"Carta", 10 gennaio 2003
Caro subcomandante, ci hai offesi.
Firmato: Euskadi ta Askatasuna [Eta]
Riportiamo qui alcuni brani della lettera con la quale l'Eta rispose a Marcos, il primo gennaio, e che è stata pubblicata dal quotidiano la Jornada il 6 gennaio. Abbiamo scelto i brani della lettera a cui fa riferimento, nella sua contro-risposta, il "sup".
Ai bambini dell'Ezln:
Una lingua può essere solo un mezzo per comunicare.
Ma, è anche un mezzo per ferire ed umiliare. Ci sono colpi che fanno
male e ci sono parole che fanno ancora più male. Ci sono colpi che
offendono e parole che uccidono.
La nostra lingua […] è la lingua basca, il basco,
la lingua navarra. È una lingua vecchia e giovane. […]
Quando incontriamo qualcuno, diciamo "Kaixo", "Agur"
[e, paradossale, quest'ultima parola serve anche per dire "Adiós"].
Sicuramente, nel vostro vocabolario zapatista potete
aggiungere che "Dignità" in basco si traduce con "Duintasuna".
"Euskal Herria" è il Paese dei baschi. Noi, che
lottiamo con tutte le armi di cui disponiamo per la libertà del
nostro popolo, preferiamo dire che Euskal Herria è il Paese dell'Euskara,
la nostra lingua. La nostra lingua nella nostra terra. Libera.
I nostri bambini e bambine ci vedono lottare. Spesso
senza vederci [nelle galere spagnole e francesi, in clandestinità,
nella vita normale della nostra società consumista]. Ma capiscono
tutto senza bisogno di parole. Certamente come voi, bambini e bambine dell'Ezln.
[…] Ai bambini, agli anziani, agli uomini e alle donne
dell'Ezln:
Saprete che recentemente un membro del vostro Esercito,
precisamente il subcomandante Marcos, ci ha scritto una lettera [veramente
si è messo a scrivere ed ha scritto un sacco di cose, ma ci riferiamo
a quella che ci ha indirizzato a suo nome]; e siccome noi non siamo fanatici
di gerarchie militari, rispondiamo direttamente al subcomandante, come
segue:
Dopo aver esaminato in dettaglio la lettera indirizzata
alla nostra organizzazione e le altre lettere pubblicate nello stesso quotidiano,
Eta le comunica quanto segue:
Nutriamo seri dubbi sulla reale intenzione della proposta
di dialogo sull'isola di Lanzarote che lei ha lanciato. Ci pare piuttosto
una manovra disperata per attirare l'attenzione internazionale strumentalizzando
la risonanza di tutto ciò che ha a che fare con il conflitto basco,
in particolare nello Stato spagnolo.
Il modo pubblico, senza una previa consultazione, con
cui lei ha lanciato questa proposta, riflette una profonda mancanza di
rispetto verso il popolo basco e verso tutti quelli che dalle loro organizzazioni
lottano in un modo o nell'altro per la libertà. […]
La nostra volontà per una soluzione giusta e globale
del conflitto è intatta. Ma devono esserci proposte serie, basate
su ampi consensi ed appoggi, legittimati a livello sociale.
Vogliamo anche dirle chiaramente che non è nei
nostri obiettivi far parte di alcun tipo di "pantomima" o "operetta" per
ottenere il favore delle prime pagine dei giornali internazionali, dei
siti web, od essere il soggetto della prossima maglietta di moda sulla
Gran Vía di Madrid.
Da parte nostra, siamo disponibili a fare tutto il possibile
affinché l'Ezln si informi meglio sul conflitto che mette di fronte
il Paese Basco con gli Stati francese e spagnolo. Se c'è qualcosa
da globalizzare in questo mondo, è la giustizia ed il rispetto.
[…]. Eta ha sempre evitato di immischiarsi in decisioni prese da altre
organizzazioni rivoluzionarie o ribelli oltre le nostre frontiere. […]
Ora la salutiamo. Un saluto ribelle e rivoluzionario
da parte degli indigeni d'Europa. Agur.
Viva Chiapas Libero!
Euskadi Ta Askatasuna
Cara Eta, non abbiamo alcun bisogno di "avanguardie
rivoluzionarie"
lettera del Subcomandante Marcos, Esercito zapatista
di liberazione nazionale, Messico
Dal 9 al 12 gennaio 2003
All'organizzazione politico-militare basca Euskadi Ta Askatasuna [Eta], Paese Basco
Signore e signori:
riceviamo la lettera che, in data primo gennaio 2003,
ci avete inviato attraverso agenzie stampa, periodici, pagine web, ecc.
