Guido Liguori, "il manifesto", 2 febbraio 2012
Ostaggio del fascismo e lasciato nel carcere dai comunisti perché aveva preso le distanze dal marxismo. L'invenzione di un profilo teorico inesistente, in un libro di Franco Lo Piparo
Un nuovo libro su Gramsci di Franco Lo Piparo non può che destare interesse. Lo Piparo è noto fra gli studiosi gramsciani per un volumedel del 1979 che fece comprendere l'importanza che avevano avuto i giovanili studi di linguistica per il comunista sardo. Un contributo di grande rilievo, anche se non fu accolta dai più la tesi dell'autore secondo cui questi studi erano alla base dell'originalità di Gramsci non accanto ad altre fonti (in primis il dibattito nell'Internazionale comunista), ma al posto delle stesse: Gramsci senza Lenin, insomma.
Il dietrofront di Croce
In anni recenti Lo Piparo si è occupato degli influssi che Gramsci
avrebbe esercitato, con la mediazione di Sraffa, sul secondo Wittgenstein,
ipotesi affascinante su cui si annuncia un più ampio lavoro. Esce
per il momento di Lo Piparo, però, un volumetto intitolato I due
carceri di Gramsci. La prigione fascista e il labirinto comunista (Donzelli,
pp. 144, euro 16), destinato a far discutere su un versante diverso: quello
della ipotesi, che in alcuni autori è divenuta affermazione polemica
(e a volte bassamente propagandistica), secondo cui l'originalità
del suo pensiero avrebbe portato Gramsci alla fuoriuscita dal Pci e dalla
teoria e dalla prassi marxiste e comuniste. Fu Croce per primo a tentare
l'operazione di contrapporre Gramsci ai comunisti, scrivendo nel 1947,
di fronte alle Lettere: «Come uomo di pensiero egli fu dei nostri»,
ovvero un liberale. Molti però - non solo Lo Piparo - dimenticano
di aggiungere che l'anno dopo, all'uscita dei Quaderni, don Benedetto ammise
di essersi sbagliato, scrivendo che Gramsci era - purtroppo, dal suo punto
di vista - proprio un comunista e un marxista. Ovviamente il taglio di
Lo Piparo è quello dell'esegeta che analizza gli scritti. Eppure
anch'egli si lascia prendere da quelle «ansie ideologiche»
che rimprovera agli interpreti che (come Croce, verrebbe da dire) sono
convinti che il pensiero gramsciano si situi, pur in modo originale, nell'ambito
del marxismo e del comunismo. Vediamo alcuni esempi.
La tesi da cui parte il libro è «che nella lettera del
27 febbraio 1933 Gramsci dichiari e renda ufficiale, anche se in maniera
criptica, la propria estraneità, filosofica anzitutto, al comunismo
come si andava realizzando». Ora, nella citata lettera alla cognata
Tania non vi è alcuna questione di «estraneità filosofica».
Vi è in primo luogo il rapporto difficile e drammatico con la moglie
russa, Giulia, che secondo Lo Piparo sarebbe una «metafora»
dell'Urss. Da qui si deduce che Gramsci voglia manifestare la sua decisione
di separarsi dal movimento comunista. Che i rapporti tra Gramsci e il Pcd'I
siano stati per due o tre anni burrascosi è cosa nota. Che nella
lettera in questione anche di questo si tratti è evidente. Sul fatto
però che sia Togliatti il vero carceriere di Gramsci non si può
che dissentire (come d'altra parte su un'altra e più paradossale
affermazione di Lo Piparo, secondo cui «Mussolini ha protetto Gramsci
in carcere»).
In merito alla famosa lettera di Grieco del '28 a partire da cui il
giudice Macis insinuò nel prigioniero il sospetto del tradimento
subìto, si è scritto molto. È inutile ricordare come
Terracini e Scoccimarro, che ricevettero lettere analoghe, non se ne risentissero;
come Fiori abbia dimostrato che Macis faceva il suo mestiere di provocatore;
come Sraffa abbia fatto notare che il sospetto fosse montato in Gramsci
solo anni e anni dopo la famosa lettera, in una situazione psicofisica
logora oltre ogni dire; come Canfora abbia addirittura sostenuto che la
missiva fosse un falso dell'Ovra; come la stessa nulla aggiungesse a quanto
era a tutti noto, che Gramsci era un dirigente comunista: affermazione
tale da non rafforzare l'accusa e infatti al processo contro Gramsci la
lettera di Grieco non fu esibita. Al di là delle buone o delle cattive
ragioni di Gramsci, resta il fatto che nella lettera a Tania egli, dopo
aver scritto di aver preso un «dirizzone» (una cantonata),
aggiunge: «Mi persuade ancora che ciò non è perfettamente
vero l'atteggiamento tuo e specialmente dell'avvocato». Ovvero di
Sraffa, tramite dei rapporti di Gramsci con Togliatti e con il Comintern.
