da “Cassandra”, N. 1/2002
Al di là delle retoriche dichiarazioni di principio formulate dalla ministra dell’Istruzione Letizia Moratti e dagli esperti della Commissione coordinata dal professor Bertagna e degli esiti di sondaggi Istat preordinati, già da una prima lettura dei documenti relativi al comparto scuola della Legge Finanziaria e alla ennesima, nuova proposta di riforma dei cicli scolastici si può rilevare che in concreto:
- è previsto il taglio drastico del modulo di tre insegnanti
nelle scuole elementari;
- è previsto il taglio drastico delle ore di lezione (da 12.700
a 9.900 dalla prima elementare all’ultimo anno delle superiori);
- è prevista la cancellazione del tempo prolungato (chi vorrà
le 40 ore dovrà pagarsele, così come alcune materie finora
inserite nell’ordinamento);
- è prevista la decurtazione di un anno per tutti gli indirizzi
delle superiori;
viene seppellita definitivamente l’ipotesi di un biennio superiore
unico, cioè di un ampliamento dell’accesso alla formazione culturale
generale per tutti;
- lo stesso obbligo formativo fino a 18 anni già in vigore (che
comunque è ben altra cosa da quello scolastico, il quale si colloca
a 13-14 anni) può essere anticipato e abbreviato grazie ad un credito
accumulato, niente di meno, che dalla frequenza alla scuola d’infanzia;
- la ristrutturazione dell’esame di stato con commissari tutti interni
e con prime e seconde prove stabilite dalle singole scuole prefigura la
compromissione del valore legale del titolo di studio;
- l’affidamento ai singoli istituti della predisposizione dei piani
di studio per le varie discipline, unito alla “devoluzione” alle Regioni
delle competenze in materia di istruzione, è la premessa della disintegrazione
del sistema formativo nazionale;
Di fronte ad un’ipotesi di riforma che conduce allo smantellamento
di un impianto culturale fondato sui principi costituzionali tesi alla
promozione della persona in tutte le sue possibilità di sviluppo
non sono consentiti equivoci ed ambiguità.
Allo stesso modo non sono consentiti benevoli attendismi dinanzi alle
promesse formulate dalla ministra dell’Istruzione di nuovi investimenti
a partire dal 2002 “se la crescita del Pil sarà positiva”, “se la
congiuntura internazionale sarà favorevole”, etc. Bisogna invece
dire chiaramente di che cosa si parla. Essendo obiettivo dichiarato dell’attuale
governo quello di ridurre le spese del personale del 15% nei prossimi cinque
anni, i tagli ammonteranno a 10-12 mila miliardi: ecco come verrebbero
probabilmente trovati i denari da “investire” per il “miglioramento dell’offerta
formativa”.
Il quadro complessivo è, insomma, assai cupo. Resta da vedere
se (come è sperabile) le proteste condotte in queste ultime settimane
dagli studenti che fanno capo ai centri sociali, a Rifondazione Comunista,
all’Ulivo, saranno in grado di fermare l’offensiva della Casa delle Libertà.
Il dato preoccupante è infatti la rottura del fronte sindacale di
tutti i lavoratori della scuola ad ogni livello. Lo Snals, la più
forte organizzazione autonoma di categoria (di cui il professor Bertagna
è un autorevole esponente), è ormai di fatto schierato con
il governo, mentre a livello confederale permangono le divisioni tra Cgil
e Cisl sulla risposta da dare. Entrambi questi sindacati sono peraltro
indeboliti dai loro recenti trascorsi. Nel primo caso nessuno ha dimenticato
l’appiattimento completo sulle politiche scolastiche dei “governi amici”
che ha contrassegnato la Cgil dal 1996 al 2001, per cui l’opposizione barricadera
degli ultimi mesi suscita sospetti dis trumentalizzazione della vicenda.
Nel secondo caso la penosa parabola personale di Segio D’Antoni continua
a gettare un’ombra sulle reali possibilità e intenzioni del sindacalismo
cattolico.
Quanto ai Cobas, per quanto rispettabile sia la coerenza della loro
linea, resta il fatto che oggi rappresentano una percentuale decisamente
minoritaria dei lavoratori della scuola così come la Gilda).