di Gianni Minà, "il Manifesto", 2 ottobre 2002
Chi comanda in Congo? Chi raccoglierà diamanti in Sierra Leone? Chi ha coperto i massacri e i genocidi in America latina? E chi ha armato, negli anni passati, quel crudele dittatore di Saddam Hussein? Le notizie, le analisi dei commentatori italiani spesso nascondono una verità scomoda e dunque ignorata
L'esercizio della verità, nel momento che stiamo vivendo, è
certamente il più disagevole per molti giornalisti intellettuali,
politici, carenti di memoria. La spregiudicata deposizione, sabato scorso,
di Cesare Previti al tribunale di Milano (deposizione nella quale l'ex
avvocato delle cause scabrose di Berlusconi teorizzava sostanzialmente
il suo diritto a commettere reati trattandosi di «fatti suoi»)
ha costretto, in questi giorni, molti opinionisti fino a ieri propensi
alla tesi della persecuzione dei giudici di Milano verso Berlusconi e i
suoi fidi, a prendere le distanze e a chiedere addirittura, come Angelo
Panebianco sul Corriere della Sera, che Forza Italia dimetta Previti
dal mandato di senatore. Una richiesta tardiva, ma evidentemente suggerita
da un contesto inquietante, nel quale proprio Previti, qualche settimana
fa, aveva mandato un avvertimento esplicito al presidente del Consiglio:
«Berlusconi sa come sono andati i fatti».
Costa sempre più fatica, evidentemente, raccontare o analizzare
con onestà una realtà che ormai smentisce ogni sicurezza
sulla bontà del sistema che prevale nel mondo. E questa fatica è
ancora più palese nelle risicate due paginette che i grandi quotidiani
in Italia riservano agli accadimenti del resto del mondo.
La preoccupante piega che ha preso, per esempio, la politica interna
ed estera degli Stati Uniti, ha trovato, recentemente, una spiegazione
seria ed esplicita solo in un fondo di Luigi Pintor uscito sul manifesto.
Un fondo che qualche ipocrita stava sicuramente per definire «antiamericano»
se, proprio il giorno dopo, George W. Bush non avesse reso noto le 33 inquietanti
pagine del «National security strategy of the United States»,
cioè la insensata logica della guerra preventiva.
La scusa di chi sminuisce o fa finta di dimenticare fatti inoppugnabili,
è che bisogna essere «politicamente corretti». Come
se mentire sulla realtà, o eludere, ignorare, nascondere accadimenti
fosse un esercizio morale, giusto e accettabile. E la guerra preventiva,
decisa senza l'autorizzazione di nessuno, oltre «a stabilire un precedente
imbarazzante», come ha segnalato l'ex presidente degli Stati uniti
Bill Clinton, è una realtà che può essere spiegata
con le sordide esigenze della grande industria delle armi, dell'energia
e del petrolio, non con motivazioni strategiche come, con poca dignità,
sostengono opinionisti provenienti perfino dall'intellighenzia di
sinistra.
Recentemente Galli della Loggia si dispiaceva del senso di rimorso
molto cattolico che buona parte dell'opinione pubblica sente verso le popolazioni
povere, mentre secondo lui dei guasti e dei disastri di questi paesi sarebbero
responsabili solo i loro governanti, megalomani e corrotti. Corrotti da
chi, professore? Avrebbe qualche indicazione da darci? Perché Galli
della Loggia, nella sua requisitoria, si è dimenticato di chiarirci
perché, ad esempio, le ricchezze minerarie del Congo non sono in
mano dei cittadini, ma proprietà della Compagnia generale delle
miniere belga che, per quasi 40 anni, dopo l'assassinio di Lumumba (voluto
dalle nazioni coloniali), ha imposto a Kinshasha, un dittatore come Mobutu
Sese Seku. E il professore si è dimenticato di spiegarci anche perché
in Sierra Leone è in corso da tempo una guerra dimenticata per il
possesso dei diamanti. Un conflitto feroce combattuto da fazioni che utilizzano
anche i bambini come soldati, al soldo di alcune delle democratiche nazioni
d'Europa. Questi stati, ufficialmente alleati tra loro, non possono farsi
la guerra in prima persona perché «sarebbe sconveniente».
