Antonio Moscato, "Guerre&Pace", N. 101, luglio 2003
La maggior parte delle polemiche su Cuba dell´ultimo periodo hanno contrapposto settori diversi della sinistra, vedendo spesso schierati nella difesa incondizionata alcuni che in passato avevano altri punti di riferimento, mentre i più critici invece si trovavano tra i sostenitori della rivoluzione cubana fin dal primo istante (per fare un solo nome, Eduardo Galeano). Ritorneremo sulle ragioni di questo schieramento, che ci sembra utile spiegare, mentre ovviamente non c´è nulla da capire nel comportamento dei nemici incalliti, che non hanno mai smesso di denunciare la "feroce dittatura dei Caraibi" profetizzandone da decenni "il crollo imminente", mentre chiudevano tutti e due gli occhi sulle dittature militari argentina o cilena o guatemalteca, con il loro bilancio di desaparecidos e di saccheggio di regioni un tempo ricche. Il dibattito è stato spesso basato su accuse inverosimili ("ma non sapete che gli Stati Uniti hanno una politica aggressiva contro Cuba", "ignorate il bloqueo e le facilitazioni statunitensi ai dirottatori") rivolte a chi sosteneva Cuba quando molti di questi tardivi apologeti avevano ben altri "modelli". L´aggressione USA dura da quaranta anni, il problema è capire perché proprio oggi c´è stato questo inasprimento della repressione all´interno, accompagnato da gesti spettacolari ma controproducenti all´esterno. Gli attacchi a Cuba infatti ci sono stati dal 1960: ben 10 presidenti degli Stati Uniti e 20 direttori della CIA e migliaia di senatori e congressisti si sono susseguiti pronunciando minacce contro Cuba all´inizio del loro mandato, salvo concluderlo poi con un nulla di fatto. Alcuni di costoro erano repubblicani, altri democratici (compreso il Kennedy dello sbarco a Playa Girón, o il Torricelli della legge che ha inasprito il bloqueo subito dopo il crollo dell´URSS). La spiegazione più diffusa nella sinistra italiana è invece che oggi Bush rappresenterebbe qualcosa di radicalmente diverso, e che quindi avrebbe deciso di passare dalle minacce generiche a una concreta aggressione, per la quale avrebbe bisogno di sponde interne nell´isola. Che ci sia qualcuno negli Stati Uniti, compreso il governatore della Florida (e fratello del presidente) che dopo il facile successo in Iraq pensa a un impresa analoga a Cuba, è vero, ma anche un oltranzista come Rumsfeld gli ha risposto subito "non per ora". Gli Stati Uniti, come ha detto efficacemente Emmanuel Todd, "mettono sotto embargo paesi incapaci di difendersi", ma soprattutto attaccano solo paesi con "eserciti insignificanti". (Emmanuel Todd, Dopo l´impero. La dissoluzione del sistema americano, Marco Tropea, Milano, 2003, p. 176.) La riprova è che dopo il fiasco clamoroso di Playa Girón (del 1961!) non ci sono stati più attacchi diretti a Cuba, e sono stati casomai scelti, nei dintorni, paesi come Grenada e Panama, per dare un ammonimento indiretto, ma anche per sperimentare le difficoltà dell´impresa. E Grenada, nel lontano 1983, fu una lezione inquietante per gli Stati Uniti: i marines scoprirono a loro spese che, mentre i militari di carriera della piccola guarnigione regolare cubana addestrati dai sovietici si erano arresi rapidamente, i lavoratori cubani impegnati nella costruzione dell´aeroporto avevano opposto una resistenza tenace che inflisse gravi perdite agli invasori. Per questo quando nel periodo del "crollo" dei muri e del sistema sovietico gli Stati Uniti ricominciarono a cercare nuovi nemici con rinnovati pretesti, denunciarono Cuba e Panama come entrambe implicate nel narcotraffico, ma scelsero Panama come concreto bersaglio, guardandosi bene dallo sperimentare un´altra volta la resistenza del popolo cubano (anche quello panamense, peraltro, pur pagando un prezzo altissimo, non si fece piegare tanto facilmente). Non sembra dunque che oggi sia veramente imminente un attacco militare statunitense a Cuba, e tanto meno che ogni manifestazione di inquietudine o di dissidenza in quel paese sia manovrata direttamente da Washington. La fase attuale è iniziata con la condanna a morte di tre dei tanti sottoproletari dell´Avana che sognano di raggiungere Miami, che nella loro ignoranza