di Oscar Mazzoleni, "Umanità Nova" n.12 del 1 aprile 2001
Nei paesi europei ci sono raggruppamenti politici come Forza Nuova, Movimento sociale "Fiamma tricolore" di Rauti in Italia, la NPD in Germania, il partito nazionalsocialista in Danimarca, che vanno certamente definiti neofascisti o neonazisti (in riferimento alle due esperienze storiche che hanno marcato l'Italia oppure l'area germanofona). Per altri partiti e movimenti della destra radicale o dell'estrema destra, dal Fronte nazionale di Le Pen ad Alleanza nazionale, passando dal Partito liberale di Haider e dall'Udc di Blocher, queste etichette appaiono quantomeno strette. Anche qui, se si guarda la loro natura e il loro funzionamento, non andrebbe fatta di tutt'erba un fascio. Ci sono dei partiti che hanno mantenuto, in forme pur diverse, un certo legame storico, con una parte dei gruppi e delle generazioni di militanti fascisti e nazisti "storici", come nel caso del Fronte nazionale francese o del Partito liberale austriaco, ma soprattutto Alleanza nazionale, dove i quadri intermedi del partito conservano una cultura politica per molti versi impermeabile alle svolte modernizzanti delle élite nazionali. In altri casi, come l'Udc svizzera, manca qualsiasi legame con l'esperienza dei fascismi e nazismi storici, se si esclude qualche dichiarazione in senso antisemita da parte del suo leader.
Se ci concentriamo sulle formazioni che hanno conquistato un successo di massa tra gli anni '90 e l'inizio di questo decennio - senza comunque misconoscere il pericolo insito nell'azione minoritaria delle altre - va riconosciuto che più hanno accresciuto il loro seguito, più hanno annacquato e più spesso disconosciuto qualsiasi legame con il fascismo e il nazismo storico nel loro programma politico. Né Le Pen né Haider amano essere definiti fascisti o nazisti. Ma perché i movimenti e partiti "modernizzanti" cercano di prendere le distanze dall'eredità fascista, quando questa in parte esiste? Anzitutto perché l'arena parlamentare e istituzionale è accettata come terreno privilegiato d'azione e di intervento, mentre lo "squadrismo" non interviene più come forma d'azione complementare; in secondo luogo, perché l'allargamento dei consensi implica la necessità di conquistare fasce della popolazione assai eterogenee, abituate a decenni di istituzioni democratiche, ad un'ignoranza delle vecchie dottrine fasciste e ad un diffuso individualismo; in terzo luogo, per farsi accettare dalle classi dominanti e, almeno in parte, dal ceto politico e mass mediatico, dove spesso il sistema elettorale e la struttura corporativa obbligano a forme di compromesso. Ciò non implica che l'estrema destra attuale sia destinata a divenire la destra tradizionale futura. La tenuta e lo sviluppo dell'estrema destra in quanto tale dipendono da condizioni nel contempo "oggettive" e "soggettive".
Le formazioni dell'estrema destra emergono o si rafforzano nelle contraddizioni esistenti, dalle quali attingono a piene mani per costruire i propri successi. Il successo politico dell'estrema destra europeo-occidentale negli anni '80 e '90 coincide con profondi cambiamenti, economici, culturali e politici e con l'espansione di forme di precarizzazione, insicurezza sociale e povertà. In questo senso, esiste un'analogia tra l'estrema destra europea che miete successi politici a cavallo del nuovo secolo e i movimenti fascisti e nazisti degli anni '20-40: in entrambi i casi si tratta di una risposta autoritaria ad una fase di accresciute contraddizioni dello sviluppo capitalistico e ai fenomeni di modernizzazione sociale e culturale. Per riprendere quanto scritto dal filosofo tedesco Ernst Bloch nel 1933, il loro successo risultava dalla loro capacità di fornire una risposta, con stile spesso populista, alle paure e alle incertezze di settori eterogenei di "perdenti" colpiti dalle crisi di quegli anni, ma collocati in "momenti" diversi del corso storico: dai ceti medi tradizionali e dai contadini, componenti di una società preindustriale, alla classe operaia di fabbrica, emersa dalla rivoluzione industriale. In sintesi, la tesi di Bloch è che il successo del nazismo in Germania (ma si potrebbe fare un ragionamento analogo in Italia) sarebbe racchiuso nella capacità di rispondere, nel contempo, a gruppi sociali collocati in ambiti tradizionali, precapitalistici, e a segmenti situati ai massimi livelli dello sviluppo capitalistico, contrariamente a quanto erano riuscite a fare le organizzazioni del movimento operaio, integrate nelle istituzioni dello stato, divise tra loro, e incapaci di tenere conto delle paure dei ceti tradizionali. Va insomma ricordato che oggi come ieri i movimenti dell'estrema destra attingono i propri consensi soprattutto nel ceto medio tradizionale e tra i lavoratori subalterni.
