La macchina delle menzogne della Nato
Genocidio in Kossovo?

di Ed Herman e David Peterson, da Zmag


L'impresa "umanitaria" della NATO in Kosovo è stata costruita su una struttura di menzogne, molte delle quali provenienti dai quartieri generali della NATO e dai funzionari delle potenze NATO e acriticamente ritrasmesse dai media principali dei paesi NATO. Una delle grandi ironie dell'Operazione Forza Alleata, la breve guerra della NATO del 1999 contro la Serbia, fu che le apparecchiature di trasmissione della Iugoslavia furono bombardate con la scusa che fossero delle "macchine della menzogna" che servivano l'apparato di guerra iugoslavo.
 

Questo fu messo in contrasto con i media NATO, che nella visione degli esponenti della NATO, come in quella degli addetti ai media, erano invece "obbiettivi" e fornì quello che Richard Holbrooke descrisse come un reportage "esemplare". Non è mai successo ai leader dei media e ai giornalisti che l'elogio di Holbrooke li imbarazzasse - sebbene fosse stato Slobodan Milosevic ad aver lodato il comportamento dei media serbi come "esemplare" - sospettiamo che i loro corrispondenti del blocco NATO abbiano interpretato questo come prova dell'accusa di "macchina della menzogna". Il doppio standard corre profondo.

Un'importante ragione della congruenza tra la visione di Holbrooke e quella dei media fu la coscienza di fare la cosa giusta che accompagnava l'Operazione Forza Alleata. La convinzione della NATO di combattere una "guerra giusta" contro un nemico malvagio è stata così ben coltivata nel primo decennio che per i media, "unirsi alla squadra" e quindi promuovere lo sforzo della guerra sembra perfettamente consistente con "l'obbiettivo" riporto delle notizie. Questa prospettiva, che non era condivisa da molti governi e media fuori della NATO o da energici ma marginalizzati media nei paesi NATO, era ideale dal punto di vista dei responsabili della guerra NATO, considerato che trasformò i media principali in braccia di fatto della propaganda NATO. Infine, questo diede alla NATO e ai suoi governi dominanti la libertà di ignorare sia l'opinione sia la legge internazionali e di distruggere e uccidere, il che sarebbe stato molto più difficile da ottenere se il comportamento dei loro media fosse stato meno "esemplare".

Genocidio politicizzato

Uno dei molti successi della macchina delle bugie della NATO fu quella di apporre l'etichetta di "genocidio" sui Serbi per le loro operazioni in Kosovo. "Genocidio" come "terrorismo" è un termine spiacevole ma indistinto, che è stato a lungo usato nella propaganda per descrivere la condotta di nemici ufficiali. Evoca immagini di campi di sterminio nazisti ed è frequentemente usato assieme alla parola "olocausto" per descrivere uccisioni che vengono disapprovate. Nel modello Nazisti-Ebrei dell'olocausto, genocidio implica il tentativo di cancellare un'intera popolazione. Ma nella Convenzione sul Genocidio del 1948 la parola fu definita più lascamente come un atto "commesso con l'intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale". La convenzione include anche tra gli atti di genocidio quelli che causano un serio "danno mentale" o infliggono "condizioni di vita" mirati a questa distruzione. Questa vaghezza ha contribuito alla sua politicizzazione e Peter Novick nota come negli anni cinquanta i suoi utilizzatori "si concentravano quasi esclusivamente sui crimini, a volte reali a volte immaginati, del blocco Sovietico" (L'Olocausto nella Vita Americana).
E' un fatto noto che l'amministrazione Clinton si trattenne prudentemente dall'usare la parola genocidio da applicare ai grandi massacri del 1994 dei Tutsi in Ruanda da parte degli Hutu. L'aver consentito l'uso della parola in quel caso avrebbe suggerito la necessità di agire e avendo deciso di non agire, ne seguì coerentemente la decisione di evitare l'uso di una parola emotiva che avrebbe mobilitato l'opinione pubblica sulla necessità di agire.
Per contrasto, nel caso del Kosovo la decisione di agire richiese la mobilitazione di opinione per sostenere l'intervento violento, così ne scaturì l'uso aggressivo della parola genocidio.
Nel contesto delle guerre a seguito della disintegrazione della Iugoslavia, e nel suo opportunistico uso in altri contesti, la parola genocidio è stata applicata lascamente ovunque siano state uccise persone che fossero ritenute vittime "meritevoli". Dal nostro punto di vista questo non è solo opportunismo ma anche una corruzione di significato di una parola il cui unico senso implica non soltanto l'uccisione o il massacro ma anche un tentato sterminio di un popolo, in tutto o in una parte significativa.

