Identità a Nord-est
a cura di Piero Brunello

Un recente convegno a Venezia ha analizzato uno dei cavalli di battaglia della Lega. Pubblichiamo gli interventi di Piero Brunello e Maria Turchetto

"A rivista anarchica", N. 273, giugno 2001

Da quando è retto da un esponente della Lega Nord, l'assessorato alla cultura della regione Veneto, su esempio della Lombardia, si chiama "Assessorato alle Politiche per la Cultura e l'Identità Veneta". Nei convegni scientifici e accademici - di linguisti, storici, antropologi, dialettologi, folcloristi - girano termini come "popolo veneto", "comunità", "etnia", "radicamento territoriale", "cultura di appartenenza", "solidarietà naturale". In nome del "federalismo" si insinua nei discorsi il repertorio nazionalista di sempre. Il presidente della regione si fa chiamare "Governatore", e l'assessorato "alle Politiche per la Cultura e l'Identità Veneta" ha in cantiere per l'inizio del prossimo anno scolastico un sussidiario per le scuole. Grazie alla "autonomia scolastica" infatti, le Regioni assumono nuove competenze: è su questa base, tra l'altro, che la Regione Veneto ha stanziato una ventina di miliardi per i genitori che pagano più di trecentomila lire all'anno di tasse di iscrizione dei figli, finanziando così sotto forma di "buoni scuola" le scuole private, nel nostro caso cattoliche.
Le pratiche intellettuali e di ricerca chiamate alla mobilitazione riguardano soprattutto la storia e le scienze sociali, non solo per i finanziamenti che l'assessorato destina a progetti di studio, musei etnografici, corsi di formazione, istituzioni culturali, ma anche per gli scopi a cui le ricerche sono chiamate. Se si raccolgono testimonianze orali, l'obiettivo è "riscoprire", "ritrovare" e "valorizzare" radici e identità. Uno scavo archeologico risponde alle domande sulla "nostra storia", sulle "nostre origini". Mai nessuno che guardi ai frutti. No: sempre radici, tanto più vere quanto più immaginate come comunitarie, antiche, mitiche. Si catalogano culture, etnie, comunità; e gli individui contano solo in quanto possono essere assegnati all'una o all'altra. Sembra dimenticato il proverbio arabo citato da Marc Bloch ne L'apologia della storia, che dice "Gli uomini somigliano al loro tempo più che ai loro padri".
In questo contesto, vecchie parole come "civiltà contadina" o "culture popolari" assumono improvvisamente nuovi significati. Gli argomenti storici vengono piegati a un registro etnico. Del resto in Italia la cittadinanza si basa sul sangue: e le discussioni, basti vedere le polemiche sui passaporti ai calciatori sudamericani, riguardano la correttezza o meno della ricerca genealogica, non il criterio di fondo. A proposito dell'emigrazione transoceanica dalle campagne venete di fine Ottocento, per fare un esempio, si può sentire parlare di emigrazione dei Veneti in seguito all'arrivo degli Italiani. La "storia locale", una delle parole più usate nelle pratiche di rinnovamento didattico degli ultimi vent'anni, si trasforma in "storia del Veneto", e la "storia del Veneto" in "storia dei Veneti". Insegnanti di scuola elementare che fanno comunemente in classe piccole ricerche sugli alberi genealogici, ad un tratto vi avvertono qualcosa di inquietante. Termini che provengono dal repertorio ideologico della sinistra – differenza, minoranze, soggettività – sono confiscati dai campi di discorso che arruolano – ed escludono – sulla base dell'appartenenza a un territorio, e ne fanno la base della partecipazione politica. Come succede per tutte le forme di nazionalismo, questi discorsi non hanno a che vedere con i sentimenti che si provano nei confronti di un luogo e di chi vi abita, come vorrebbero far credere, ma dicono a chi bisogna obbedire.
Le classi dominanti nel Veneto – ma non è certo una prerogativa regionale – hanno dimestichezza con il lessico cattolico, ruralista e misogino. Il retrobottega cui attingono, comprende miti della sanità morale della campagna, immagini del lavoratore laborioso e sottomesso al padrone, modelli di famiglie unite dall'autorità del capofamiglia. L'ideologia non è cambiata, e nemmeno lo scopo, che rimane quello di far apparire "naturale" e "tradizionale" l'assetto sociale ed economico. Solo che nell'attuale sistema sociale dominato dal mito dell'imprenditore veneto e dalla presenza di manodopera straniera immigrata, il vecchio lessico si aggiorna. O si è veneti, o non lo si è; i veneti sono più simili ai Paleoveneti che ai lavoratori stranieri immigrati.
Quando la riscoperta di "antichi" valori diventa prescrizione di modelli di comportamento, si possono fare esercizi di disidentità. Qui sotto Maria Turchetto ne propone alcuni. Altri esercizi possono partire da quello che scrive il poeta Rilke, e cioè che l'unica patria di un individuo è il mondo della propria infanzia. Un buon esercizio può essere pertanto questo: giù le mani dalla mia infanzia! Infine un individuo può mettere assieme le innumerevoli identità e appartenenze conosciute e costruite nella propria vita. "La mia identità" scrive Amin Maalouf, "fa sì che io non sia identico a nessun'altra persona. […] Tutte queste appartenenze non hanno evidentemente la stessa importanza, a ogni modo non nello stesso momento. Ma nessuna è totalmente insignificante. […] Se ciascuno di questi elementi può riscontrarsi in un gran numero di individui, non si ritrova mai la stessa combinazione in due persone diverse, ed è proprio ciò che fa sì che ogni essere sia unico e potenzialmente insostituibile". (L'identità, Bompiani, Milano 1999, pp. 16-17).

