di Maurizio Matteuzzi, "Rivista del manifesto", N. 44, novembre 2003
Dieci mesi. Alla fine di ottobre il governo di Lula da Silva ha compiuto
i primi dieci mesi del suo mandato di quattro anni.
In Brasile e fuori i giudizi sui quei 300 giorni si intrecciano e si
contraddicono. Per alcuni, fra cui i settori più radicali del suo
Partido dos Trabalhadores (Pt) e i settori desenvolvimentisti della sua
alleanza politico-elettorale, la sentenza sembra già definitiva
o quasi: Lula ha `tradito' le speranze di una `rottura' con il sistema
di dominio neoliberista-neoimperialista, ovvero di una politica economica
espansiva. Nel segno dell'ortodossia `fondomonetarista' - austerità
fiscale e monetaria - e della continuità con il modello del suo
predecessore Fernando Henrique Cardoso.
Per qualcuno dei suoi critici, come Emir Sader, sociologo ed esponente
dei settori di sinistra del Pt, 300 giorni sono anche troppi. «Il
primo semestre del governo Lula ha accentuato l'aggiustamento fiscale e
la recessione» mantenendo tassi di interesse altissimi; ha imposto
una riforma previdenziale «socialmente regressiva» e una riforma
tributaria «che non intacca le profonde ingiustizie sociali»,
entrambe con «una connotazione liberista» (1). Sader, che al
via dell'amministrazione Lula, il primo gennaio, vi aveva visto il possibile
inizio di un'era «post-neoliberista» (2), non considera ancora
del tutto «perduta» questa opportunità. «Il secondo
semestre» del 2003 «darà una fisionomia più definita
al governo Lula» (3). I «momenti della verità»
saranno la scelta fra il Mercosud e l'Alca, la riforma agraria, la capacità
di imprimere un ritmo espansivo all'economia accompagnato da un forte processo
di redistribuzione del reddito.
Altre voci critiche della sinistra brasiliana sono meno pessimiste.
«Il governo Lula si trova già in un tunnel senza via d'uscita?
Non necessariamente - scrive il politologo José Luis Fiori. Questa
storia non è finita, è appena cominciata. Ma non ci sono
dubbi che «il governo Lula per fare la frittata dovrà rompere
le uova anche dalla parte del capitale, se vorrà cambiare la direzione
e la storia di questo paese» (4).
Il sociologo Immanuel Wallerstein, che guarda da fuori «l'era
di Lula» (5), passa in rassegna i suoi tre campi d'azione principali:
l'economia, la riforma agraria e la politica estera. In economia, visti
i rapporti di forza, ha «offerto certe garanzie al capitale internazionale»;
sulla riforma agraria «è stato molto più prudente che
nella politica economica» e «finora ha fatto molto poco»;
la politica estera è stata «il campo in cui si è mosso
meglio», puntando molto sul rafforzamento del Mercosud. Anche per
Wallerstein il punto-chiave sarà il negoziato fra il Mercosud e
l'Alca, l'Accordo di libero commercio delle Americhe che Washington vorrebbe
far partire dal primo gennaio del 2005 e, più in generale, il rapporto
fra Lula e Bush. «Può Lula spingersi più avanti nella
direzione che storicamente rappresentava il Pt in Brasile?», si chiede
Wallerstein a mo' di conclusione e la risposta è che «questo
dipende in parte dal suo eventuale successo con il Mercosud. Dipende poi,
anche se sono pochi a riconoscerlo, da quante difficoltà dovrà
affrontare Bush. Quanto più gli Stati Uniti si troveranno in difficoltà
politiche ed economiche, tanto maggiori saranno i margini di manovra di
un governo come quello di Lula».
Ma come si è arrivati a questi giudizi sul passato e a queste
previsioni sul futuro del governo Lula? Quali sono state le sue scelte
in politica economica, interna, sociale - con la riforma agraria che le
attraversa tutte - ed estera?