Genocidio appuntato sulla Serbia

La parola genocidio fu applicata ai Serbi nei primi anni 90 da alcuni analisti e giornalisti occidentali che si erano allineati ad altre fazioni Iugoslave (soprattutto i Mussulmani Bosniaci), ma fu usato frequentemente durante i 78 giorni della campagna NATO di bombardamento ed un poco dopo. In buona parte questo uso allargato fu un risultato dell'isteria virtuale dei leader NATO per la reazione Serba al loro bombardamento, che si era stato reso necessario come necessario per fermare le brutalità Serbe contro gli Albanesi del Kosovo ma che causò il loro esponenziale incremento. Con l'aiuto dei media, e le grida di genocidio, Tony Blair, Bill Clinton, Gerhard Schroeder e gli altri portavoce NATO furono abili a trasformare le conseguenze della loro strategia di bombardamento, la crisi dei rifugiati, nella sua retrospettiva giustificazione.
Per fornire argomenti in loro favore i leader NATO ebbero bisogno di un generoso numero di vittime, storie di terrore Serbo e immagini di donne e bambini messi in fuga o trasportati su treni per l'espulsione, lasciando rievocare i treni per Auschwitz. Il numero di presunti "scomparsi" e proposto per rappresentare le vittime del massacro da William Cohen il 16 Maggio fu di 100.000, un numero che raggiunse il picco di 500.000 in una stima del Dipartimento di Stato. Sia durante che dopo la campagna di bombardamento, il maggior interesse dei media che collaboravano con la NATO era quello di trovare vittime; fu lanciata una corsa a scoprire e documentare "fosse comuni". Ci furono molte vittime ma l'appetito dei media per loro era insaziabile e la loro credulità li portò a compiere numerosi errori, esagerazioni e false interpretazioni (vedi per molte illustrazioni l'edizione di Philip Hammond e Edward S. Herman,. "Capacità degradate: i Media e la Crisi del Kossovo", di prossima pubblicazione per la casa editrice Pluto). Numerose immagini pubblicate di donne e bambini Albanesi in partenza erano associati all'"Olocausto" sebbene, come fece notare un commentatore inglese, "i Nazisti non misero gli Ebrei su un treno per Israele, come ora i Serbi mettono i Kosovari di etnia Albanese sul treno verso l'Albania" (Julie Burchill, Guardian, 10 aprile 1999).
La parola genocidio fu riferita alle operazioni dei Serbi in Kosovo anche prima del bombardamento NATO, sebbene il numero dei morti ammazzati nei primi 15 mesi fosse forse di 2000 per entrambi i fronti e nonostante il fatto che non ci fosse alcuna prova dell'intento di sterminare o espellere tutti gli Albanesi. Il conflitto in Kosovo fu una guerra civile con precise sfumature etniche e fu una repressione brutale ma non inusuale (meno feroce di quella perpetrata dall'esercito Croato contro i Serbi della Krajina nell'agosto del 1995, nella quale circa 2500 civili vennero massacrati nel giro di pochi giorni). Anche nel periodo del bombardamento il termine genocidio era grottescamente inapplicabile. La reazione Serba al bombardamento, sebbene spesso selvaggia, era basata sulla corretta interpretazione che il KLA era legato alla NATO e che la NATO gli stava dando supporto aereo (Tom Walker e Aidan Laverty, "l'esercito di guerriglia del Kosovo aiutato dalla CIA" Sunday Times [Londra], 13 marzo 2000). Le loro brutalità ed espulsioni erano concentrate nelle aree roccaforti del KLA e coloro che venivano espulsi non venivano inviati in campi di sterminio ma in rifugi sicuri fuori dal Kosovo. L'intensa ricerca di morti ammazzati e fosse comuni del dopoguerra ha prodotto meno di 3000 cadaveri morti per le più disparate cause, uccisioni dello stesso ordine di grandezza dei massacri di Serbi della Krajina del 1995, condotti con il supporto degli Stati Uniti.
In breve, l'uso della parola genocidio per le azioni Serbe nel Kosovo era rozza retorica di propaganda concepita per trarre in inganno rispetto ai fatti e fornire la base morale per un intervento di aggressione. Corse parallelamente all'uso del tribunale per i crimini di guerra, sfruttato per accusare Milosevic nel mezzo della campagna di bombardamento NATO - un'accusa che era stata disegnata anche per giustificare il bombardamento NATO della Serbia, orientato in modo crescente (ed illegale) contro i Civili tramite la demonizzazione del capo dello stato sotto l'attacco NATO.

