Raul Mordenti, "Lavori in corso", n. 177, 11 maggio 2012
Libri e articoli usciti negli ultimi tempi stanno operando una sorta
di revisionismo storico e teorico per infangare la figura di Antonio Gramsci.
Una risposta netta e precisa da parte di uno degli studiosi e degli
attivisti politici più attenti alla lezione di Gramsci stesso.
Il marzo del 2012 è stato un mese davvero difficile per Antonio
Gramsci e per Palmiro Togliatti! Prima è uscito un libro che insinuava
che Gramsci fosse diventato alla fine un bravo liberale, con precoci
tendenze veltroniane, e che Togliatti avesse inguattato uno dei suoi
Quaderni per non far sapere al popolo bue la notizia. Poi un saggio che
rivelava come Gramsci si fosse pentito e avesse chiesto scusa a
Mussolini, dato che altrimenti – codice alla mano – egli non avrebbe
potuto usufruire della generosa libertà vigilata, coi Regi Carabinieri
fuori la porta, che allietò i suoi ultimi anni di vita. Infine ha
visto la luce un libretto che spiegava come Gramsci fosse brutto e cattivo
e dicesse le parolacce mentre Turati invece no, era bello e buono e predicava
l’amore universale. Quest’ultimo prodotto – chiamamolo così – riceveva
per giunta la personale benedizione di San Saviano che ex cathedra, cioè
su “Repubblica”, lo definiva senz’altro “la più bella riflessione
teorica sulla sinistra fatta negli ultimi anni” (sic!).
Nell’epoca del vuoto e ferreo dominio dei media poco è importato
che, nel merito, tutti e tre questi prodotti e i rispettivi autori (di
cui, anche per rispetto dei lettori più giovani, non si vuol qui
fare il nome) siano stati in forme diverse, smentiti, sbugiardati, insomma
(absit iniuria…) sputtanati in modo tale che in un paese civile avrebbe
dovuto provocare cambi di cognome e plastiche facciali.
Ma “Repubblica” non ha dato notizia di tali sputtanamenti e, dunque,
essi non sono mai avvenuti.
Al primo è stato fatto notare, da parte di chi Gramsci l’ha
studiato davvero (ad es. dal prof. Francioni che prepara un’altra edizione
critica del Quaderni), che la sua tesi non stava in piedi, costringendo
l’autore di quel prodotto a scrivere pubblicamente – come se niente
fosse – che la sua era pura invenzione e fiction, così come si usa
negli USA quando non ci sono documenti.
Al secondo è stato fatto presente che il codice a cui egli faceva
riferimento per sostenere l’avvenuto pentimento di Gramsci era quello del
1962, e che al tempo di Gramsci (guarda caso!) il codice del 1962
non era in vigore.
Destino peggiore quello toccato al terzo, che prima di essere nominato
da San Saviano “teorico della sinistra” era meglio noto come autore di
un un memorabile intervento sul “Giornale” intitolato “Si scrive
no TAV, si legge BR”. Il suo libretto (definito dallo storico Angelo
D’Orsi “una porcheria”) presentava sistematiche de-contestualizzazioni,
citazioni sbagliate e tagliate ad arte, falsi ed omissioni, errori ridicoli
(come Loira, il fiume, al posto di Loria, il prof. Achille, o come
il concetto di “costumi” interpretato come “modo di vestire”, etc.), date
erronee, bibliografie incomplete e grottesche, per non dire delle argomentazioni
“teoriche” del tutto degne per il loro livello di tale apparato – diciamo
così – scientifico.
Noi che siamo comunisti, e dunque oltre che cattivissimi siamo anche
sospettosi, ci chiediamo: perché questa vera e propria campagna
contro Gramsci? E perché proprio ora?
La risposta che ci diamo pensa male, ma dunque forse ci azzecca: perché
si tratta di operare una sorta di censura preventiva in merito all’idea
di rivoluzione in Occidente, per riprendere a pensare la quale
proprio Gramsci rappresenta il punto più alto (come dimostra
il Dossier “Ripensare con Gramsci la rivoluzione in Occidente” pubblicato
dalla rivista “Progetto Lavoro” nel numero 10 del gennaio 2012).
“Hai visto mai – si sono forse detti i sobri dittatori che ci governano
– che, di fronte alla crisi del capitalismo reale, venga in mente a qualcuno
di leggere, o ri-leggere, Gramsci per ri-cominciare a pensare la
rivoluzione?”. Dunque la miserabile campagna contro Gramsci è
un po’ come una manganellata ideologica preventiva, e somiglia dunque da
vicino alle manganellate reali che vengono propinate ormai
abitualmente al popolo No-Tav.
Nel 75° anniversario della tua morte (27 aprile 1937), compagno
Gramsci, questo terrore dei nostri avversari nei tuoi confronti rappresenta
la testimonianza più evidente della vitalità del tuo pensiero,
e anche per questo porteremo quest’anno un fiore rosso sulla tua tomba
al Cimitero degli Inglesi, magari sorridendo insieme di questi poveracci
che ti attaccano.