di Carlo Bonini e giuseppe D'Avanzo, "la Repubblica", 10 maggio 2002
NAPOLI - Sono ottanta foto a colori. Ottanta giovani facce con sotto
un numero. A fotografare sono gli uomini della polizia scientifica nella
caserma "Raniero Virgilio". Queste ottanta fotografie non sono mai state
sottoposte alla Digos per le indagini sugli scontri di piazza Municipio,
come ha spiegato ai magistrati proprio l'ex dirigente della squadra politica
Paolo Tarantino.
Ritraggono sui volti dei giovani i gonfiori, le lesioni, gli ematomi,
raccontano forse meglio di qualsiasi testimonianza che cosa è accaduto
nella "sala benessere" della caserma delle volanti la mattina e il pomeriggio
del 17 marzo 2001. Le fotografie sono state depositate ieri al tribunale
del Riesame come nuove fonti di prova dall'ufficio del pubblico ministero.
Sgombrano il campo dalla domanda se ci sono state o meno violenze e abusi
durante l'identificazione dei ragazzi fermati al pronto soccorso dei quattro
ospedali della città.
* * *
G. N., trentadue anni, è un portiere d'albergo, fotografo per
passione. La sua è l'immagine numero 31. Quel giorno sta andando
al lavoro. Lungo strada decide di fare qualche foto al corteo. Mentre è
lì con la macchina fotografica riceve la telefonata della sua fidanzata
V. N.. Piange, gli dice che è stata ferita. G. fa dietrofront, la
raggiunge, l'accompagna in ospedale, dove viene subito bloccato. Chiede
di poter andar via. Alle 14 deve essere in albergo, racconta nel verbale
ora agli atti del Riesame. Non c'è nulla da fare. L'accompagnano
alla "Raniero". Nella "sala benessere" guarda sbigottito molti ragazzi
seduti a terra con le spalle al muro. Un agente gli chiede: "Sei stato
perquisito?". G. risponde di no. In tre lo scortano nel bagno. Il primo
fa da "palo". Gli altri due gli svuotano le tasche. Gli danno un primo
schiaffo e ancora un secondo. G. chiede ragione di quei colpi. Gli dicono:
"Sei un comunista di merda". Gli aprono lo zaino, gli trovano una macchina
fotografica nuova che gli è costata più d'uno
stipendio. Gliela fracassano. G. non riesce a trattenere le lacrime.
Protesta ancora per quel trattamento. Ne ricava pugni e calci. Niente (forse)
a confronto del "trattamento" praticato dalla Celere nella Diaz di Genova.
Con una differenza. Alla Diaz la
polizia riteneva di essere penetrata nel "covo" dei black block. Chi
si parava di fronte poteva essere una minaccia armata. G. non era una minaccia
per nessuno. Era un passante, nessuno gli contesta alcunchè.
G. riesce a stringersi in un angolo del bagno. Qui riceve ancora un
calcio e un pugno ben assestato all'occhio sinistro (la foto mostra l'occhio
tumefatto, un taglio, l'alone rosso fino allo zigomo). G. dice a verbale:
"Mi sono ritrovato un occhio nero,
un labbro gonfio, ma quel che mi importava di più era il lavoro.
Per poco non lo perdevo: un portiere d'albergo ha un'immagine da salvaguardare
e non è stato facile convincere il direttore che anche in quelle
condizioni potevo ricevere gli ospiti".
La storia di G., per l'accusa, è esemplare. G.N. non aveva nulla
a che fare con la manifestazione. Non è un no-global, non viene
medicato in ospedale, al pronto soccorso. Quella faccia gonfia se la procura
in caserma, chiedendo il rispetto dei suoi diritti.
Non tutti sono stati fotografati. V.O., 31 anni, marchigiano, aveva
"un occhio enormemente gonfio". Nella "sala benessere" lo notano tutti.
Viene caricato sulla volante in ospedale. Alla "Raniero", il capannello
di agenti dinanzi alla "sala benessere" lo
accoglie con sputi e minacce. Lo fanno inginocchiare e un pubblico
ufficiale gli dà "calci molto forti". V.O. guarda con disprezzo
l'agente mentre infierisce su una donna accanto a lui. Il poliziotto non
gli perdona quello sguardo, lascia perdere la ragazza e inizia a colpirlo
con dei calci e cazzotti al volto. L'occhio si gonfia "fino all'inverosimile".
Nonostante le sue condizioni, viene chiamato nel bagno. Qui riceve ancora
un po' di calci. Urla. Non ce la fa più, si legge negli atti. Chiede
di essere di nuovo portato all'ospedale. Finalmente lo conducono al Cardarelli.
V.O. resta steso sulla lettiga per quattro ore. Rifiuta il ricovero e lo
portano di nuovo in caserma. Spiegano i pm ai giudici del Riesame: "Quell'occhio
gonfio "fino all'inverosimile" convince la Scientifica a non fotografarlo".
* * *
Nelle foto originali ci sono teste rotte, nasi gonfi, orecchie sanguinanti,
sguardi smarriti e impauriti. Ma non tutti sono stati picchiati, in caserma.