Abbiamo saputo della vostra lettera il 6 di gennaio, ma non nella versione
completa, fino a che non è stata pubblicata dal quotidiano messicano
La Jornada. Ci riferiamo a questa versione.
La notizia è arrivata come, da queste parti, arrivano
tutte le notizie. Mi trovavo nella latrina pensando a che cosa sarebbe
successo se Eta mi avesse preso in parola ed esaudito i miei auspici proprio
mentre stavo espletando quei bisogni chiamati fisiologici. Già immaginavo
i titoli dei quotidiani del giorno dopo: "Il Sup muore vittima della sua
spacconeria", e poi il colpo [è un termine giornalistico, non quello
che state pensando]: "E‚ finito in merda" [beh, i quotidiani attenti alle
buone maniere scriverebbero "Finisce nella pupù"]. Tutti i giornali
pubblicherebbero commenti, firmati dalle menti più lucide ed eleganti
di Messico e Spagna, che reciterebbero: "Abbiamo sempre detto che quel
tipo era una merda".
Ero immerso, dunque, in queste riflessioni [che tanto
entusiasmano Savater e compagnia], mentre tornavo al comando, quando vengono
a cercarmi i comandanti Tacho, Mister e Brus Li [e non "Bruce Lee", come
hanno scritto i giornali], e mi dicono:
"Dal notiziario abbiamo sentito che Eta ha risposto".
"Ah sí? E che cosa dicono?".
"Ti rimproverano".
"Bene, tanto è diventato lo sport internazionale.
E poi, che vuol dire 'ti rimproverano'? Sarà 'ci rimproverano'.
Non è che attraverso la mia voce parla la voce dell'ezetaelleenne?".
"No, rimproverano te. Le cose stanno così: a te
toccano i rimproveri e a noi le congratulazioni", dice Mister. E aggiunge:
"Forse qualcuno manderà la lettera completa".
E questo ci ha messo abbastanza tempo, soprattutto se
si tiene conto che, si suppone, siamo una guerriglia "postmoderna", con
tutti i progressi della tecnologia, e che navighiamo nel cyberspazio.
E con la lettera in mano, i comandanti l'hanno letta
e poi me l'hanno passata con un "Uhi!" sarcastico. Tacho ha chiesto: "Perché
dicono 'sappiamo che non sempre ci avete indovinato?'". Omar ha risposto,
sorridendo: "Credo che sia perché non l'abbiamo indovinata mettendo
il Sup a fare il nostro portavoce". Le sghignazzate devono essersi sentite
fino al Paese Basco.
Il comandante David mi si è avvicinato per consolarmi:
"Non farci caso, stanno scherzando". La comandanta Esther ha tentato di
dire qualche cosa ma era soffocata dal troppo ridere. Invece, la comandanta
Fidelia si è offerta di prepararmi un tè e mi ha detto: "Devi
rispondere, soprattutto riguardo alla cosa dei bambini e delle bambine
dell'Ezln". "Anche su questo punto", dice Tacho indicando con una matita
che probabilmente è appartenuta al generale di divisione Absalón
Castellanos [generale dell'esercito federale messicano, famoso per aver
assassinato indigeni e perseguitato, torturato, incarcerato ed ucciso le
voci dissidenti; fu fatto prigioniero dalle forze zapatiste nel 1994, giudicato
e condannato a vivere il resto della sua vita con il peso del perdono delle
sue vittime] alcuni paragrafi della vostra lettera.
Quindi, ecco qui.
Primo. Chiarisco che i bambini e le bambine dell'Ezln
non capiscono proprio tutto senza parlare, come erroneamente si suppone
nella vostra lettera.
Noi li trattiamo soltanto come bambini. È il potente,
con la sua guerra, che li tratta da adulti. Noi parliamo loro. Insegniamo
loro che la parola, insieme all'amore e alla dignità, ci rende esseri
umani. Non insegniamo loro a litigare. O sì, ma a litigare a parole.
Loro imparano. Sanno che, se noi ci troviamo in questa situazione, è
perché loro non debbano fare lo stesso. Parlano e ascoltano.
Contrariamente a quello che voi affermate, noi insegniamo
loro che le parole non uccidono, ma che si possono uccidere le parole e,
con loro, l'essere umano. Insegniamo loro che ci sono tante parole quanti
sono i colori, e che ci sono tanti pensieri diversi perché così
è il mondo e perché nel mondo nascono parole. Che esistono
modi di pensare diversi e che dobbiamo rispettarli.