La politica economica Lula-candidato e Lula-presidente hanno lamentato
`l'eredità maledetta' degli otto anni di Cardoso. Il Venezuela o
l'Argentina dietro l'angolo. In dieci mesi Lula ha rimesso un po' d'ordine
nei conti macro-economici di casa, divenendo rapidamente un allievo modello
dell'ortodossia finanziaria e monetaria. I tassi di interesse sono passati
da uno stratosferico 26,5% al 19% di ottobre. Ancora troppo poco però
per rilanciare l'economia. Le previsioni di crescita economica sono cadute
dal 3,5% a uno striminzito 0,5 (forse). L'inflazione dal 12,5% del 2002
a un possibile 9. La bilancia commerciale in attivo record nei primi nove
mesi dell'anno: quasi 18 miliardi di dollari. Il rischio paese dai 2400
punti del 2002 ai 605 dell'ottobre 2003. L'avanzo primario, ossia le risorse
destinate a ripagare il debito anziché finanziare lo sviluppo, è
pari al 5,05% del Pil, ben oltre il 3,75 fissato dal Fmi e zelantemente
portato dal governo Lula al 4,25. In luglio il Brasile pagava puntualmente,
solo per il servizio di un debito pubblico pari al 57% del Pil, i 4650
milioni di euro dovuti, dimostrandosi capace di onorare gli impegni presi
da un governo precedente di segno presumibilmente opposto. Horst Khöler
e James Wolfersohn, grandi capi del Fmi e della Banca mondiale - e dietro
di loro George W. Bush -, non potevano credere ai loro occhi.
Ma chi ha pagato i conti, finora, della `sorpresa-Lula'? Quelli di
sempre: dal settembre 2002 al settembre 2003 la disoccupazione è
passata dall'11,5% al 12,9% - mezzo milione di disoccupati in più
invece dei «10 milioni di nuovi posti di lavoro» promessi da
Lula entro la fine del 2006 -, i salari sono caduti del 14-16%.
In luglio Lula annunciava a un paese incredulo un imminente «spettacolo
della crescita» e il ministro delle finanze Antonio Palocci in ottobre
proclamava che «il Brasile è ormai pronto per tornare a crescere».
Sarà vero? Sono in molti a dubitarne. A cominciare dal più
prestigioso economista brasiliano - molto rispettato ma poco ascoltato
da Lula -, il desenvolvimentista Celso Furtado, che consiglia di congelare
il debito (specie dopo l'accordo `innovativo' strappato dall'Argentina
al Fmi, il 10 settembre).
La politica interna I due punti principali dell'azione di governo sono
stati finora le riforme previdenziale e tributaria, entrambe richieste
con insistenza dal Fmi e tentate invano (per l'opposizione del Pt) da Cardoso.
Quella della previdenza è stata già approvata dalla Camera
in settembre a maggioranza qualificata (378 contro 53). Niente a che vedere
con la riforma delle pensioni voluta da Berlusconi, ma una riforma sanguinosa.
Accusata di essere `fiscalista' a sinistra e di essere in contraddizione
con la storia del Pt dalle ali radicali - fra i 53 no, 3 deputati del Pt
che probabilmente saranno espulsi -, andando a intaccare diritti ma soprattutto
privilegi (in qualche caso scandalosi), ha provocato la ribellione da parte
dei lavoratori pubblici e forti scossoni dentro la Cut. Anche la riforma
fiscale si annuncia uno scoglio duro. Si propone di semplificare l'astruso
sistema tributario brasiliano, ridurre la pressione fiscale sulle industrie
e sulle esportazioni e combattere la diffusissima evasione. Ma è
contestata da destra - il padronato (naturalmente) - e da sinistra - «l'affermazione
del ministro Palocci secondo cui chi più ha più paga sembra
valere solo per la riforma della previdenza ma non per quella tributaria»,
dice Emir Sader -, nonché dai governatori statali che vedono diminuire
i loro poteri in materia.