E allora in vece loro combattono adolescenti che imbracciano, spesso maldestramente,
le armi più moderne in circolazione. La fazione che vincerà
questo conflitto porterà in dote alla nazione «democratica»
che l'ha sovvenzionata i diamanti della Sierra Leone.
Galli della Loggia per rafforzare la sua teoria sulle colpe dei poveri,
comunque responsabili dei propri disastri (anche di quelli imposti dagli
speculatori della finanza) faceva l'esempio di Saddam Hussein che, per
smania di potere, ha fatto guerra per dieci anni all'Iran, dilapidando
la ricchezza che il petrolio regala all'Iraq. Per una disdicevole dimenticanza
però l'opinionista non ha segnalato che quella guerra fra fratelli
la vollero e la sostennero, per motivi strategici legati al mercato dei
gas e del greggio, proprio gli Stati uniti (Bush senior era il capo della
Cia) che crearono e armarono Saddam insieme ad alcune civili nazioni europee.
Fra cui l'Italia che costruì per il rais, alla Oto Melara di La
Spezia, il super cannone e per oliare l'affare utilizzò la sede
di Atlanta della Banca Nazionale del lavoro.
Qual è l'idea di verità che hanno questi intellettuali?
In questi giorni i maggiori giornali italiani hanno scandalosamente ignorato
il tiro a segno contro la casa, a La Plata (Argentina) di Estella Carlotto,
presidentessa delle nonne di Piazza di maggio. Un avvertimento macabro,
con pallottole dello stesso calibro di quelle usate per uccidere, 25 anni
fa la figlia Laura, allora incinta, i cui resti sono stati ritrovati dopo
anni di «desaparecion». La colpa di Estella Carlotto? Aver
denunciato, proprio alla vigilia dell'attentato, la violenza della polizia
argentina che il fotografo Diego Levy ha documentato in un saggio pubblicato
nel n. 78 della rivista Latinoamerica. Il messaggio, specie in questo
momento di disgregazione dell'Argentina è chiaro, mafioso e rivelatore,
come ha spiegato Estella Carlotto, che il clima di impunità e di
incubo già vissuto nella recente storia argentina sta per tornare,
favorito proprio dalle presunte misure «antiterrorismo» volute
dagli Stati uniti in America Latina. Purtroppo questa deriva in una nazione
come l'Argentina, che era l'allieva più ubbidiente delle ricette
neoliberali del Fondo monetario e della Banca mondiale, è sfuggita
all'attenzione dei più importanti mezzi d'informazione italiani.
Paolo Mieli, nella prestigiosa rubrica delle lettere del Corriere
della Sera, rispondendo ad un lettore che lo invitava a parlare dei
gulag dei paesi comunisti alcuni dei quali sarebbero ancora in funzione,
ha dimenticato questa realtà consueta anche nella «macelleria»
Colombia del presidente Uribe, sodale di George W. Bush, oltre che dei
narcotrafficanti e degli squadroni della morte, e normale anche nel Messico
del presidente Fox, dove più di 200 persone sono scomparse negli
ultimi anni nei commissariati di polizia. Mieli non ha accennato nemmeno
alla Birmania o all'Indonesia dei feroci militari, alleati del governo
di Washington, che, in un recente passato, hanno fatto fuori 500 mila «comunisti»,
e messa a ferro e fuoco, fino a ieri, Timor est. In compenso ha indicato
il Vietnam e perfino Cuba, incurante del fatto che qualunque rapporto annuale
di Amnesty International lo smentirebbe. L'unico gulag in funzione
a Cuba è infatti quello creato a Guantanamo dal governo degli Stati
uniti per rinchiudere, in condizioni penose, i prigionieri talebani.