Che c'è chi pretende che il suo pensiero debba
essere l'unico e che perseguita, arresta e uccide [sempre nascondendosi
dietro ragioni di Stato, leggi legittime o "cause giuste"] i pensieri diversi.
E insegniamo loro a parlare con verità, cioè
con il cuore. Perché la menzogna è un altro modo di uccidere
la parola.
Nella lingua degli "uomini pipistrello", quelli che parlando
si orientano nel loro cammino, i tzotziles, parlare con verità si
dice "yalel ta melei".
Insegniamo loro a parlare ed anche ad ascoltare. Perché
chi parla soltanto e non ascolta, finisce per credere che quello che dice
lui è l'unica cosa buona. Nella lingua dei tzotziles, quelli che
ascoltano si orientano nel loro cammino, ascoltare con il cuore si dice
"yatel tajlok 'el coontic".
Parlando ed ascoltando le parole, sappiamo chi siamo,
da dove veniamo e dove stiamo andando. E anche impariamo a conoscere l'altro,
il suo cammino ed il suo mondo. Parlando ed ascoltando le parole, ascoltiamo
la vita.
Secondo. Vedo che avete il senso dell'umorismo e che
ci avete scoperto: noi zapatisti, che non abbiamo mai avuto attenzione
da parte della stampa nazionale ed internazionale, vogliamo "usare" il
conflitto basco, che, chiaramente, gode di buona copertura da parte della
stampa. Per di più, dal giorno in cui abbiamo fatto riferimento
pubblicamente alla lotta politica in Euskal Herria, i giudizi positivi
sugli zapatisti, per strada e sulla stampa nazionale ed internazionale,
sono andati crescendo.
Per quanto riguarda il fatto che non volete far parte
di nessun tipo di "pantomima" o "operetta", lo capisco. A voi piacciono
di più le tragedie.
Per quanto si riferisce al rifiuto "di essere il soggetto
della prossima maglietta alla moda nella Gran Vía di Madrid", questo
rovina i nostri piani, quelli di aprire un chiosco di souvenir zapatisti
in quella via [era così che pensavamo di coprire le spese del viaggio].
Inoltre, dubito che qualcuno si azzardi a indossare una maglietta con Eta
come soggetto [e non per mancanza di simpatizzanti, che ci sono e non lo
dimentichiamo, ma perché se mettono fuori legge Batasuna perché
non condanna la lotta armata di Eta, immaginatevi cosa farebbero a qualcuno
con una maglietta con scritto sopra "Gora Eta", viva Eta]. Per altro, non
pensavamo di chiedervi autografi o di litigare per condividere il palcoscenico
con voi.
Che l'incontro [con il giudice Garzón e le forze
basche, proposto da Marcos a Lanzarote, nelle Canarie, in aprile, ndt.]
sarebbe qualcosa di serio, è garantito dal fatto che non lo organizzeremmo
noi [siamo specializzati solo in operette e teatro dell'assurdo], ma dalle
forze politiche e sociali basche alle quali abbiamo proposto, pubblicamente,
di organizzarlo e realizzarlo, anche se non si fosse potuto tenere il dibattito
con Garzón, sia per ostacoli interposti dai governi spagnolo e messicano,
sia a causa del mancato accordo suo o di Eta.
Terzo. "La forma pubblica, senza previa consultazione"
con cui abbiamo lanciato la nostra iniziativa di dare UNA OPPORTUNITÀ
ALLA PAROLA è il modo in cui facciamo le cose noi zapatisti. Non
facciamo preventivamente accordi nell'ombra per poi fingere di proporre
cose che erano già state concordate in precedenza.
Inoltre, non abbiamo né i mezzi, né l'interesse,
né l'obbligo di "consultare" Eta prima di parlare. Perché
noi zapatisti abbiamo conquistato il diritto di parola: di dire quello
che vogliamo, su quello che ci pare e quando ne abbiamo voglia. E per questo,
non dobbiamo consultare né chiedere permesso a nessuno. Né
ad Aznar, né al re Juan Carlos, né al giudice Garzón,
né a Eta.
Quarto. Del fatto che abbiamo mancato di "rispetto verso
il popolo basco", è qualcosa di cui ci ha accusato anche Garzón
[il quale, di conseguenza, deve auto-dichiararsi illegale, per coerenza
con Eta e le sue impostazioni] oltre che tutta la destra spagnola e basca.
