di Franco Pantarelli, "il Manifesto", 10 ottobre 2002
George Bush sull'Iraq sta mentendo e sta costringendo la «intelligence
comunity» a mentire. Gli uomini della Cia, dell'Fbi e del dipartimento
dell'Energia, sotto pressione per la continua richiesta di rapporti che
dicano a Bush solo ciò che vuole sentirsi dire, si sentono umiliati
nella loro «professionalità» e reagiscono come possono,
per esempio raccontando ai mezzi di informazione ciò che sta accadendo.
Ecco così che The Guardian ieri è stato in grado di
riferire una cosa a dir poco sconvolgente: che nel discorso di lunedì
sera, quello che doveva costituire la parola definitiva su quanto pericolso
sia l'Iraq e quanto urgente sia la guerra per «fermarlo in tempo»,
il presidente americano si è basato nel migliore dei casi su una
«lettura tendenziosa» delle informazioni ricevute dai servizi
segreti e nel peggiore dei casi su informazioni semplicemente false. «Rapporti
fatti ad arte stanno prendendo la loro via verso i pronunciamenti che si
fanno agli alti livelli e c'è molto disagio fra gli analisti, specialmente
fra quelli della Cia», dice Vincent Cannestraro, che della Cia è
stato un dirigente e che ha ovviamente tenuto rapporti con i suoi ex colleghi.
Il primo esempio che viene fatto riguarda i famosi tubi di alluminio temperato
che l'Iraq avrebbe tentato di comprare. «Servono a produrre uranio
arricchito per le armi nucleari», ha spiegato Bush lunedì
sera con l'aria di chi di queste cose capisce tutto. Ma ciò che
gli era stato detto dal Dipartimento dell'Energia era che quei tubi «più
probabilmente» servivano per costruire armi convenzionali. «Il
minimo che si possa dire è che non c'è abbastanza per sostenere
la teoria delle armi nucleari», dice una fonte anonima del «Guardian».
Ma David Albgright, un ex ispettore dell'Onu che ora guida l'Istituto per
la scienza e la sicurezza internazionale, un «think tank» con
base a Washington, dice ancora di più e di peggio, e cioè
che sulla storia dei tubi c'è in corso «una lotta furibonda:
da una parte c'è la maggior parte degli esperti, dall'altra parte
c'è un signore che però è ben piazzato nella Cia».
Fra gli esperti scettici, dice ancora Albright, ci sono anche quelli del
Lawrence Livemore, un laboratorio del dipartimento dell'Energia in California.
Ma hanno ricevuto l'ordine di tenere per sé i loro dubbi. «In
pratica - ha detto uno di quegli esperti ad Albright, che lo ha riferito
al Guardian - l'amministrazione deve poter dire tutto quello che
vuole e noi dobbiamo starcene zitti». Un altro esempio è quello
dei legami fra governo iracheno e Al Qaeda. Un leader di quell'organizzazione,
ha detto Bush lunedì sera senza fare il suo nome, «ha ricevuto
cure mediche in Iraq». Una fonte dell'Fbi ha detto al Guardian
che si tratta di Abu Musab Zarqawi, a suo tempo arrestato in Giordania
per il «complotto del milennio» e poi rilasciato e finito in
Iraq. E' stato tenuto sotto controllo dai servizi segreti americani, ha
aggiunto la fonte, e da quel controllo non risultano contatti fra lui e
il governo iracheno. Poi c'è l'affermazione sempre di Bush che gli
uomini di Al Qaeda si addestrano in Iraq. Bob Baer, che ha lavorato alla
Cia negli anni Novanta ed aveva il compito di tenere sotto sorveglianza
proprio la «crescita di Al Qaeda», dice che alcuni contatti
fra Osama bin Laden e emissari iracheni hanno avuto luogo in Sudan in quel
periodo, «ma non risulta che da essi sia scaturito lo stabilimento
di una strategia comune». E tuttavia, dice un'altra fonte del giornale
britannico, «l'Fbi è stato spinto a dare importanza a questo
legame».
Ma la Cia sembra reagire anche «ufficialmente», seppure
in termini più diplomatici, alle pressioni dell'amministrazione
Bush. Illuminante in questo senso la deposizioni davanti alla commissione
Servizi Segreti fatta una settimana fa da un agente di cui si è
tenuto nascosto il nome (anzi è stato fatto deporre con una specie
di schermo attorno affinché i presenti non potessero verderlo in
faccia). Il rischio che Saddam Hussein possa lanciare un attacco contro
gli Stati Uniti «nel prevedibile futuro» secondo lui è
«basso», ma può diventare «abbastanza alto»
se sono gli Stati Uniti ad attaccare l'Iraq. Le stesse cose ha detto George
Tenet, che della Cia è il capo, in una lettera inviata alla stessa
commissione l'altro ieri, aggiungendo però una sorta di capriola
logica probabilmente «richiesta» da Bush, e cioè che
«non c'è contraddizione» fra ciò che il suo agente
ha detto e ciò che l'amministrazione dice.
Tutto sembra aver diffuso qualche dubbio fra i senatori chiamati a
votare il «sì» alla guerra di Bush. Ma, per ora, l'unico
attivamente contrario è Robert Byrd, che ha fatto sapere di essere
pronto a tattiche ostruzionistiche per ritardare il voto, in modo da far
svanire il desiderio di Bush di avere oggi (quando è previsto il
voto della Camera) una sorta di «gran giorno»: Camera e Senato
che votano insieme la partenza per la guerra. A questo punto si deve ammettere
anche che la reazione al discorso di Bush venuta dall'Iraq («E' un
cumulo di bugie») aveva una sua corposità. Ieri ad Al Jazira
Saddam Hussein ha annunciato l'importanza del plebiscito degli 11 milioni
di iracheni che voteranno per lui martedì 15 e sulla disponibilità
ad aprire l'Iraq agli ispettori Onu.
Qualcosa, a quanto pare, si sta muovendo anche all'Onu. La Francia
starebbe per partorire un progetto di risoluzione sull'Iraq. Ma ancora
non è chiaro se a «guadagnare» è la Francia che
vuole una risoluzione riguardante solo i poteri degli ispettori o gli Stati
Uniti che invece vogliono l'affermazione precisa sull'intervento armato
e pongono, com'è chiaro, condizioni agli ispettori inaccettabili
per Baghdad.