Legge elettorale, la scienza misteriosa dei soliti noti

Raul Mordenti, www.controlacrisi.org, 5 settembre 2012


Poche cose sono importanti in una democrazia come la legge elettorale. Eppure in questi giorni la “strana” maggioranza che sostiene Monti sta varando una nuova legge elettorale, senza alcun dibattito vero nell’opinione pubblica e circondata dal più assordante silenzio (ahimé, sembrerebbe anche da parte dei Partiti della sinistra di opposizione).
La legge elettorale stabilisce, per così dire, le regole del gioco, e dunque più di qualsiasi altra legge essa dovrebbe tutelare non solo la maggioranza ma, evidentemente, anche tutte le minoranze, e direi perfino chi è stato escluso dal Parlamento, a causa della legge elettorale “porcellum” che si dice unanimente di voler superare. Appartiene alle vergogne del berlusconismo il fatto che la legge elettorale “porcellum” sia stata partorita – nel proprio esclusivo interesse – dalla maggioranza berlusconiana di allora, così come – occorre riconoscerlo – appartiene alla vergogne del centro-sinistra non aver modificato quella legge negli anni del Governo Prodi in cui esso (PRC e PdCI compresi) era maggioranza in Parlamento. E ora si vuole ripetere quell’obbrobrio? Cioè costruirsi una nuova legge elettorale “su misura”, magari non più solo su misura della destra berlusconiana ma anche delle altre componenti (leggi: PD) dell’attuale maggioranza? Fra le “voci” che hanno accompagnato le trattative fra PdL, PD e UDC per la nuova legge elettorale (tutti gli altri sono esclusi!) si è giunti perfino ad ipotizzare un premio di maggioranza “doppio”, per i primi due partiti (un non-senso politico e giuridico che non esiste in nessun Paese del mondo), oppure a escludere dallo sbarramento chi avesse dei quozienti alti in almeno tre Regioni (una norma evidentemente pensata su misura per la Lega Nord), o il cosiddetto “semi-presidenzialismo” (che in realtà sarebbe un iper-presidenzialismo) che affiderebbe enormi poteri a un uomo solo eletto direttamente, in evidente spregio al carattere parlamentare della nostra Costituzione, o altre porcherie “su misura” del genere; per questa via si potrebbe arrivare a mettere nella legge elettorale che valgono di più i voti dati a Partiti che hanno un segretario con i capelli finti oppure uno semicalvo ma purché abbia un forte accento emiliano. Per fare un paragone calcistico, produrre con questi metodi una legge elettorale sarebbe come affidare a un duetto composto da Moggi e Galliani il potere di nominare gli arbitri e anzi di decidere anche le regole del campionato. Possiamo accettarlo?
Io penso che se c’è una materia in cui il Presidente della Repubblica dovrebbe svolgere il suo ruolo di garante della Costituzione, ebbene tale materia è la legge elettorale! Non spetta al Presidente della Repubblica fissare il calendario dei lavori parlamentari (come Napolitano fece nel dicembre 2010, salvando Berlusconi che aveva perso la maggioranza), né invitare il Parlamento a sbrigarsi a votare le fiducie o a obbedire alla Banca Centrale Europea; ma credo che spetterebbe a lui affermare fin d’ora che si rifiuterà di firmare una legge elettorale che sia in contrasto con la Costituzione, e specificamente che violi l’art.48 della Costituzione Repubblicana il quale recita: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto”.
Se noi invece assumiamo, come dobbiamo fare, l’art.48 come nostra bussola, ne derivano alcune conseguenze, che a me paiono evidenti, e che ci permettono di orientarci sui quattro principali punti in discussione: a) il premio di maggioranza, b) lo sbarramento, c) le preferenze; esaminaiamoli partitamente.
a) Il premio di maggioranza; questo è, direi “per definizione”, la violazione del carattere “uguale” del voto previsto dall’art.48. Se un voto presenta una maggiore (chiamiamola così) vis electiva o capacità di eleggere rispetto a un altro voto, insomma se un voto vale di più di un altro, ecco che il carattere “uguale” del voto degli elettori va a farsi benedire.