Sarà che il proporre di dare un'opportunità alla parola contravviene
gli interessi di chi, da posizioni apparentemente contrapposte, ha fatto
della morte della parola il suo affare e il suo alibi. Perché il
governo spagnolo uccide la parola quando attacca la lingua basca euskera
o la lingua di Navarra, quando perseguita e mette in carcere i giornalisti
che "osano" parlare del tema basco comprendendo tutti i punti di vista,
e quando tortura i prigionieri perché confessino quello che serve
alla "giustizia" spagnola.
Eta uccide la parola quando assassina quelli che la attaccano
con le parole e non con le armi.
Quinto. Rispetto al fatto che Eta è disposta a
"fare tutto il possibile perché l'Ezln si informi meglio sul conflitto
tra il Paese Basco con gli Stati francese e spagnolo", rifiutiamo l'offerta.
Non stiamo chiedendo a nessuno di informarci. Siamo informati, e meglio
di quanto si possa immaginare. Se non esplicitiamo queste informazioni,
che sono anche opinioni, è perché tra i nostri principi c'è
quello per cui gli affari di ogni nazione competono a quel popolo, per
questo abbiamo avvertito che noi non avremmo parlato, all'incontro "Un'opportunità
alla parola". Ma, visto che siete tanto disposti ad informare, credo che
chi dovreste informare sia il popolo basco.
Noi chiediamo un'opportunità alla parola. Per
questo abbiamo dovuto rivolgerci ai diversi protagonisti del conflitto
basco. Lo abbiamo fatto perché è nostro dovere e non perché
ci appassioni scrivere a Garzón o a Eta. In un modo o nell'altro,
diversi settori dello scenario politico e intellettuale messicano, spagnolo
e basco [voi compresi], hanno accolto questa opportunità ed hanno
parlato [anche se la maggioranza per rimproverarci]. Quindi, anche se borbottando
e pontificando, state già dando un'opportunità alla parola.
E di questo si tratta.
Sesto. C'è la questione della rappresentatività.
Il giudice Garzón sostiene di rappresentare i
popoli spagnolo e basco [includendovi il re, Pepino e Filippetto - Aznar
e l'ex premier socialista Felipe González, ndt.] e se offendo i
sopraccitati, allora offendo tutto il popolo spagnolo e basco.
Eta sostiene di rappresentare il popolo basco e se li
offendiamo, proponendo di dare un'opportunità alla parola, allora
offendiamo tutto il popolo basco.
Ignoro se i popoli basco e spagnolo siano d'accordo sul
fatto di essere rappresentati dagli uni piuttosto che dagli altri. Devono
essere loro a deciderlo, non noi.
A differenza del giudice Garzón e di voi, noi
non sosteniamo di rappresentare nessuno, ma solo noi stessi. Non rappresentiamo
tutto il popolo messicano [ci sono molte organizzazioni politiche e sociali
in questo paese]. Non rappresentiamo la sinistra messicana [ci sono altre
organizzazioni di sinistra coerenti]. Non rappresentiamo la lotta armata
messicana [esistono almeno 14 organizzazioni politico-militari di sinistra].
Non rappresentiamo neppure tutti i popoli indios del Messico [fortunatamente,
esistono molte organizzazioni indigene in Messico, alcune meglio organizzate
dell'Ezln].
Per cui, non abbiamo mai detto che le sciocchezze che
ci avete dedicato tanto Garzón quanto voi, offendono "il popolo
del Messico" o "i popoli indios". Noi ci riferiamo a noi stessi e non ci
nascondiamo dietro presunte rappresentatività, che, nella maggior
parte dei casi, si assumono senza che i "rappresentati" ne siano al corrente.
Settimo. Sappiamo che nel [nei] contesto delle organizzazioni
rivoluzionarie e di avanguardia del mondo, noi zapatisti non abbiamo posto
nemmeno nelle retrovie. Questo non ci fa stare male. Al contrario, ne siamo
soddisfatti.
Ci addolora riconoscere che le nostre idee e proposte
non hanno come orizzonte l'eternità, e che ci sono altre idee e
proposte meglio elaborate delle nostre.
Quindi, abbiamo rinunciato al ruolo di avanguardia e
ad obbligare qualcuno ad accettare il nostro pensiero se non attraverso
altro argomento che non sia la forza della ragione.