scambiano per il paradiso in terra, e sono disposti per questo miraggio a rischiare la propria vita e a metterne a repentaglio altre, ed è proseguita con le condanne "esemplari" a forti pene detentive di alcune decine degli organizzatori della raccolta di 11.000 firme su un progetto di cambio del sistema elettorale vigente (ma non dei più conosciuti responsabili, come il cattolico Osvaldo Payá, fondatore del Movimiento Cristiano Liberación, considerato l´uomo del Vaticano, e quindi non toccato, come d´altra parte è avvenuto per il sobillatore Cason). Chi ha raccolto le firme viene presentato come un "mercenario", col metodo tipicamente staliniano dell´amalgama: tutti quelli che esprimono dissenso o preoccupazioni per le scelte del governo cubano vengono demonizzati, ad esempio attraverso libri, tradotti e ampiamente reclamizzati in Italia, che accostano la biografia di 19 veri controrivoluzionari e "mercenari" a quella di un dissidente, per screditare così ogni forma di dissenso. I sottoproletari che hanno tentato il dirottamento (e che sarebbe difficile accusare di altro, dato che il loro processo, a differenza degli altri, tenuti rigorosamente a porte chiuse, è stato pubblico e verteva solo sulle circostanze in cui è avvenuto l´episodio) vengono invece presentati come "terroristi". La spiegazione che viene data di questa recente scelta repressiva si basa su un´analisi a mio parere sbagliata e rozzamente estremistica espressa dallo stesso Fidel Castro nel discorso del 1° maggio: negli Stati Uniti ormai ci sarebbe un "regime nazifascista". Come pensare che sia bastata l´elezione di Bush a cambiare la natura del regime? E tutta la politica verso l´America Latina (non solo Cuba) negli anni Sessanta e Settanta, cos´era? E il Vietnam? Questo atteggiamento ci preoccupa soprattutto perché nella sinistra italiana ce ne sono fin troppe di schematizzazioni estremiste, e ci manca solo che vengano oggi alimentate utilizzando il prestigio di Fidel Castro. Dopo Genova, abbiamo dovuto polemizzare con chi sosteneva che ormai in Italia c´era un regime fascista o cileno. Cercavamo di spiegare che quel che era accaduto in quella città non solo era stato sperimentato -sia pure in forma ridotta - a Napoli sotto l´egida del centrosinistra, e realizzato anche nella socialdemocratica Gotëborg, ma che in realtà era una forma costante della repressione in ogni regime borghese - anche non fascista - appena in difficoltà, come chi ricorda le lotte degli anni Cinquanta e Sessanta in Italia sa bene. Tra l´altro, sono spesso proprio i DS quelli che parlano in ogni momento di "regime", salvo puntare a voti bipartisan alla prima occasione. Oggi la situazione è complicata da nuove oscillazioni di Castro nella valutazione di Silvio Berlusconi, definito pubblicamente "Burlesconi": è trasparente la citazione dal Grande dittatore di Chaplin, sarà anche divertente, ma è un atteggiamento da capo di stato? E soprattutto è producente? Sembra che Castro dimentichi che non solo Berlusconi e Aznar, ma tutta l´UE ha condannato le misure repressive a Cuba, e che è assai difficile che gli altri governi europei sconfessino una decisione che hanno sottoscritto. È vero che non hanno mai protestato contro la pena di morte negli USA e che tutti hanno avallato direttamente l´aggressione all´Afghanistan e di fatto anche quella all´Iraq, ma che c´entra? A noi non piacciono e non sono mai piaciuti i governi dell´UE (neanche uno), ma ha un senso attaccarli in questa forma? È utile schierare quasi tutto il mondo politico italiano e spagnolo nella condanna dell´insolita manifestazione sotto le due ambasciate? Non a caso anche Prodi si è irritato. Non mi piace, ma perché stuzzicarlo? Forse c´è anche un´illusione sull´efficacia delle manifestazioni oceaniche di piazza all´Avana per ottenere un risultato politico altrove, ed è un errore: se el niño Elián alla fine è stato restituito, lo si deve alla reazione della stessa opinione pubblica statunitense di fronte a un evidente sopruso. Che sfilino 100.000 o 1.000.000 di persone all´Avana con cartelli stampati, magliette acquistate all´estero a caro prezzo, e trasportate dalla provincia con i pullman, non incide minimamente