Se ne dimenticano anche molte belle anime riformiste del contraddittorio
mondo della sinistra italiana, giustamente attente ai dissidenti cubani,
ma colpevolmente disinteressati invece a conoscere la reale situazione
dei diritti della gente in molte presunte democrazie latinoamericane, africane
o asiatiche dove, al contrario di Cuba, non c'è nessun rispetto
per la dignità dell'uomo. A molte di queste nazioni convenienti
per i nostri commerci viene quasi sempre perdonato tutto, come all'Argentina
dell'epoca dei desaparecidos. Ed è triste notare come anche questi
famosi riformisti, siano incapaci di proporre qualunque iniziativa che
vincoli la possibilità di stabilire rapporti economici con questi
governanti all'impegno di instaurare nei loro paesi una credibile realtà
sociale, civile e democratica.
Il problema di fondo è che tutte le efferatezze commesse nel
nome del capitalismo sono considerate deprecabili «effetti collaterali»,
come le bombe che in Iraq o in Afghanistan colpivano i civili innocenti,
e comunque accadimenti ineluttabili. Così il fatto che l'amministrazione
di George W. Bush stia ricattando il governo del Costarica per istituire
in quel paese una super scuola di polizia che controlli il disagio crescente
delle masse povere del continente, magari con i metodi crudeli usati dai
militari latinoamericani formati a Fort Benning o nella «Escuela
de las americas», non interessa più né all'informazione
di quella che fu la borghesia illuminata, né alla politica rinunciataria
di parte di quella che fu la sinistra italiana.
Anzi crea fastidio come l'appello del grande poeta argentino Juan Gelman
che, dopo aver ritrovato la nipote partorita dalla nuora desaparecida e
data in adozione dagli aguzzini della dittatura alla famiglia di una poliziotto
di Montevideo, ora insiste con un appello via internet perché l'opinione
pubblica internazionale costringa il presidente uruguaiano Battle a impegnarsi
a ritrovare i resti della nuora in una delle tante fosse comuni sorte in
America latina negli anni `70. Le fosse comuni come gli squadroni della
morte o il terrorismo di stato, erano gli «effetti collaterali»
dell'Operazione Condor, una delle più spietate campagne di repressione
contro qualunque opposizione, messa in atto dalla fine della seconda guerra
mondiale ad oggi, e voluta in America Latina, negli anni `70, dal presidente
nordamericano Richard Nixon.
All'Operazione Condor si deve fra l'altro il genocidio, negli anni
`80 delle popolazione Maya in Guatemala, l'ultimo sfregio del secolo dopo
quello nazista. I dati che il rapporto Onu «Memoria del silenzio»
ha documentato, solo tre anni fa, sono agghiaccianti: duecentomila morti,
trentamila desaparecidos, seicentoventisette massacri accertati, quattrocento
villaggi scomparsi dalla carta geografica, quasi tremila fosse comuni.
Il rapporto documentò anche la complicità del governo di
Washington nel genocidio tanto che Bill Clinton volò a Città
del Guatemala per chiedere scusa agli eredi dei Maya. E' per storie indecenti
come questa che Bush junior osteggia e rifiuta il Tribunale penale internazionale.
Ho ricordato questi accadimenti tante volte e anche in una lettera
a Mieli che mi aveva chiamato in causa nella sua rubrica. Purtroppo di
questo terrorismo di stato tanto recente e ancora incombente nella società
che viviamo, quella della «guerra continua», pochi si vogliono
ricordare forse perché più inquietanti di molte efferatezze
del comunismo.
L'esercizio della verità, il rispetto della memoria, la forza
inconfutabile di certe realtà non sono convenienti e quindi vanno
elusi. Con buona pace dell'etica dell'informazione.