Media e propaganda della NATO

Avendo incoraggiato la disintegrazione della Iugoslavia dal 1991 ed avendo in pratica ostacolato soluzioni pacifiche al problema di proteggere le minoranze in stati separatisti, le politiche della Germania e degli Stati Uniti in particolare resero certa la violenza etnica. Il cattivo prescelto era la Serbia e ci fu un'intensa concentrazione da parte degli esponenti ufficiali e dei media sui crimini Serbi. Questo comportò non soltanto la selettività di indignazione, una lettura errata delle cause e della ripartizione della responsabilità ma anche un processo di demonizzazione fomentato dai faziosi, un ritratto a-storico degli eventi frequentemente miscelato a disinformazione (come l'invenzione dell'emittente di notizie Britannica ITN di un campo di "sterminio" o di "concentrazione" nel centro dei rifugiati di Trnopolje nel 1992; vedi Thomas Deichmann, "l'immagine che sconvolse il mondo", Living Marxism, Febbraio 1997).
La demonizzazione e la continua pubblicizzazione delle notizie di atrocità creò un clima morale ricettivo alle accuse di genocidio. Questo raggiunse in profondità i gruppi liberal, di sinistra e i media, con molti liberal o della sinistra radicale appassionati sostenitori del "fare qualcosa", inclusa anche una guerra di bombardamento della NATO. C'era da aspettarselo dalla New Republic, nella quale la nozione di colpevolezza collettiva dei Serbi trovò una porta aperta, come in "I volenterosi boia di Hitler" di Daniel Jonah Goldhagen, giustificando per convenienza l'attacco alla società civile Serba ed il compimento di crimini di guerra (Stacy Sullivan, "I volenterosi boia di Milosevic", New Republic, 10 maggio 1999). Ma coinvolse anche The Nation, il cui corrispondente dalle Nazioni Unite Ian Williams era compiaciuto nel vedere le Nazioni Unite scavalcate nell'interesse per il bombardamento umanitario (2 aprile 1999) e dove entrambi Kai Bird (14 giugno 1999) e Chirstopher Hitchens (29 novembre 1999, tra altri) ritennero "genocida" il comportamento Serbo nel corso di una specie di difesa delle politiche della NATO. Solo Hitchens sembrò suggerire che i Serbi stavano tentando di sterminare un popolo (basandosi su argomenti ridicoli: vedi Herman, "Hitchens su Serbia e Timor Est", Z-Magazine, aprile 1999) .
Nei media principali, genocidio fu usato in modo anche più prodigo ed acritico. Spesso fu presentato nella forma di affermazione di funzionari, con numeri come quello di Cohen di 100.000, ma i giornalisti o i commentatori, se non raramente, non contestarono le cifre o misero in dubbio se le azioni indicate come genocide avessero intenzione di sterminare un popolo. Era invece piuttosto raro menzionare la differenza tra i treni per Auschwitz e per il confine Albanese, come fece Julie Churchill sul Guardian.
Genocidio fu usato come simbolo di un'avversione e disapprovazione, giustificando le estreme misure contro il "dittatore" ed il suo popolo - i media si sentirono spinti a chiamare Milosevic un "dittatore" sebbene questo metteva qualche ostacolo al condannare "i Serbi ordinari" come responsabili per le sue azioni, ma riuscirono a fare tutte e due le cose lo stesso (Anthony Lewis, "La domanda del Male," NYT, 22 giugno, 1999).Alcuni commentatori si fecero trasportare della loro passione, David Rieff, del New York Times, Wall Street Journal e favorito di Christopher Hitchens, asserendo che "il regime di Miloservic stava tentando di sradicare un intero popolo" ("Guerre senza fine?", NYT, 23 settembre, 1999). Ma la maggior parte dei commentatori erano soddisfatti dell'uso della parola senza andare nello specifico del significato o fornire dei fatti. Non verificarono mai nessun fondamento militare delle espulsioni e assassini post-bombardamento: era gente malvagia che faceva cose malvagie per ragioni malvagie.
In un capolavoro del genere apologetico anti-genocidio della NATO, il New York Times produsse "Un differente modo di uccidere" di Sebastian Junger (NYT Magazine, 27 febbraio 2000), dove si spiega che anche se il numero di cadaveri trovati in Kosovo non rientrava nell'ambito del genocidio e alcune storie si rivelavano non vere, ciononostante "Un singolo assassinio può essere considerato un atto di genocidio se può essere dimostrato che c'era l'intenzione di uccidere tutti gli altri appartenenti a quel gruppo di persone.". Junger poi racconta la sua visita sul punto del ritrovamento di un cadavere non identificato di una minorenne, presumibilmente rapita, violentata e uccisa da "forze irregolari" serbe. Junger poi dice che "mai fino a questo secolo si era verificato che un esercito meccanizzato potesse commettere tali crimini servendo il proprio governo. Questo è genocidio: il resto è solo violenza." Junger non fa il minimo sforzo per dimostrare che le "forze irregolari" avevano fatto questo come parte di un piano di governo e "al servizio del proprio governo" piuttosto che per conto proprio, o che il KLA o l'esercito USA non avesse commesso simili atti. In breve, questa è una falsità completamente insignificante ma serve per appuntare la parola genocidio sul nemico ufficiale e quindi il New York Times consente a questa parodia di apparire nella sua rivista della domenica.