sulle decisioni politiche di qualsiasi governo, tanto più se tutti sanno che queste iniziative sono possibili solo con un enorme sforzo organizzativo ed economico delle autorità centrali. Casomai sarebbe utile che le folle sfilassero nelle strade dei paesi ostili a Cuba, ma dopo l´inquietudine suscitata dalla svolta repressiva, farlo non è certo più facile di prima. Naturalmente c´è chi ha salutato con entusiasmo queste sfilate, compiacendosi perché Fidel "le canta a Berlusconi". Bizzarramente, invece, gli stessi compagni avevano tranquillamente accettato che in passato Fidel elogiasse inopportunamente Berlusconi. Lo aveva fatto nel 1994, assicurando a una giornalista la sua ammirazione per il nuovo premier e la sua indifferenza al colore politico dei partners. L´ambasciata cubana a Roma aveva fatto una "smentita tecnica" basata sulla sfasatura tra la data in cui era avvenuta l´intervista e quella di pubblicazione sul supplemento del "Corriere della sera" (dove era apparsa qualche settimana dopo, corredata da molte foto della giornalista che civettava con Castro). La smentita era stata presa qui per buona, ma non aveva impedito che a Cuba l´intervista fosse presentata come realmente esistita. Poi nel 2002 c´è stata un´intervista a Castro dello stesso genere, apparsa su "Chi", che conteneva un nuovo elogio a Silvio Berlusconi. A farla era stata un´avvenente attricetta, Katia Noventa, che pare sia stata cognata di Berlusconi, e che era stata invitata a Cuba come "testimonial" dell´Habano, il sigaro simbolo di Cuba. Non si sa per quali meriti la suddetta signora sia stata invitata e poi fatta sedere al tavolo d´onore accanto a Fidel. Castro in quell´occasione avrebbe detto di Berlusconi che, pur non avendo mai avuto "l´onore di conoscerlo" personalmente, sapeva che "con l´attuale governo l´Italia sta sopportando la crisi meglio di altri paesi europei". Da quello che gli hanno spiegato, proseguiva, "l´Italia, grazie al suo sistema basato sulla piccola e media impresa ha creato più posti di lavoro." Di conseguenza "le condizioni sono nettamente migliori rispetto al resto d´Europa." Chissà da chi ha avuto queste informazioni... Fidel ha detto in quell´intervista che sperava di incontrare Berlusconi in qualche vertice, asserendo che non avrebbe problemi: "ritengo utile tutto ciò che può aiutare un´intesa, uno scambio in qualsiasi campo. Sono molti gli imprenditori italiani che stanno investendo a Cuba". Fidel ha detto poi delle banalità sulla "bilancia politica" che porta al governo un giorno la destra, un giorno la sinistra", ma più spesso ora la destra, perché questa si unisce mentre la sinistra si divide, aggiungendo che comunque "il fatto che ci siano sempre più governi conservatori non mi colpisce. Per noi non cambia nulla, abbiamo avuto rapporti eccellenti con governi conservatori" e anzi abbiamo amici di sinistra, ma "anche amici che sono di governi di destra". Infatti Castro è molto amico dell´ultimo vero franchista spagnolo, il galiziano Fraga Iribarne... A un corsivo di "Liberazione" che aveva osato esprimere perplessità sull´opportunità di quell´intervista, aveva risposto il giorno dopo una giornalista dello stesso quotidiano, Maria R. Calderoni, con una lettera in cui diceva di non trovarci "niente di scandaloso": i giudizi positivi sul governo Berlusconi, le sbrigative equidistanze tra destre e sinistre europee le sembravano "più frasi di circostanza, in un contesto che riflette il difficile momento economico che attraversa l´Isola (in gran parte sempre per colpa Usa... ) Insomma quel che dice e fa il líder máximo va sempre bene. Se elogia Berlusconi la fa per "tattica", se lo insulta è perché è coraggioso. Un atteggiamento che ripropone quello avuto per tanto tempo da gran parte della sinistra di fronte a ogni zig zag di Mosca e di Pechino... * * * * * Peccato che la rivoluzione cubana sia stata un po´ diversa, e un po´ più complessa, di come la immaginano e rappresentano i suoi più recenti esaltatori, e presenti non poche soluzioni di continuità nella sua storia. Eduardo Galeano, dopo aver denunciato gli orribili approdi delle socialdemocrazie da un lato, degli "Stati comunisti" dall´altro, ha scritto