"Umanità Nova", 2 novembre 2008
Se ti rivasse notizia che sono morto, non dire che sono morto per la Patria, ma che sono morto per i signori, cioè per i richi che sono stati la causa di tanti buoni giovani, la colpa della sua morte. [Lettera di un soldato, aprile 1917]
In questo anno, tra le tante ricorrenze storiche (1948, 1968, 1978…),
vi è pure quella della fine della Grande Guerra. Facile prevedere
che, a distanza di novanta anni, soprattutto in occasione del 4 novembre,
non mancheranno i tentativi di unire alle rievocazioni di quella immane
tragedia l'immutabile retorica patriottica unita alla rinnovata propaganda
militarista.
Per questo, non è forse inutile, ricordare l'altra faccia del
primo conflitto mondiale, ossia quello misconosciuto della rivolta umana
e sociale contro la guerra.
L'orrore racchiuso nei numeri a cinque zeri, riguardanti le vittime
di quell'evento bellico i cui nomi restano, in ogni più piccola
frazione, incisi sui gelidi monumenti ai caduti, sembra dissolversi in
una dimensione della memoria sempre più lontana e irreale, come
se quella tragedia appartenesse alla storia di un altro pianeta, nonostante
abbia investito violentemente il passato di ogni famiglia e di ogni comunità.
Ma se dei massacrati noti e ignoti sui campi di battaglia viene riconosciuto
e consacrato, loro malgrado, l'eroismo e il sacrificio per la nazione;
a coloro che si ribellarono al militarismo e disertarono quella strage
proletaria che incrementò i profitti dei capitalisti, resta al contrario
la condanna all'oblio e all'esecrazione nazionale: fucilati ieri, inammissibili
oggi.
A fine guerra risultavano emesse 870.000 denunce per indisciplina,
resa al nemico, mutilazione volontaria, renitenza, diserzione, etc., con
circa 15.000 condanne all'ergastolo e circa 800 condanne a morte eseguite.
Imprecisato invece il numero delle esecuzioni sommarie, ma comunque nell'ordine
delle migliaia.
Sia in Francia che in Gran Bretagna, fu eseguito un numero assai inferiore
di condanne capitali, nonostante, la più lunga partecipazione al
conflitto e il maggior numero di soldati impegnati.
In alcune zone, specie dove erano forti i sentimenti antimilitaristi,
i disertori avevano persino formato gruppi e bande, sostenute dalla popolazione.
Fu il caso, ad esempio, di una comunità di disertori di Imola, autodenominati
Fratelli Ciliegia, che si erano dati alla macchia nei dintorni della città,
sfuggendo alle retate di agenti e carabinieri.
Per questo, a tutti coloro che continuano a rifiutare l'arruolamento
delle coscienze e l'oscena propaganda delle guerre giuste, e persino umanitarie,
offriamo una selezione di testimonianze di volontà, individuali
e collettive, contro quello che proprio un soldato al fronte definì
come "immenso impero, regno della morte".
Volontà riscontrabili nei documenti emessi in gran copia dai
comandi e dai tribunali militari, ossessionati di scoprire e reprimere
ferocemente ogni insubordinazione tra i soldati stanchi della guerra, perseguendo
con particolare accanimento i sospetti sovversivi che si annidavano nelle
trincee. Si trattava di socialisti e anarchici che, fedeli ai principi
dell'internazionalismo, non avevano smesso di pensare e sperare che lo
spontaneo disfattismo esistente tra le truppe, sovente giunto alla sedizione
armata, si trasformasse in una rivoluzione che, come avvenuto in Russia,
imponesse la pace ai governi.
Peraltro, come si apprende attraverso la corrispondenza dal fronte
o dalla prigionia, numerosi soldati divennero rivoluzionari, proprio in
conseguenza della loro lacerante presa di coscienza per gli orrori vissuti.
In una cartolina, scritta dal un soldato in zona di guerra e intercettata
dalla censura, viene scoperto il pensiero di tanti: "Pace! Viva la rivoluzione
russa",
Persino un giovane ufficiale prigioniero, in una lettera, scritta nel
dicembre 1917 dal campo di Mauthausen (destinato a divenire lager nazista),
scriveva: "non vedo l'ora di essere in Italia per iscrivermi al partito
anarchico".
Fin dall'inizio delle ostilità, i comandi ebbero a fare i conti
con l'avversione popolare alla guerra; già nel maggio 1915, a pochi
giorni dall'entrata in guerra, i carabinieri fanno fuoco su reparti in
rivolta della Brigata Ancona "costituiti da elementi non buoni: da soldati
della provincia di Firenze, travagliati dagli apostolati socialisti e anarchici".
