Paul Krugman, http://cambiailmondo.org, 4 agosto 2012
Un articolo illuminante, da leggere e diffondere, del premio Nobel Paul Krugman, uscito in questi giorni sul New York Times. Come è ormai chiaro a tutti, Krugman spiega perché le politiche di austerity non hanno senso dal punto di vista economico, al contrario: l’austerity è solo la scusa per smantellare i programmi sociali su scala globale. Ecco l’articolo.
“Il tempo giusto per le misure di austerità è durante
un boom, non durante la depressione”. Questo dichiarava John Maynard Keynes
75 anni fa, ed aveva ragione. Anche in presenza di un problema di deficit
a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese quando l’economia
è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta,
perché non fa altro che ingrandire la depressione.
Allora come mai la Gran Bretagna (e l’Italia, la Grecia, la Spagna,
ecc. NDR) sta facendo esattamente quello che non dovrebbe fare?
Al contrario di paesi come la Spagna, o la California, il governo britannico
può indebitarsi liberamente, a tassi storicamente bassi.
Allora come mai sta riducendo drasticamente gli investimenti, ed eliminando
centinaia di migliaia di lavori nel settore pubblico, invece di aspettare
che l’economia recuperi?
Nei giorni scorsi, ho fatto questa domanda a vari sostenitori del governo
del primo ministro David Cameron. A volte in privato, a volte in TV. Tutte
queste conversazioni hanno seguito la stessa parabola: sono cominciate
con una metafora sbagliata, e sono terminate con la rivelazione di motivi
ulteriori (alla ripresa economica NDR).
La cattiva metafora – che avrete sicuramente ascoltato molte volte
– equipara i problemi di debito di un’economia nazionale, a quelli di una
famiglia individuale. La storia, pressappoco è questa: Una famiglia
che ha fatto troppi debiti deve stringere la cinghia, ed allo stesso modo,
se la Gran Bretagna ha accumulato troppi debiti – cosa che ha fatto, anche
se per la maggior parte si tratta di debito privato e non pubblico – dovrebbe
fare altrettanto!
Cosa c'è di sbagliato in questo paragone?
La risposta è che un’economia non è come una famiglia
indebitata. Il nostro debito è composto in maggioranza di soldi
che ci dobbiamo l’un l’altro; cosa ancora più importante: il nostro
reddito viene principalmente dal venderci cose a vicenda. La tua spesa
è il mio introito, e la mia spesa è il tuo introito.
E allora cosa succede quando tutti, simultaneamente, diminuiscono le
proprie spese nel tentativo di pagare il debito? La risposta è che
il reddito di tutti cala – il mio perché tu spendi meno, il tuo
perché io spendo meno.- E mentre il nostro reddito cala, il nostro
problema di debito peggiora, non migliora.
Questo meccanismo non è di recente comprensione. Il grande economista
americano Irving Fisher spiegò già tutto nel lontano 1933,
e descrisse sommariamente quello che lui chiamava “deflazione da debito”
con lo slogan:”Più i debitori pagano, più aumenta il debito”.
Gli eventi recenti, e soprattutto la spirale di morte da austerity in Europa,
illustrano drammaticamente la veridicità del pensiero di Fisher.
Questa storia ha una morale ben chiara: quando il settore privato sta
cercando disperatamente di diminuire il debito, il settore pubblico dovrebbe
fare l’opposto, spendendo proprio quando il settore privato non vuole,
o non può. Per carità, una volta che l’economia avrà
recuperato si dovrà sicuramente pensare al pareggio di bilancio,
ma non ora. Il momento giusto per l’austerity è il boom, non la
depressione.
Come ho già detto, non si tratta di una novità. Allora
come mai così tanti politici insistono con misure di austerity durante
la depressione? E come mai non cambiano piani, anche se l’esperienza diretta
conferma le lezioni di teoria e della storia?
Beh, qui è dove le cose si fanno interessanti. Infatti, quando
gli “austeri” vengono pressati sulla fallacità della loro metafora,
quasi sempre ripiegano su asserzioni del tipo: “Ma è essenziale
ridurre la grandezza dello Stato”.
Queste asserzioni spesso vengono accompagnate da affermazioni che la
crisi stessa dimostra il bisogno di ridurre il settore pubblico. Ciò
e manifestamente falso. Basta guardare la lista delle nazioni che stanno
affrontando meglio la crisi. In cima alla lista troviamo nazioni con grandissimi
settori pubblici, come la Svezia e l’Austria.
Invece, se guardiamo alle nazioni così ammirate dai conservatori
prima della crisi, troveremo che George Osborne, ministro dello scacchiere
britannico e principale architetto delle attuali politiche economiche inglesi,
descriveva l’Irlanda come “un fulgido esempio del possibile”. Allo stesso
modo l’istituto CATO (think tank libertario americano) tesseva le lodi
del basso livello di tassazione in Islanda, sperando che le altre nazioni
industriali “imparino dal successo islandese”.
Dunque, la corsa all’austerity in Gran Bretagna, in realtà non
ha nulla a che vedere col debito e con il deficit; si tratta dell’uso del
panico da deficit come scusa per smantellare i programmi sociali. Naturalmente,
la stessa cosa sta succedendo negli Stati Uniti.
In tutta onestà occorre ammettere che i conservatori inglesi
non sono gretti come le loro controparti americane. Non ragliano contro
i mali del deficit nello stesso respiro con cui chiedono enormi tagli alle
tasse dei ricchi (anche se il governo Cameron ha tagliato l’aliquota più
alta in maniera significativa). E generalmente sembrano meno determinati
della destra americana ad aiutare i ricchi ed a punire i poveri. Comunque,
la direzione delle loro politiche è la stessa, e fondamentalmente
mentono alla stessa maniera con i loro richiami all’austerity.
Ora, la grande domanda è se il fallimento evidente delle politiche
di austerità porterà alla formulazione di un “piano B”. Forse.
La mia previsione è che se anche venissero annunciati piani di rilancio,
si tratterà per lo più di aria fritta. Poiché il recupero
dell’economia non è mai stato l’obiettivo; la spinta all’austerity
è per usare la crisi, non per risolverla. E lo è tutt’ora.