoggio della sinistra scongiurerebbe l'eventualità
di un suo completo voltafaccia rispetto agli impegni sanciti nel Programma
comune in materia di politica economica. Anche se la sinistra ha assicurato
il suo appoggio al governo per i cinque anni della legislatura, è
improbabile che il governo voglia sfruttare tale impegno per portare avanti
un programma neoliberista. Il risultato minimo che potrà essere
conseguito a breve termine, perciò, è un congelamento delle
`riforme' con l'approvazione di alcune misure per alleviare le difficoltà
della popolazione, come è stato annunciato, ad esempio, dal nuovo
governo dell'Andhra Pradesh, dopo la sconfitta del precedente regime molto
amato dagli imperialisti. E certamente, si potrà fare molto per
eliminare l'influenza funesta del fascismo etnico nell'ambito dell'istruzione,
cancellare la Legge per la prevenzione del terrorismo dai codici vigenti,
introdurre leggi vincolanti contro l'istigazione alla violenza etnica,
correggere i pregiudizi di politica estera del governo del Bjp e, in linea
generale, restaurare le fondamenta laiche della struttura sociale.
In una prospettiva di più lungo termine è chiaro che
l'adozione del programma neoliberista risultava in parte dal fatto che
il vecchio dirigismo aveva condotto la borghesia in un vicolo cieco, il
che limita decisamente la capacità della borghesia stessa di tracciare
un nuovo corso che si allontani dal neoliberismo. La borghesia attuale
non è quella della battaglia anticolonialistica, così come
l'imperialismo attuale è ben diverso rispetto al colonialismo del
passato. La borghesia attuale non è in grado di tracciare un percorso
di sviluppo antimperialista, che pure potrebbe andare a suo vantaggio,
e convincere molti dei suoi settori ad aderire al movimento per la svolta.
L'impulso e la guida di questo percorso alternativo devono venire necessariamente
dalla sinistra. In altri termini, gli sviluppi attuali in India segnano
l'avvio di un processo - che sarà inevitabilmente lungo, tortuoso,
e caratterizzato da fasi alterne - di polarizzazione della società
in due fronti, uno filoimperialista, sostenuto dal Fondo monetario, dalla
Banca mondiale, dall'alta finanza globalizzata e dalle multinazionali,
e un altro antimperialista, guidato dalla sinistra ma che coinvolge elementi
di varia estrazione. L'imminente sconfitta dell'imperialismo in Iraq dovrebbe
creare spazi per il consolidamento del secondo fronte, ma la portata del
suo eventuale successo è condizionata in tutto e per tutto dalla
capacità della sinistra di liberarsi del settarismo e delle vecchie
concezioni schematiche e di aggregare quanti più segmenti è
possibile fra la forze sociali antimperialiste. Da qualche mese, in moltissimi
paesi del Terzo Mondo - di cui l'India è l'esempio più recente
- i popoli hanno respinto le politiche neoliberiste imposte dall'imperialismo.
Ma diffusi fermenti antimperialisti si registrano ormai in tutto il Terzo
Mondo. La sinistra ha l'obbligo di entrare in sintonia con questi, perché
soltanto così potrà avvicinare quelli che sono i suoi obiettivi
di fondo.
Note
1 Bharatiya Janata Party, nato dal Rashtriya Swayamsevak Sangh (più
avanti citato con la sigla Rss) fondato nel 1925 (NdRM).
2 Nel periodo successivo al 1973, in seguito al diffondersi di violente
rivolte nelle regioni più povere del paese e di estesi fenomeni
di corruzione, il potere di Indira Gandhi fu messo in discussione e, colpita
da un'accusa di brogli elettorali da parte della Corte Suprema, ne furono
richieste le dimissioni. In risposta, nel 1975, Indira varò leggi
eccezionali che sospendevano le garanzie costituzionali (NdRM).
3 Cfr. nel fascicolo di febbraio della «rivista del manifesto»
(n. 47, p.11) il corsivo di lc (Luciana Castellina) che precede l'articolo
di Bonaventura de Sousa Santos, Il movimento tra passato e futuro (NdRM).
Prabhat Patnaik insegna Politiche macroeconomiche al Centre for Economic
Studies and Planning, alla Jawaharlal Nehru University, Nuova Dehli.