efficacemente: "La rivoluzione cubana è nata per essere diversa. Sottoposta a un´incessante persecuzione imperiale, è sopravvissuta come poteva e non come voleva. Il suo popolo generoso e coraggioso si è molto sacrificato per restare in piedi in un mondo pieno di inginocchiati. Ma nel duro cammino percorso in tanti anni, la rivoluzione è andata perdendo quel vento di spontaneità e di freschezza che dall´inizio la spingeva avanti. Lo dico con dolore. Cuba duole." Per la ricostruzione delle tappe principali di questo processo, in genere ignorato o banalizzato, rinvio a un mio articolo recentissimo apparso sul n. 3 (maggio-giugno 2003) di Erre, Cosa rimane della rivoluzione cubana, che fa una sintetica ricostruzione delle varie fasi della sua vicenda. Posso solo accennare qui che i momenti di svolta furono molti e complessi, dall´esaltante partecipazione popolare alla battaglia di Playa Girón e alla "crisi dei missili", che incrinò i rapporti con l´URSS ripristinati solo due anni prima, ai tentativi di forzare i tempi - dopo la partenza di Guevara - con soluzioni estremistiche come la cosiddetta "offensiva rivoluzionaria" del 1968, che nazionalizzò anche le più piccole attività artigianali e commerciali con effetti disastrosi, o la "Grande zafra" del 1971 che tentò (sia pure per un motivo degno, quello di rendere Cuba meno dipendente dall´URSS) di raggiungere i dieci milioni di tonnellate di zucchero, ma si concluse in un fallimento per le forzature (che ricordavano il "grande balzo" cinese del 1958) volute da Fidel ma per cui pagò il ministro dello zucchero e principale collaboratore del Che, Orlando Borrego (che si era opposto, in nome dei rigorosi criteri economici di Guevara, ma per questo perse il posto di ministro pagando per gli errori altrui). Ci furono le imprese africane iniziate per scelte internazionaliste generose e indipendenti: non solo quelle degli anni Sessanta a cui partecipò anche il Che, ma anche quella più rilevante e prolungata, a sostegno dell´Angola; ma furono poi costrette a fare i conti con la politica dell´Unione Sovietica, il cui sostegno logistico ed economico era indispensabile ma condizionante. Il rapporto con l´URSS fu nella sostanza più autonomo di quanto non sembrasse allora ai denigratori, soprattutto dell´area maoista dogmatica, che consideravano Castro un fantoccio del Cremlino e quindi disposto anche ad accordi di coesistenza pacifica con Washington. Tuttavia tra il 1971 (quando il fallimento della zafra obbligò a stringere i rapporti con i "paesi socialisti" entrando nel Comecon) e il 1986, ci furono molte concessioni ideologiche al potente alleato, come la chiusura di riviste e di centri universitari aperti agli apporti del marxismo critico occidentale, sostituiti da un´apologia grottesca del "grande marxista-leninista" Leonid Breznev. Ma il gruppo dirigente cubano dimostrò la sua lungimiranza nel 1986 quando cominciò lo sganciamento dall´URSS, che tra l´altro aveva informato Raúl Castro che non era disposta a morire per Cuba. La difesa fu riorganizzata con l´aiuto di consiglieri vietnamiti, e basata di nuovo su quelle milizie popolari, che i sovietici negli anni Settanta avevano fatto disarmare. Fu soprattutto l´intuizione del precipitare di quella crisi dell´URSS che Guevara aveva previsto nei suoi ultimi scritti (rimasti per questo inediti) che spinse il gruppo dirigente cubano a prepararsi al crollo, con una campagna antiburocratica chiamata rectificación de errores, e con una politica di risparmio energetico che permise all´isola di sopravvivere, sia pur con terribili sacrifici, al momento della brusca interruzione delle forniture sovietiche di combustibile. Nel 1994 si raggiunse l´apice della crisi, con il tentativo di fuga in massa dei balseros su zattere improvvisate ma anche dirottamento di battelli di linea. Come già era avvenuto nel 1980, quando a 100.000 cubani fu concesso di partire su imbarcazioni autorizzate a venire a prenderli dalla Florida nel porto di Mariel, anche nel 1994 Castro permise la partenza a chiunque fosse in grado di farlo con mezzi propri, e senza portare minorenni inconsapevoli. Di fronte alla prima manifestazione di protesta, Castro si presentò nelle