Alcuni dati comparativi

Si può misurare la spettacolare politicizzazione della parola genocidio anche comparando il suo largo uso nel descrivere la condotta Serba in Kosovo con il suo uso minimale nel caso del trattamento riservato dai Turchi ai suoi Kurdi negli anni 90 (in realtà per decenni) ed il trattamento dell'Indonesia degli Est Timoresi nel 1999 come anche negli anni precedenti. La forza di questo paragone viene rinvigorita dal fatto che la Turchia uccise molti più Kurdi negli anni 90 degli Albanesi uccisi dai Serbi, non soltanto prima del bombardamento e della guerra (il cui numero presumibilmente sollecitò l'intervento "umanitario") ma includendo anche quelli che vennero uccisi durante il bombardamento e la guerra di 78 giorni (vedi "il nuovo umanitarismo militare" di Chomsky). L'invasione-occupazione da parte dell'Indonesia portò alla morte di circa un terzo della popolazione di Timor Est (1975-1980) e l'Indonesia fu conseguentemente responsabile del massacro e dell'espulsione del 1998-99 di un numero ancora non dichiarato di Est Timoresi nel periodo delle elezioni sponsorizzate dalle Nazioni Unite. Il numero di Est Timoresi uccisi in quest'ultima tornata del terrore Indonesiano eccede di gran lunga il totale delle vittime albanesi del prebombardamento del Kosovo (le stime vanno dai 3.000 ai 6.000 uccisi anche prima che il referendum del 30 agosto 1999 scatenasse la distruzione e l'assassinio incontrastati da parte degli Indonesiani) e il totale globale per il 1999 è sicuramente molto più elevato del totale degli Albanesi uccisi in Kosovo dai Serbi nel 1998 e 1999.
Ma poiché la Turchia e l'Indonesia sono clienti degli Stati Uniti, recipienti di forniture militari e di aiuti, ed un sostegno diplomatico per gli Stati Uniti, Inghilterra ed in genere per le potenze occidentali, i loro crimini contro i diritti umani non sono mai stati riferiti dagli organi ufficiali occidentali come genocidio. Infatti, in un buffo aspetto della campagna NATO contro il genocidio Serbo in Kosovo, la Turchia, membro della NATO, prese parte alla guerra contro la Iugoslavia con missioni dirette di bombardamento e la fornitura di basi per i voli delle altre potenze NATO, forse riutilizzando generosamente le proprie forze spostandole dalla pulizia etnica dei Kurdi al servizio "umanitario" NATO.
Data questa calda relazione tra le potenze NATO e la Turchia e l'Indonesia, ci saremmo aspettati che i media NATO seguissero le orme dei loro leader e trattassero la Turchia e l'Indonesia gentilmente, trattenendosi dal serio sforzo investigativo e dalle entusiastiche ricerche di "fosse comuni" che condussero in Kosovo, ed evitando l'uso di una spiacevole parola come genocidio in riferimento a questi stati cliente, non importa in che modo applicabile e se inconsistente rispetto all'uso della parola fatto in riferimento alla Serbia. Questa aspettativa si realizzò pienamente.
Ci limiteremo qui all'uso fattone nel New York Times, sebbene crediamo che le conclusioni siano applicabili all'andazzo generale dei principali media. Nel Times il pregiudizio è sorprendente e ha alcuni inattese sfumature secondarie. La tabella seguente [manca nell'originale, NdT] mostra come nell'anno 1999, la parola genocidio era attribuita ai Serbi in Kosovo in 85 differenti articoli, inclusi i 15 che cominciavano in prima pagina e in 16 editoriali e articoli di opinione. In alcuni di questi articoli la parola era usata ripetutamente. (In un notevole esempio durante il corrente anno e fuori dal nostro campione in esame, Michael Ignatieff ripeté la parola genocidio 11 volte in un singolo articolo di opinione (13 Febbraio 2000).
