Stefania Maurizi, http://espresso.repubblica.it/dettaglio/caso-assange-il-record-di-falsita/2189846, 28 agosto 2012
In questi giorni, anche in Italia, sul fondatore di WikiLeaks e sulla sua vicenda sono state diffuse montagne di notizie sbagliate - o semplicemente di balle. 'L'Espresso' le ha sbugiardate, una a una.
Una saga delle falsità. Notizie infondate e analisi basate sul
nulla. Uno degli spettacoli più sconcertanti della guerra contro
Julian Assange e WikiLeaks è la superficialità della stampa.
Altro che errori. Se oggi l'organizzazione iniziasse a querelare, diventerebbe
milionaria, risolvendo all'istante il problema del blocco finanziario stragiudiziale
che sta stritolando il gruppo e che è stato messo in atto da cinque
colossi del credito: Visa, Mastercard, Bank of America, Western Union,
PayPal, appena WikiLeaks ha cominciato a pubblicare i cablo della diplomazia
Usa.
L'epidemia di sciocchezze ha interessato i media di tutto il mondo,
tanto che Julian Assange ha chiesto e ottenuto decine di rettifiche: dall'Inghilterra
fino all'America. E in Italia? In un duro editoriale sul quotidiano 'La
Stampa', Gianni Riotta ha recentemente tracciato quella che, secondo lui,
è la parabola di WikiLeaks. «Una brutta storia che diventa
pessima», ha scritto, denunciando come il valore fondante dell'organizzazione,
la trasparenza, si sia ormai diventata oscurità.
Riotta scrive che «per non farsi processare in un processo per
stupro, Assange insiste sul 'caso politico' contro di lui». E «pur
di non andare alla sbarra a Stoccolma», si butta tra le braccia di
personaggi come il presidente dell'Ecuador, Rafael Correa. C'è un
piccolo particolare, che sembra sfuggire completamente all'editorialista:
non c'è alcun processo per stupro, nessuna sbarra. Julian Assange
non è mai stato incriminato: tutta la saga giudiziaria che va avanti
dall'agosto 2010 è un'inchiesta che è nella fase preliminare
da ben due anni, perché i procuratori svedesi hanno rifiutato qualsiasi
offerta di Assange di essere interrogato a Londra, anziché estradato
a Stoccolma.
E' proprio questa la controversia che fa discutere il mondo. La Svezia
pretende l'estradizione di Assange non perché va processato o perché
deve scontare la pena: non è neppure incriminato. La Svezia insiste
da due anni sull'estradizione semplicemente per interrogarlo e per stabilire
se le accuse delle due ragazze sono fondate, e quindi Assange deve essere
processato, oppure se il caso va archiviato e il suo nome va ripulito da
quella macchia infamante che è lo stupro. Nessuno è al di
sopra della legge. Nemmeno Julian Assange. Deve rispondere ai magistrati
sulle accuse delle due donne. E la Svezia ha tutto il diritto di darsi
leggi che puniscono come stupro quello che altri paesi non considerano
tale (avere rapporti sessuali consensuali, ma non usare il preservativo
nonostante la richiesta del partner). Quello che, però, il resto
del mondo non riesce a capire è perché Stoccolma s'intestardisce
a estradare Assange, quando potrebbe interrogarlo all'ambasciata svedese
a Londra, come ha chiesto fin dall'inizio il team legale di Assange. O
anche a quella ecuadoriana di Knightsbridge, dove si è rifugiato,
come ha proposto poche settimane fa anche l'Ecuador. Assange non ha chiesto
di essere interrogato al pub o in una sala bingo: si è subito reso
disponibile ad essere sentito all'ambasciata di Svezia a Londra o a Scotland
Yard. La Svezia, però, ha rigettato ogni soluzione, senza spiegare
perché.