Ma c'è anche dell'altro. E di peggio. Come la decisione di Lula
in settembre di rendere possibile `provvisoriamente' la semina di soia
transgenica e l'annuncio in ottobre da parte del ministro per la Scienza
e tecnologia, Roberto Amaral, che a partire dal 2014 il Brasile potrà
cominciare a esportare uranio arricchito. Già agli inizi dell'anno
Amaral aveva destato scalpore affermando che il Brasile dovrebbe dotarsi
di armamenti nucleari. Allora era stato costretto a ritrattare. Questa
volta nessuno l'ha smentito. Ha convinto poco anche il termine `provvisorio'
con cui Lula, che da candidato si era detto «radicalmente contrario
a sdoganare i transgenici», ha dato via libera «per quest'anno»
alla semina della soia Ogm. Dietro ci sono i grandi produttori agricoli
del Rio Grande do Sul ma soprattutto la multinazionale Usa Monsanto. Qualcuno,
come il leader dei Senza Terra (Mst), João Pedro Stedile, ha reagito
accusando Lula di essersi «trasformato in un prodotto transgenico».
Altri, come Fernando Gabeira, ex guerrigliero e storico esponente degli
ambientalisti, hanno deciso di andarsene dal Pt, considerando quelle due
decisioni «una provocazione».
La politica sociale La politica sociale è stata la grande assente,
o peggio la prima vittima, finora, della politica economica di Lula.
Già in gennaio Lula annunciava il lancio del primo grande progetto
sociale - Fame Zero -, quello che sta alla base di tutti gli altri - Primo
Impiego, Borsa Scuola, Borsa Alimentazione, Buono Gas (il gas da cucina)
-, che alla fine del suo mandato avrebbero dovuto fare di 50 milioni di
esclusi 50 milioni di cittadini a pieno titolo. Ma se i soldi dovevano
servire a pagare il servizio del debito non ne restavano per finanziare
i programmi sociali e le politiche di sviluppo.
Il programma Fame Zero non decollava e cominciavano le polemiche per
l'impostazione teorica `assistenzialista', la dispersione di energie, la
sovrapposizione di funzioni, l'eccesso di burocrazia, le gelosie reciproche.
In settembre il ministro per la Sicurezza alimentare, l'economista José
Graziano, si provava ancora a sostenere che «in quattro anni in Brasile
non ci saranno più né fame né analfabeti». In
realtà le cose sembravano più complicate. Tanto che in ottobre
Lula decideva l'unificazione di tutti i programmi sociali della lotta contro
la fame: la Borsa Famiglia, con finanziamenti di 1,4 miliardi di euro quest'anno
e di 1,7 miliardi l'anno prossimo, legati all'obbligo per i destinatari
di mandare i figli a scuola e di vaccinarli, di partecipare ai corsi di
alfabetizzazione e professionali. 1,2 milioni di famiglie entro il 2003
e 3,6 milioni entro il 2006, con entrate inferiori a 50 reais (16 euro)
al mese per persona, dovevano ricevere 50 reais al mese più 15 per
figlio. Lula faceva della fame e della giustizia sociale il centro del
suo discorso, «la maggior sfida del secolo», chiamando i ricchi
e i potenti a unirsi a questa «guerra, l'unica degna di essere combattuta».
Fra molti applausi, qualche impegno (la Banca mondiale garantiva 1 miliardo
di dollari) e risultati ancora incerti. Al pari della ripresa economica,
anche per la politica sociale Lula chiede ai brasiliani di avere `pazienza'.
Ma, come usa ripetere, «la fame ha fretta». Però il
Fmi e il mercato hanno ancora più fretta.
La riforma agraria Lula non può permettersi di fallire. In campagna
elettorale diceva che «in Brasile c'è tanta terra che si può
fare la riforma agraria senza violenza e senza occupazioni». Ma quelli
erano ancora i tempi del `Lulinha paz e amor'. Il Mst è (stato?)
organicamente legato, oltre che alla chiesa cattolica brasiliana, al Pt.