Emblematico il comunicato di Emanuele Filiberto di Savoia, dopo la fucilazione
di alcuni fanti del 93° reggimento, in occasione della prima battaglia
dell'Isonzo, nel giugno 1915: "data speciale situazione quel reggimento
con numerosi richiamati anarchici distretto Ancona. Alcuni di questi oggi
tentarono sventolare bandiera bianca et furono fucilati".
Nel luglio 1915, ben undici soldati del reggimento cavalleggeri Padova
vengono condannati a pene detentive tra i 5 e i 20 anni, per propaganda
sovversiva; i condannati avevano costituito una cellula clandestina anarchica,
ironicamente battezzata come Gruppo dei Grufoli, in contatto con la stampa
libertaria.
Nello stesso mese, due bersaglieri, un bracciante della provincia di
Bologna e un carrettiere della provincia di Ravenna, vengono incriminati
e condannati a 20 anni di reclusione, per avere affisso su un albero
un manifesto scritto a mano di contenuto antimilitarista e internazionalista,
in cui si poteva leggere: "Da Masetti dobbiamo prendere scuola".
Nel settembre 1916, un fante originario di Udine viene condannato a
quattro mesi di carcere per aver scritto una lettera al padre in cui si
chiedeva "Come si può approvare questa guerra che più che
barbara è stupida, di una stupidità grottesca, colossale,
e vogliono farla credere civile, e come una lotta pel diritto, mentre invece
è un cumulo di ingordigie e di interessi di pochi a danno del popolo
che soffre e paga col miglior sangue?" concludendo che "non bastava il
socialismo legalitario per abbattere questa società malsana, ma
occorreva il socialismo anarchico".
Nel maggio 1917, il tribunale militare condanna per tradimento a 15
anni di galera un geniere milanese: operaio iscritto al partito socialista
aveva diffuso tra i commilitoni alcune copie stampate dell'appello Ai popoli
che la guerra rovina e uccide, stilato dalla II conferenza socialista internazionale
di Zimmerwald.
Nel maggio 1917, un soldato della provincia di Parma viene condannato
a 22 anni di prigione; anch'egli operaio, aveva più volte rivolto
discorsi contro il militarismo ai compagni d'armi, invitandolo a fare uso
della forza per far cessare la guerra.
Nel giugno 1917, un'ennesima rivolta viene punita con la fucilazione
di undici soldati del 117° reggimento che prima d'essere uccisi gridano:
"Abbasso la bandiera, abbasso la patria, abbasso l'Italia, vigliacchi,
assassini, viva l'anarchia, etc".
Nel novembre 1917, un geniere di Torino viene condannato all'ergastolo
per tradimento: aveva svolto propaganda contro la guerra, raccogliendo
soldi per finanziare un giornale che "propugnava la pace ad ogni costo".
Dopo la disfatta di Caporetto, nella 5ª Armata che aveva raccolto
quanto era rimasto della 2ª, vengono emanate disposizioni per il ritiro
delle bombe a mano e delle munizioni, onde prevenire altre rivolte, e vengono
infiltrati carabinieri per sorvegliare i sovversivi.
Nel luglio 1917, due fanti della provincia di Alessandria -un muratore
e un contadino- vengono condannati a 16 e 5 anni di reclusione militare
per subornazione alla rivolta, per avere più volte incitato con
discorsi e scritti altri soldati a mettere fine alla guerra facendo la
rivoluzione.
Nell'agosto 1917, un facchino ravennate, soldato dell'83° fanteria,
con precedenti penali sia comuni che d'ordine politico, viene condannato
a 16 anni di prigione militare per subornazione, dopo che aveva fatto discorsi
a favore della diserzione e della rivolta.
Nello stesso mese, una quindicina di fanti, quasi tutti di Vicenza
e Cremona, aderenti in gran parte al partito socialista, vengono condannati
a pene comprese tra 15 e 1 anno di carcere militare per numerose imputazioni
legate all'attività di propaganda sovversiva contro la guerra.
Agli inizi del 1918 un soldato viene condannato all'ergastolo per tradimento
in quanto propagandista dell'Avanti! e per aver raccolto fondi per il quotidiano
del Partito socialista che, peraltro, aveva scelto la linea del né
aderire né sabotare.
Nella primavera del 1918, si registrano tre distinte pesantissime condanne
del tribunale militare persino contro arditi dei reparti d'assalto; i reati
sono: espressioni di codardia, diserzione, disfattismo e rifiuto d'obbedienza.
Nel maggio 1918, il tribunale militare emette una condanna a due mesi
di reclusione contro un contadino di Trapani, artigliere del 21°
reggimento, reo di aver diffuso una canzonetta ritenuta disfattista. Le
strofe incriminate appaiono quasi ingenue, ma vengono ritenute ugualmente
pericolose per gli esiti della guerra e le sorti della patria.