L'affermazione di una continuità con il passato - quando si definiscono in generale le condizioni che favoriscono l'ascesa e quelle che possono attribuire un forte successo ai movimenti di estrema destra - non deve farci dimenticare la sensibile discontinuità dei movimenti sorti negli anni '80 e '90. Gran parte dell'estrema destra europea emerge o si espande in società molto più "moderne" di quelle degli anni '20 e '30. Insomma, una parte dei movimenti e i partiti di questi anni non possono essere considerati "fascisti" o "neo-fascisti" solo perché non si rivendicano apertamente di quelle tradizioni e identità storiche. Se l'etichetta di "fascista" serve ad additare il pericolo di quell'esperienza storica e la necessità di ricordarla, questa stessa etichetta, se applicata senza distinguo, può rischiare di fornire, implicitamente, un'immagine per così superata di questi movimenti: come se fossero una risposta di altri tempi alle sfide delle trasformazioni in atto. Al contrario, mostrarne il carattere innovativo, soprattutto dei movimenti con maggiore successo di massa (anche nel loro uso spregiudicato della politica spettacolo, una concezione dell'individuo meno semplificata di quella dell'autoritarismo tradizionale), accanto a quello arcaico (come risposta aggressivo-autoritaria ai cambiamenti), fornisce non solo la chiave della loro forza, ma anche la loro preoccupante attualità.
La crescita delle nuove povertà e il cristallizzarsi delle vecchie, la crescita della disoccupazione, nell'Europa occidentale negli ultimi anni, hanno poco in comune con l'indigenza estrema provocata dalle catastrofi economiche e sociali che hanno dominato il periodo tra le due guerre mondiali. Il regime fascista e quello nazista sono stati una risposta per un verso alla crisi delle democrazie liberali, per altro alla forza del movimento operaio, ai movimenti socialisti, comunisti e, in parte, ad esempio in Spagna, agli anarchici. È per rispondere al pericolo delle classi subalterne montanti, che le classi dominanti hanno a suo tempo optato per il fascismo e per il nazismo. Nei paesi dove questo pericolo non è stato incombente - dove la delegittimazione delle istituzioni dello stato e il movimento operaio non rappresentavano un pericolo immediato - le classi dominanti hanno preferito lasciare in piedi l'ordine democratico-liberale. In analogia - pur senza escludere a medio termine una svolta destabilizzante - nelle democrazie occidentali odierne, comprese quelle europee, dove la forte frammentazione produttiva e sociale delle classi subalterne si accompagna ad un movimento operaio in piena crisi, dove la stabilità istituzionale non appare più di quel tanto erosa dai processi di transazionalizzazione dell'economia e dalla crisi delle capacità regolative dello stato nazionale, le classi dominanti non hanno l'interesse a rimettere in discussione in modo aperto l'ordine costituzionale, e puntando su un partito che introduce un stato di emergenza nel nome dello slogan fascista per eccellenza: "Un popolo, uno stato, un capo".
Nella fase attuale, più che di minaccia fascista, occorrerebbe
parlare di minaccia neoautoritaria e restauratrice, nel quale i movimenti
e i partiti d'ispirazione neofascista o neonazista e di tendenza modernizzante
(magari in un'implicita divisione del lavoro) svolgono un ruolo importante.
L'estrema destra odierna svolge una funzione di accompagnamento e rafforzamento
delle tendenze neoautoritarie e neoliberali. Qui sta forse la loro maggiore
pericolosità odierna. Quasi tutti i più importanti partiti
dell'estrema destra occidentale contano su un importante elettorato proletario
in libera uscita dai partiti socialisti o comunisti. Nel recuperare e mobilitare
segmenti significativi di proletariato "nazionale", l'estrema destra indebolisce
ulteriormente le organizzazioni del movimento operaio, ostacola la ricomposizione
con il proletariato "immigrato", ridefinisce, dal punto di vista culturale
e politico, amici e soprattutto avversari (stranieri, ecc.). La forte capacità
mobilitante dell'estrema destra stimola la pressione contro la burocrazia
statale e il ceto politico, inguaribili adepti dello sperpero e dell'inefficienza;
favorisce la diffusione delle ideologie inegualitarie e belliche, alleate
del darwinismo sociale, dell'ideologia della competizione di tutti contro
tutti, ecc. In un'epoca di forte crisi dei legami tradizionali, il nazionalismo
(nazionale o regionale) rappresenta una risposta - anche soggettivamente
rassicurante - all'anomia sociale, all'isolamento, alla distruzione del
tessuto sociale prodotti dalle trasformazioni produttive, alle ansie dell'individualismo
consumista, alla crisi del patriarcato e a quella della morale del lavoro.
In altri termini, le ideologie nazionaliste promosse dai partiti di estrema
destra risultano essere funzionali alle esigenze stesse dello sviluppo
capitalistico e agli effetti perversi della globalizzazione: da un lato,
per la legittimazione della propensione al rischio (concorrenziale) individuale
e del senso di sacrificio verso un'entità esterna e superiore (l'esigenza
di identificarsi ad un'azienda contro le concorrenti), dall'altro per il
rafforzamento del "senso" dello stato (nazionale o regionale, poco importa),
come attaccamento all'ordine istituito e interiorizzazione del disciplinamento
sociale.