La sua strategia è la pratica dell'obiettivo. Nei primi dieci mesi
dell'anno le occupazioni sono andate aumentando di intensità. Nelle
campagne c'è un clima da guerra civile, alimentato dalla guardia
bianca dei fazenderos. I braccianti uccisi sono decine in un clima di impunità,
mentre la giustizia ha la mano pesante con leader e militanti del Mst,
la cui lotta tende a estendersi e unificarsi con il Movimento dei Senza
Tetto delle periferie metropolitane. A un certo punto Lula ha detto che
«non tollererà più né le occupazioni né
la violenza» e che farà rispettare «il diritto di proprietà».
Poi in giugno ha ricevuto a Planalto i leader del Mst indossando il loro
cappellino e facendosi fotografare fra loro. Anche ai Sem Terra Lula chiede
`pazienza'.
La politica estera È stato il contraltare della politica economica
ortodossa, su cui forse Lula ha fatto leva per potersi lanciare in una
strategia più innovativa e più audace. Da Davos a Porto Alegre,
da Washington a Buenos Aires, da Cancún a Madrid. Con l'obiettivo
di riportare in vita e allargare su scala continentale il Mercosud, di
farne un soggetto politico, con davanti agli occhi il modello dell'Unione
europea, capace di contrapporsi ai due blocchi dominanti su scala mondiale.
Ha aperto la strada a nuove alleanze Sud-Sud con i principali paesi emergenti:
Sudafrica e India (il G3). Nel vertice dell'Omc a Cancún ha formato
e guidato la resistenza contro le chiusure di Usa e Ue rispetto ai sussidi
agricoli (il G21). Ha assunto con decisione la leadership dell'America
Latina, per la quale chiede un seggio permanente in un futuro Consiglio
di sicurezza riformato. Ha stretto i rapporti con l'Argentina di Kirchner
fino a firmare, il 16 ottobre, quel Consenso di Buenos Aires che aspira
a contrapporsi al Consenso di Washington, sostituendo il decalogo del neoliberismo,
che ha devastato l'America Latina negli ultimi vent'anni, con una strategia
fondata sulla produzione e l'occupazione, sull'inclusione sociale e la
crescita economica. Ha contrastato da pari a pari gli Stati Uniti nei negoziati
per l'Alca, non accettando la loro pretesa di lasciar fuori il punto-chiave
dello scandaloso protezionismo agricolo. Ha tenuto aperti i rapporti politici
con Cuba e Fidel e con il Venezuela e Chavez da un lato e, dall'altro,
con il presidente colombiano Uribe, un iper-destro legato mani e piedi
agli Usa, offrendo la mediazione e il territorio brasiliani per la ripresa
dei negoziati con i guerriglieri delle Farc-Eln. Ha svolto un ruolo decisivo,
insieme a Kirchner, nella soluzione della sanguinosa crisi boliviana offrendo
(imponendo?) un'uscita di scena negoziata al presidente Sanchez de Lozada.
Sono passati solo dieci mesi. Mancano ancora tre anni abbondanti, se
non sette in caso di ricandidatura e rielezione. È ancora presto.
Ma il tempo batte anche per Lula. In ottobre, per la prima volta, un sondaggio
ha marcato una consistente flessione. I brasiliani che giudicano il governo
ottimo o buono erano il 41% e quelli che lo giudicano cattivo o pessimo
il 12.3%. In agosto erano il 48 e il 10%. Lula conserva ancora un indice
di gradimento altissimo, il 70.6%, contro il 20.8% . Ma in agosto erano
il 76.7% contro il 16.2%. Si vedrà presto se si tratta solo di uno
sbalzo d'umore passeggero.
note:
1 E. Sader, Uma oportunitad perdida?, paper del luglio 2003.
2 E. Sader, Comincia il post-neoliberismo? L'ora di Lula,
«la rivista del manifesto», n. 33, novembre 2002.
3 E. Sader, Uma oportunitad, cit.
4 J. L. Fiori, Os interesses e as mudanças, «Anamatra»
2003, consultabile in: http://www.anamatra.org.br
5 I. Wallerstein, La era de Lula, Brecha, Uruguay, ottobre
2003.