strade dell´Avana accompagnato solo da un servizio d´ordine di operai disarmati. Erano possibili dunque strade diverse dalla repressione. Tuttavia in quel "periodo speciale" furono prese altre misure, per alcuni aspetti necessarie, ma certo foriere di nuovi problemi. In primo luogo fu legalizzato il possesso di dollari, senza indagini sulla provenienza (rimesse clandestine dai parenti emigrati a Miami, o frutto di attività illecite, dalle mance in dollari agli scippi ai turisti, e alla prostituzione che ricominciava ad apparire ai margini dei grandi alberghi). E si creò così un doppio mercato, in pesos per la maggioranza dei cittadini, con pochissimi prodotti a prezzi irrisori, e in dollari, con ogni ben di dio, per chi i biglietti verdi se li era procurati in qualche modo. Il vantaggio immediato fu che con i dollari sottratti al mercato nero e affluiti nella casse governative fu possibile acquistare petrolio per ridurre la gravissima crisi energetica. Contemporaneamente, per supplire alla crisi della produzione di zucchero, dovuta alla mancanza di concimi ma anche alla disorganizzazione, si puntava a potenziare l´industria turistica, con un´apertura a rapaci imprenditori stranieri, espertissimi nella partita doppia, e che non esitavano a corrompere chi doveva controllarli, data l´enorme sproporzione tra i loro profitti e i modestissimi redditi dei funzionari locali. Intanto agiva sul morale dei cubani l´effetto di quella crisi dell´URSS che Guevara aveva previsto quasi vent´anni prima, mentre si aggiungeva nel 1990 l´esperienza traumatizzante della fine del sandinismo in Nicaragua, che venne attribuita dai dirigenti cubani solamente al "pluralismo politico", dimenticando che prima degli ultimi gravi errori e dell´inizio di una corruzione dilagante il sandinismo aveva trionfato in elezioni ugualmente pluraliste. Sullo stesso crollo dell´URSS è mancato un vero bilancio, mentre si è diffusa tra i quadri intermedi e superiori una discutibile idealizzazione della "resistenza" della Cina, con l´illusione di poterne imitare l´esempio. Cuba, continua per giunta ad avere un sistema informativo del tutto inadeguato, soprattutto tenendo conto dell´inarrestabile propaganda delle radio controrivoluzionarie della Florida, che un po´ tutti ascoltano quando possono. Il gruppo dirigente ha spesso zig zag incomprensibili: grande duttilità (e dignità) al momento della pericolosa visita del papa, e poi reazioni di panico di fronte alla modesta sfida di 11.000 firme su una petizione, a cui si risponde chiedendo al 98% dei cubani di pronunciarsi sulla "irrevocabilità" del socialismo (già visto!). L´improvviso allontanamento dal potere di dirigenti, tra cui alcuni indicati come possibili successori di Fidel (i più noti sono stati Carlos Aldana e Roberto Robaina, negli ultimi anni) non è mai stato spiegato, e dopo la loro sparizione dalla scena pubblica (per andare a fare i cincinnati in qualche azienda di secondo piano) ha lasciato molti dubbi sulle divergenze all´origine della loro caduta. Sono segni di una sostanziale rigidità del meccanismo di direzione in un momento difficile, dovuti non solo al permanere di criteri ereditati dal periodo di maggiore influenza sovietica, ma anche ai limiti soggettivi di Fidel Castro. L´attuale inasprimento repressivo sembra riflettere una maggiore insicurezza rispetto al passato (quando il problema di chi voleva andarsene era stato risolto in modo ben diverso). Ci auguriamo che non sia il riflesso di un aggravamento dei problemi sociali, di cui ovviamente potrebbe tentare di approfittare un imperialismo sempre più aggressivo e senza freni. In ogni caso continueremo a sostenere Cuba contro i suoi nemici, senza sposarne incondizionatamente quelli che ci sembra legittimo considerare errori che la indeboliscono. Abbiamo tentato di ricostruire le molte svolte e i molti bruschi cambiamenti di linea (e abbiamo lasciato da parte le frequenti oscillazioni tra apertura e improvvise chiusure dei mercati contadini) proprio per chiarire che, contrariamente a quel che pensano gli inguaribili "nostalgici" dello scomparso "socialismo realmente esistente" ci sembra difficile considerare Fidel Castro "infallibile".