Ricordo che il premio di maggioranza fu introdotto dalla legge fascista Acerbo per chi superasse il 25% dei voti, e che esso consentì a Mussolini di avere una maggioranza schiacciante di deputati pur senza avere la maggioranza dei voti. Il premio di maggioranza era previsto dalla “legge truffa” del ’53 (battuta dal movimento democratico), ma rispetto al “porcellum” e alle proposte attuali la “legge truffa” era rose e fiori, giacché essa richiedeva almeno che ne fruisse chi avesse riportato il 50% più uno dei voti (e per questo la “legge truffa” non scattò); ora si vorrebbe invece addirittura rendere maggioritario in Parlamento il partito “primo arrivato” che non ha riportato però la maggioranza dei voti. Esattamente come ha fatto la fascistissima legge Acerbo. Il premio di maggioranza viene motivato, da un’ossessiva e pressoché unanime campagna di stampa, con l’esigenza della “governabilità”. Non è questa la sede per valutare teoricamente questo concetto (che a me appare intrinsecamente anti-democratico); mi limito a far notare che – antidemocratico o no che sia – si tratta comunque di un concetto truffaldino e insostenibile: potrebbe infatti darsi che il Partito che riporta più voti, avendo così diritto al premio di maggioranza (“almeno del 15%!”, si dice che abbia detto Bersani, convinto di aggiudicarselo) non sia però in grado di formare attorno a sé una coalizione maggioritaria e debba perciò stare all’opposizione; in questo caso (niente affatto impossibile: ipotizziamo che il PD “arrivi primo”, ma che la somma di Berlusconi, Lega e UDC sia maggioritaria, o, viceversa, che Berlusconi arrivi primo, ma che la somma PD, UDC, IdV sia maggioritaria) ecco che il premio di maggioranza a chi “arriva primo” impedirebbe la costituzione di un Governo, invece di favorirla.
Poiché il nostro infelice Paese sembra avere la memoria corta (e il monopolio borghese dei mass media serve efficacemente a garantire queste “dimenticanze”), mi permetto di ricordare che proprio il premio di maggioranza del “porcellum”, combinato con lo sbarramento delle liste che non avevano raggiunto il 4% dei voti, fu ciò che consentì il Governo di Berlusconi (Vedi Tabella).
b) Lo sbarramento; per questo punto vale dunque quanto detto in precedenza: si tratta di una violazione palese del principio di eguaglianza del voto sancito dall’art.48: il mio voto non è più eguale al tuo se il mio – per ipotesi – non può eleggere nessuno. Ma è anche una violazione del carattere libero del voto, giacché se io sono costretto a scegliere un Partito sicuro di superare il 4% dei voti, per non rischiare di vedere annullato il mio potere di eleggere, ecco che anche la libertà del mio voto (non solo la sua uguaglianza) è conculcata. Quanti bravi compagni (bravi si fa per dire…) hanno votato nel 2008 per il PD dei Calearo o delle Binetti perché si sono sentiti “costretti” a farlo dal “porcellum”, in contrasto con le loro più profonde convinzioni? Vogliamo rifarci? Non si rende conto il PD che, riproponendo tale miserabile trucchetto, questa volta otterrebbe solo un aumento inaudito delle astensioni o del voto a Grillo?
Faccio notare che grazie allo sbarramento ci sono stati nel 2008 ben 3.578.000 voti espressi, pari al 10% degli elettori (sarebbero il terzo partito italiano!), che non hanno avuto alcuna rappresentanza parlamentare. Una vergogna. Ora propongono di portare la soglia al 5%. E perché mai? Perché non al 7% o al 2% o al 13%? Forse perché le liste che il PD vuole tenere fuori dal Parlamento sono ora date dai sondaggi attorno al 4%? E se la FdS fosse data al 5% lo sbarramento sarebbe portato al 6%? Ma può essere questa una motivazione per una legge elettorale di un paese che si dice democratico? E faccio ancora notare che il 5% dei voti corrisponde circa a due milioni e mezzo di voti. Perché due milioni e mezzo di cittadini/e non debbono poter avere una rappresentanza parlamentare? L’unico sbarramento che non è contraddittorio con la nostra Costituzione è quello fisiologico, vigente fino al 1992, cioè quello rappresentato dal quoziente necessario per eleggere un deputato (il numero dei voti validi totali diviso per il numero dei parlamentari da eleggere).
In questo caso si dice ossessivamente (con la potenza di fuoco dei media) che questo serve a evitare la cosiddetta “frammentazione”. Argomento del tutto risibile. Intanto mi permetto di dire che se l’elettorato vuole “frammentare”, cioè produrre con il suo voto un Parlamento in cui siano rappresentati molti Partiti, non si vede quale mamma o quale papà debbano impedirglielo, e in base a quale criterio democratico ciò possa avvenire. Democrazia è dove gli elettori giudicano il potere e non dove il potere giudica gli elettori. Ma soprattutto l’esperienza dimostra (ancora una volta: basterebbe un po’ di memoria) la falsità di questo argomento. Con la proporzionale, fino al 1992-3 c’erano in Parlamento 8 o 9 Partiti; con il premio di maggioranza e lo sbarramento il loro numero era salito e oscillava fra i 30 e i 40! E il motivo è presto detto: per sfuggire alla tagliola dello sbarramento e per contribuire a far scattare il premio di maggioranza si è costretti a presentarsi al voto tutti assieme appassionatamente, poi, dopo le elezioni, le differenze riemergono e ci si scinde formando direttamente in Parlamento il proprio partitino, si chiami questo la “Dc di Rotondi” o l’MPA di Lombardo o FLI di Fini o l’API di Rutelli o il Partito radicale o i Repubblicani o i “responsabili” o il come-si-chiama dei vari Scilipoti, De Gregorio, Sgarbi, Misiti, etc. E poi hanno il coraggio di parlare della “frammentazione” causata dalla proporzionale!