Tradotto: nonostante dubbi e sospetti, il comunista sardo sapeva che i
compagni non l'avevano abbandonato.
Un altro esempio: ricoverato nelle cliniche di Formia e poi di Roma,
Gramsci non scrisse molto, solo poche nuove note, ricopiando con enorme
fatica scritti precedenti. Perché non ricordare che dopo Turi Gramsci
è sempre più gravemente malato e con pochissime energie?
Invece Lo Piparo - facendo leva su alcune affermazioni di vari protagonisti
della vicenda in cui si parla di «30 quaderni» o di «una
trentina di quaderni» - arriva a ipotizzare che un quaderno sia stato
fatto sparire da Togliatti perché troppo eterodosso. Ora, a parte
che i quaderni sono 29 di note e appunti, 4 di sole traduzioni, 2 non utilizzati,
più uno usato da Tania per un indice provvisorio; a parte che è
improbabile che Giulia o Tania o altri distinguessero senza adeguato studio
tra i vari tipi di quaderni (alcuni dei quali contengono sia traduzioni
che note); a parte che essi son di vario formato e uno è quasi del
tutto non scritto; a parte tutto questo, che può essere causa di
approssimazione o errore, perché - come sostiene Lo Piparo - Togliatti
avrebbe distrutto questo trentesimo e pericolosissimo quaderno in Italia,
e non più prudentemente in Russia, quando durante la guerra ne fece
lettura?
In questa sua ansia di restituirci un Gramsci liberaldemocratico, Lo
Piparo trae persino dai Quaderni una definizione dell'egemonia tagliando
male la citazione: «L'egemonia presuppone... un regime liberal-democratico»,
affermerebbe Gramsci secondo Lo Piparo. Gramsci in effetti lo scrive(p.
691 dell'edizione Gerratana), ma non è la sua posizione, è
quella di Croce, riassunta e contrapposta a quella di Gentile, come risulta
palese a chiunque legga interamente la nota.
La custodia dei Quaderni
Ancora: secondo l'autore, la minuta che in accordo con Gramsci Sraffa
stende negli ultimi giorni di vita del prigioniero, con la quale egli voleva
chiedere il permesso di espatriare nella Russia sovietica - richiesta che
per molti aspetti definisce la posizione di Gramsci, il suo ritenersi comunista
fino all'ultimo -, sarebbe l'estremo tentativo di «Togliatti-Stalin»
(e Sraffa) «di tenere il pensatore sardo nel secondo carcere»,
quello comunista. Ma come era possibile che costoro si illudessero che
un Gramsci non più comunista - secondo Lo Piparo - ormai da quattro
anni obbedisse, visto che l'istanza doveva essere firmata di suo pugno?
Mai nessuno, neanche Lo Piparo, ha parlato di ricatti, di minacce per la
famiglia di Gramsci in Urss: una ipotesi senza fondamento. Anche se si
pensa che, morto Gramsci, le sorelle Schucht si appelleranno, in polemica
coi comunisti italiani, proprio a Stalin, per ottenere la gestione degli
scritti dello scomparso.
Per fortuna Togliatti riuscì a ottenere le carte e a gestirle
in modo da evitare che Gramsci apparisse come un eretico antistalinista,
cosa che avrebbe significato che nulla ci sarebbe arrivato di lui fino
agli anni '90. Quando Togliatti scriveva a Dimitrov che i Quaderni dovevano
essere in alcuni passaggi «elaborati» prima di essere pubblicati,
di questo si mostrava consapevole. Come alla fine lo stesso Lo Piparo ammette,
scrivendo che è solo grazie a Togliatti che conosciamo i Quaderni.
Non avrebbe potuto il luciferino Ercoli bruciarli subito tutti?
Scrive Lo Piparo: «In mancanza di documenti persi o distrutti
o non ancora trovati, l'immaginazione è autorizzata a prendere le
più disperate direzioni». No, lo studioso, lo storico non
può procedere in questo modo. Gramsci non è il personaggio
di un romanzo. «Di ciò di cui non si può dire, si deve
tacere», ha scritto Wittgenstein. Credo che - in mancanza di nuove
carte e ritrovamenti d'archivio - sulle questioni affrontate dal libro
gli studiosi di Gramsci a questa norma dovrebbero attenersi.