Le nostre armi non servono per imporre idee e modelli
di vita, ma per difendere un pensiero ed un modo di vedere il mondo e di
rapportarsi con esso e che, sì, può imparare molto da altri
pensieri e vite, ma che ha anche molto da insegnare.
Non è a noi che dovete chiedere rispetto. Vedete
bene che come "avanguardia rivoluzionaria" siamo un disastro, quindi il
nostro rispetto non servirebbe a niente. Quelli di cui dovete guadagnarvi
il rispetto è il vostro popolo. E una cosa è il "rispetto",
ma un'altra cosa, molto diversa, è "la paura".
Sappiamo che siete arrabbiati perché pensate che
non vi prendiamo sul serio, ma non è colpa vostra. Noi non prendiamo
niente sul serio, nemmeno noi stessi. Chi si prende sul serio, finisce
per pensare che la sua verità deve essere verità per tutti
e per sempre. E presto o tardi dedica i suoi sforzi non a far sì
che la sua verità nasca, cresca, dia frutti e muoia [perché
nessuna verità terrena è assoluta ed eterna], ma ad uccidere
tutti quelli che non accettano quella verità. Non vediamo perché
potremmo chiedere a voi che cosa fare o come farlo. Che cosa ci insegnereste?
Ad uccidere giornalisti perché parlano male della lotta? A giustificare
la morte di bambini per la "causa"?
Non abbiamo bisogno né vogliamo il vostro appoggio
o solidarietà. Godiamo già della solidarietà e del
sostegno di molta gente in Messico e nel mondo.
La nostra lotta possiede un codice d'onore ereditato
dai nostri antenati guerrieri e che dice, tra le altre cose, che si deve:
rispettare la vita dei civili [anche se occupano ruoli in governi che ci
opprimono]; non ricorrere al crimine per recuperare risorse [non rubiamo
nemmeno nel negozio di alimentari]; non rispondere con il fuoco alle parole
[per quanto ci feriscano o mentano].
Potreste pensare che rinunciando a questi metodi tradizionalmente
"rivoluzionari", rinunciamo ad avanzare con nostra lotta. Ma, alla tenue
luce della nostra storia, pare che siamo avanzati più di chiunque
sia ricorso a tali argomenti [più per dimostrare la sua radicalità
e coerenza che per la loro efficacia per la causa]. I nostri nemici [che
non sono pochi e non si trovano solo in Messico] desiderano che noi ricorriamo
a questi metodi. Niente sarebbe più gradito a loro che l'Ezln diventasse
la versione indigena e messicana di Eta. Di fatto, da quando abbiamo preso
la parola per fare riferimento alla lotta del popolo basco, ci hanno accusato
di questo.
Sfortunatamente per loro, non è così. E
non sarà così.
Per certo, nella lingua dei guerrieri della notte "lottare
con onore" si dice "pasc 'op ta scotol lequilal".
Vale. Salve. E non pretendiamo di dire a nessuno quello
che deve fare, chiediamo solo di dare un'opportunità alla parola.
Se non la si vuole dare, va bene lo stesso.
Dalle montagne del Sudest Messicano e, a tutti i costi,
a nome dei bambini, bambine, uomini, donne, anziani e anziane dell'Ezln
Subcomandante Insurgente Marcos
P. S. Prima che me ne dimentichi [me lo ha ricordato
Tacho], per quanto riguarda "Viva Chiapas Libero!" [così concludeva
la lettera di Eta, ndt.]: non vi chiediamo rispetto, ma conoscenza della
geografia. Il Chiapas è uno stato del sudest messicano. Nessuna
organizzazione né nessun individuo progetta di lottare per liberare
il Chiapas [beh, sì, una volta l'ha pensato il Pri chiapaneco, infastidito
perché l'esercito federale messicano non si decideva ad annientarci],
tanto meno noi zapatisti. Non vogliamo renderci indipendenti dal Messico.
Vogliamo esserne parte ma senza smettere di essere quello che siamo: indios.
Quindi, premesso che noi lottiamo per il Messico, per i popoli indios del
Messico e per tutti gli uomini e le donne messicane, senza dare importanza
a se sono indios o non lo sono, alla fine si dovrebbe dire: "Viva il Messico
e i suoi Indigeni!".
P. S. "accidentale". Deve essere successo qualcosa, in
tempi precedenti, tra le date in cui questa lettera è iniziata e
finita.
Altro P. S. Forse è già chiaro, ma lo ribadisco:
me ne frego anche delle avanguardie rivoluzionarie di tutto il pianeta.