C'è chi le botte le ha prese in piazza durante gli scontri di piazza
Municipio. C'è chi non ha preso botte né in piazza, né
in caserma. C'è anche chi sorride nelle immagini della Scientifica
come M.F., la numero 18. O chi sfoggia un ironico sguardo di disprezzo,
come A.F., la numero 22 e M.R.M., la numero 24, magari in transito nella
caserma quando dopo le 16,30 le "acque si calmano". Sono soprattutto le
ragazze a lasciare nelle immagini uno lampo degli occhi o un sorriso
beffardo. I ragazzi sembra che se la siano passata peggio. Soprattutto
coloro che sono stati trovati in possesso di "armi atte ad offendere" o,
in un solo caso di un coltello, o di una spranga. S.M., umbro, ventiquattro
anni, lo trovano con "una mazza di legno di 80 centimetri, una fionda in
plastica con quattro pile stilo, una cintura in cuoio con due moschettoni
agli estremi". La sua foto è la numero 23. Sulla sua fronte la foto
svela un bozzo grosso come il pugno di un bambino.
Questa storia delle "armi improprie" ha anche degli esiti grotteschi.
A.C. è accusato di "porto senza giustificato motivo di un portachiavi".
Ma meno grottesco è il caso di F.R.. E' accusato "per il porto senza
giustificato motivo di numero 1 occhialini da
nuoto di colore giallo e nero" e di una "catena costruita in modo da
portare all'estremità una rondella di ferro". "E' un oggetto allarmante
che probabilmente innesca la reazione furiosa degli agenti che lo perquisiscono
- scrive l'accusa - La sua è la
foto numero 52. F.R. viene condotto in bagno da tre agenti. Gli dicono
di gettare tutto quel che ha nello zaino sul pavimento. Poi gli ordinano
di riprenderlo. Ogni volta che si abbassa per raccogliere qualcosa di suo,
riceve un calcio in bocca. Ora cominciano a perquisirlo. Gli tagliano la
cinta con un coltello, con la catena gli stringono la gola. C.P. e D.R.
racconteranno ai magistrati di aver appreso dalla viva voce di F.R. del
tentativo di sodomizzazione subito. F.R. negherà".
* * *
A. S., siciliano, venticinque anni, è ritratto nella foto numero
53. Ha il naso gonfio e tumefatto, gli zigomi blu, il labbro superiore
gonfio. Secondo copione, all'arrivo in caserma viene insultato. Gli dicono
di entrare nella sala benessere. Lo costringono
ad inginocchiarsi faccia al muro, mani dietro la testa. I poliziotti
iniziano a colpirlo. Dopo le prime percosse, viene condotto in bagno con
tre agenti. A.S. è il primo dei perquisiti. Mentre si spoglia riceve
i primi colpi alla schiena e pugni in faccia. Lo zigomo sinistro si gonfia
subito. Poi inizia il vero pestaggio. Lo colpiscono in tutto il corpo,
riceve una gomitata al fianco che gli toglie il fiato. Lo fotografano,
ma A.S. non sarà né denunciato, né il suo nome risulterà
tra gli ospiti della caserma Raniero.
* * *
Tutti questi ragazzi hanno riconosciuto i loro aggressori. Anche se
non tutti hanno in animo di confermarlo nell'incidente probatorio. Nell'udienza
del riesame, i pubblici ministeri hanno presentato due relazioni di servizio
con le quali raccontano le
telefonate di due testimoni-parti offese che hanno comunicato l'otto
maggio alla Procura "di essere troppo terrorizzati dal clamore della vicenda
per avere il coraggio di indicare dinanzi ad un giudice chi li ha aggrediti".
Sembrano esserci pochi dubbi sul clima di violenza che si respirò
quel giorno nella caserma "Raniero". D'altronde, anche gli agenti indagati
hanno ammesso negli interrogatori "spintoni e schiaffi". Ma se questo quadro
trova importanti riscontri nelle foto, nelle testimonianze e nelle
ammissioni, c'è una novità anche sul mistero di chi ordinò
agli equipaggi delle volanti di trasferire alla Raniero i ragazzi individuati
negli ospedali. Alessandro Marangoni, capo di gabinetto della Questura
diretta da Nicola Izzo, a sorpresa ha raccontato ai
giudici di essere stato lui a dare quell'ordine.
Nessun passa-parola, dunque, nessuna nebbiosa e dimenticata responsabilità
di quell'ordine. Marangoni se ne assume la paternità. E' un tassello
importante. Come rivelatore sono i fogli delle ore di straordinario rintracciati
in Questura dai pubblici
ministeri. Svelano qualche rotonda bugia. Interrogato dal gip, Solimene
assicura che il 17 marzo si allontana dalla caserma alle 14, a fine turno.
"Avevo urgenza di tornare a casa". Il foglio che gli assicura, quel giorno,
cinque ore di straordinario lo
colloca alla "Raniero" fino alle sette del pomeriggio. Stesso discorso
per Francesco Adesso.
Il cerchio delle nuove contestazioni, da ieri nel fascicolo del Tribunale
del Riesame, sembra chiudersi con la testimonianza di un giovane avvocato
napoletano, S.. Gli agenti agli arresti domiciliari hanno ammesso di non
aver autorizzato nessuna comunicazione con l'esterno della caserma, impedendo
anche la telefonata agli avvocati (obbligatoria per legge) per evitare
che
venisse individuato il luogo dove si stavano raccogliendo i ragazzi
da identificare. L'avvocato S. ha raccontato ai pubblici ministeri (e il
suo verbale è ora agli atti del riesame) che già dal primo
pomeriggio, tentò insistentemente di entrare nella
caserma per assistere i fermati e fu ripetutamente respinto da agenti
della Guardia di Finanza che presidiavano il perimetro esterno della Raniero.