"A rivista anarchica", N. 281, maggio 2002
In questi giorni, che vedono l’immane tragedia che sta sconvolgendo
la vita degli abitanti della Palestina e di Israele, si vedono anche tanti,
troppi professionisti della solidarietà, schierarsi a fianco dell’una
o dell’altra fazione in lotta.
Usiamo consapevolmente il termine fazione anziché popolo, perché
siamo convinti che questa vicenda non sia altro che il prodotto di ciniche
e criminali politiche condotte, con identici fini anche se con mezzi e
potenze diversi, da due ceti dirigenti divisi su tutto ma non sull’opportunistica
volontà di consolidare i propri assetti di potere. E questo sulla
pelle dei loro sudditi.
Usiamo consapevolmente il termine sudditi anziché cittadini,
perché siamo convinti che gli abitanti di questo lembo del Medio
Oriente siano considerati tali, dai loro governanti: nulla più che
delle pedine da usare, e da far ammazzare, per poter gettare qualche manciata
di morti in più sul tavolo delle trattative.
Usiamo consapevolmente il termine trattative e non scontri perché,
al di là della drammatica ferocia con la quale si stanno affrontando
i due eserciti, siamo convinti che il barbaro governo di Sharon e la barbara
Autorità Nazionale Palestinese di Arafat, stiano giocando la solita
partita a scacchi, anche se oggi più brutale, che deve finire, come
le precedenti, in una situazione di stallo.
Usiamo consapevolmente il termine stallo e non pace, perché
siamo convinti che la pace, la vera pace, non sia negli interessi di nessuna
delle fazioni in lotta. Non è negli interessi della destra israeliana,
che sopravvive solo mantenendo il paese in una situazione di continua paura;
non è negli interessi delle organizzazioni politiche e religiose
palestinesi, che vogliono semplicemente ridefinire i rapporti di potere
nel loro futuro stato; non è negli interessi degli Stati Uniti,
che vogliono uno stato di Israele tanto più fedele quanto più
minacciato; non è nell’interesse dei paesi arabi, che sanno ben
approfittare di questa situazione di drammatica incertezza; non è
negli interessi della chiesa, delle chiese, che continuano, al di là
delle belle parole, a seminare fanatismo e razzismo ed a sputarsi reciprocamente
in faccia dalla mattina alla sera; non è nell’interesse dell’Europa.
Ah, già, l’Europa non conta!
Ecco perché non siamo a fianco di.
Non siamo a fianco di nessuno degli squallidi attori di questa bruttissima
tragedia. E non lo siamo, perché siamo convinti che se davvero vogliamo
mostrare una fattiva solidarietà con chi muore e vive nel terrore,
abbiamo il compito di lottare contro, e non con, chi ha provocato e strumentalizzato
il conflitto. Senza kefiah e senza kippa, senza divise da kamikaze e senza
elmetti militari, senza bandiere palestinesi e senza bandiere con la stella
di Davide. Senza nessuno di quei simboli in nome dei quali l’odio riproduce
se stesso, e il potere rafforza il proprio bisogno di sangue.
Questo comunicato-stampa è stato diffuso dai Gruppi Anarchici Imolesi il 10 aprile scorso. La redazione di “A” lo sottoscrive.