Per contrasto, la parola apparì riferita a Timor Est nel Times in soli 9 elementi nel 1999, solo una volta in un editoriale o pezzo di opinione e solo 15 volte per Timor Est nell'intero decennio degli anni 90. La parola non fu mai usata in un articolo di prima pagina durante gli anni 90. Inoltre, nessun giornalista del Times o editorialista ha mai usato la parola genocidio in applicazione a Timor Est nell'intero periodo 1975-1999. (Si vuole dire cioè che in tutti i casi nei quali la parola apparì, non esprimeva l'opinione dello scrittore del Times ma era attribuita ad una altra fonte). Anthony Lewis, che ripetutamente si riferì all'azione Serba come genocida ed invocò l'intervento occidentale, parlò di "abuso dei diritti umani a Timor Est" (12 luglio 1993) ma non lo chiamò mai genocidio o sollecitò un intervento. Barbara Crossette ripetutamente si complimentò con Suharto per aver portato "stabilità" nella regione. In una menzione degna di nota della parola genocidio, il giornalista Henry Kamm, veterano del Times, negò esplicitamente la sua applicazione per Timor Est, chiamando un tale uso "un'iperbole" e attribuendo gli stermini di massa "allo stato di guerra crudele e alla fame che lo accompagna in questa isola storicamente a corto di cibo" (15 febbraio 1995).
Ugualmente meritevole di nota, la tabella [manca nell'originale, NdT] mostra anche che la parola genocidio non è stata usata neanche una volta con riferimento alla Turchia ed al trattamento da lei riservato ai suoi Kurdi nel 1999 e fu usata solo cinque volte per questa relazione nel decennio degli anni 90, mai in un articolo di prima pagina. Tuttavia, in uno splendido esempio di come il Times segua la linea della politica estera USA, la tabella mostra che i maltrattamenti dei Kurdi da parte dell'Iraq negli anni 1990-1999 fu descritto come genocida 22 volte, in cinque casi in articoli di prima pagina.
In breve, solo le "vittime meritevoli", cioè le vittime di nemici designati ufficialmente come Iugoslavia e Iraq, soffrono per genocidio; quelle che sono non meritevoli, come gli Est Timoresi e i Kurdi Turchi, sono soltanto soggetti a "un crudele stato di guerra" e forze naturali avverse, come spiegò Henry Kamm riguardo a Timor Est. Così i media occidentali e "la comunità internazionale" si mobiliteranno per conto dei primi, mentre i secondi saranno costretti a soffrire in silenzio. Ma come abbiamo sottolineato, non c'è mai stato un genocidio in Kosovo, e quindi la guerra della NATO si è basata su una menzogna. E questa menzogna, come l'incriminazione di Milosevic del 27 maggio da parte del Tribunale per i Crimini di Guerra, è servita principalmente a fornire la copertura morale che ha consentito alla NATO di spingere con il bombardamento la popolazione della Serbia già ostaggio alla sottomissione. Quella popolazione ora si è unita a quella dell'Iraq nell'essere soggetta ad ulteriori "sanzioni di distruzione di massa" i cui effetti offrono un'associazione molto più stretta al genocidio rispetto alle azioni Serbe le quali, a quanto pare, fecero precipitare la guerra della NATO.