c) Le preferenze. E veniamo all’ultimo problema aperto, le preferenze. Se c’è una cosa che è apparsa odiosa e intollerabile del “porcellum” all’opinione pubblica democratica questa è stata senza dubbio l’abolizione delle preferenze, cioè l’affidamento alla segreterie dei Partiti del potere di nominare i parlamentari. Bastava essere messo in lista nella posizione giusta e l’elezione era assicurata. Così, come Caligola elesse al Senato il proprio cavallo, Berlusconi elesse con questo sistema al Parlamento i suoi famuli e le sue veline (e alla Regione Lombardia la Minetti) senza che nessun elettore li abbia mai votati nominativamente. Tutti, almeno nel centro-sinistra, hanno condannato per anni questo sistema oltraggioso; ma ora si dice che sia proprio il PD la parte più decisa a voler conservare questo obbrobrio. Il compromesso sarebbe nominare un 75% dei parlamentari e lasciar scegliere agli elettori (bontà loro!) il restante 25%, o variare queste percentuali ma garantendo comunque che le segreterie dei Partiti possano nominare una bella quota di parlamentari (per ipotesi: quelli fra i loro che hanno più necessità dell’immunità parlamentare?). Anche in questo caso l’argomento propagandistico addotto, e ripetuto fino alla nausea, è il voler evitare la corruzione legata alle campagne elettorali individuali e al possibile “voto di scambio”; ma con questo ragionamento, vagamente razzista, tanto vale abolire le elezioni, dato che gli elettori possono essere corrotti. E non possono essere dei corrotti e dei corruttori quelli che li nominano? Di nuovo, l’esperienza di questa Legislatura ci dimostra, con la forza inoppugnabile dei fatti, che non c’è stato Parlamento più corruttibile e più corrotto di questo dei “nominati” che non sono passati per la preferenza nominativa degli elettori. La corruzione elettorale non si sconfigge limitando il potere di scelta delgi elettori ma, ad esempio, sancendo la ineggelibilità (anzi: la incandidabilità) almeno dei condannati, e magari, già che ci siamo, applicando una volta per tutte la inapplicata legge sul limite massimo per le spese elettorali.
Una variante di questa posizione è rappresentata dalla reintroduzione dei collegi uninominali, in cui quello che arriva prima prende tutto e il secondo, fosse anche con il 49,9% dei voti, non prende niente. È evidente il carattere antidemocratico di questo sistema, su cui potremmo argomentare a lungo: basterà dire che può accadere (come in effetti è accaduto in Gran Bretagna, l’unico Paese al mondo che usa un tale sistema) che un Partito abbia la maggioranza dei voti ma tuttavia ottenga una minoranza di seggi, così come può accadere (di nuovo: in Gran Bretagna è successo) che un Partito con il 20% dei voti, ma sparsi su tutto il territorio, non abbia nessun seggio, perché arriva sempre secondo, mentre hanno seggi dei micro-partiti locali capaci di arrivare primi in qualche collegio. Ma l’obiezione fondamentale è un’altra: chi sceglie i nomi da candidare nel collegi, e per ipotesi nel collegi “sicuri”? Di nuovo, evidentemente, le segreterie dei Partiti (e creda chi vuole crederci alla favoletta delle primarie che decidono davvero i nomi dei candidati!); e così si torna – solo con qualche ipocrisia in più – a un Parlamento di “nominati”.
Io penso che il Parlamento dei nominati sia – di nuovo – una violazione della Costituzione, e in modo flagrante dell’art. 67 che recita: “Ogni parlamentare rappresenta la Nazione ed esercita la sua funzione senza vincolo di mandato”, a garanzia della altissima dignità e della assoluta libertà dei parlamentari. Se è del tutto evidente che il parlamentare eletto in un collegio uninominale rappresenta non la Nazione ma solo quegli elettori di quel territorio, è ancora più evidente che il parlamentare nominato (direttamente o indirettamente) dalla segreteria del Partito non risponde più solo alla propria coscienza e ai propri elettori ma risponde, evidentemente, a chi lo ha nominato. A conferma di questa radicale umiliazione della democrazia e del Parlamento, dobbiamo richiamare alla memoria i comportamenti dei parlamentari berlusconiani o, almeno questo, è ancora presente alla memoria di tutti?
Siamo dunque di fronte a rischi gravissimi per la nostra democrazia: la nuova legge elettorale che stanno preparando, praticamente in segreto, i Partiti dell’attuale maggioranza (su propria misura e per tutelare solo i loro discutibili interessi) rischia di introdurre stravolgimenti irreparabili nel fragile tessuto della democraiza italiana. C’è qualcosa che noi, tutti e tutte, possiamo fare per impedire questo esito? È possibile che scenda in campo un movimento democratico ampio ed unitario per rivendicare una legge elettorale rispettosa della Costituzione? Rivolgo queste domande ai nostri lettori e alle nostre lettrici, aspettando risposte.
Certo è che non c’è più molto tempo, anzi non c’è un solo giorno da perdere.