P.B.

Identici a chi?
di Piero Brunello

Facendo ordine in casa, ho trovato uno scritto. Porta questo titolo: Unità didattica ad uso delle scuole. Risulta pubblicato dall'assessorato alle Politiche per la Cultura e l'Identità Veneta, Stamperia del Governatore della Regione Veneto, e porta la data del 31 marzo 2010. Ho pensato a un inedito, visto che sarà pubblicato fra una decina d'anni. In realtà, mangiando la pizza in compagnia nei pressi di Via Piave, mi hanno spiegato che lo scritto si basa su una cosa pubblicata nel 1998: si tratta della Prolusione a un convegno promosso a Venezia dalla Regione del Veneto e dalla Fondazione Giorgio Cini sul tema "Tra localismi e globalizzazione" (in Notiziario bibliografico a cura della Giunta regionale del Veneto, n. 28 luglio 1998, pp. 9-11).
La struttura di questa unità didattica è fatta di domande e risposte. Le risposte riprendono praticamente alla lettera le affermazioni che si possono leggere in questa Prolusione: perciò sono già edite. Le domande che le precedono invece sono inedite: sembra quasi che un futuro funzionario dell'assessorato abbia preso il testo e lo abbia trasformato in una serie di domande e di risposte adatte all'insegnamento. Ecco l'unità didattica, anche se purtroppo non si tratta completamente di uno scoop, come speravo.

Perché il classismo è vecchio?
Il classismo è vecchio perché comportava assunzioni assiomatiche.
A che cosa portavano le assunzioni assiomatiche del classismo?
Le assunzioni assiomatiche del classismo portavano ad escludere le forme di solidarietà naturale.
Quante sono le forme di solidarietà naturale?
Le forme di solidarietà naturale sono due: la famiglia e l'etnia.
In che cosa consiste l'interesse nuovo per l'ambito delle culture locali?
L'interesse nuovo per l'ambito delle culture locali consiste nella tematica dell'identità culturale, etnica, sociale.
Qual è l'obiettivo della tematica dell'identità culturale, etnica, sociale?
L'obiettivo dell'identità culturale, etnica, sociale è il radicamento territoriale.
Che cosa si intende per radicamento territoriale?
Per radicamento territoriale si intende il radicamento nella cultura di appartenenza.
A che cosa è finalizzato radicamento nella cultura di appartenenza?
Il radicamento nella cultura di appartenenza è finalizzato alla partecipazione al dialogo multiculturale e plurietnico.
Nel Veneto abbiamo grandi fenomeni di tensione interetnica o infraetnica?
No, fortunatamente nel Veneto non abbiamo grandi fenomeni di tensione interetnica o infraetnica, grazie alla nostra civiltà veneta, che è una civiltà di dialogo, di aperture, e per questo è una grande civiltà europea.
Da che cosa e da chi è costituito il Veneto?
Il Veneto è costituito dalla cultura veneta e da etnie di antica e celebrata presenza culturale.
Con quali altri termini può essere indicata l'etnia?
L'etnia può anche essere indicata con il termine comunità, gruppo etnico culturale, o realtà culturale.
Quali etnie, dette anche comunità, gruppi etnici culturali o realtà culturali, fanno parte della cultura veneta?
Oltre ai Veneti, la cultura veneta comprende bisiachi, istroveneti, trentini, giuliani, friulani, le isole germanofone dei Cimbri dei Tredici comuni veronesi o dei Sette comuni vicentini, i mocheni, i sappadini, i germanofoni di Sauris e Timau, gli sloveni della valle del Natisone e della Slavia veneta, gli sloveni di Gorizia e di Trieste, i ladini dolomitici di Bolzano, di Trento e di Belluno.
Da che cosa sono accomunate tutte queste etnie, dette anche comunità o gruppi etnici culturali?
Queste etnie, dette anche comunità o gruppi etnici culturali, sono accomunate dal fatto di sentire ancora Venezia come un riferimento multiculturale e plurietnico.
Quali nuove realtà si affiancano oggi a queste antiche presenze?
Alle antiche presenze si affiancano oggi le nuove minoranze, centinaia di nuove etnie.
Chi ha chiarito il significato odierno della dinamica delle culture?
Il significato odierno della dinamica delle culture è stato chiarito da papa Giovanni Paolo II parlando all'assemblea delle Nazioni Unite.

Fin qui la scheda. A dire il vero, ho trovato anche altri documenti, mescolati all'unità didattica. Anche questi sono degli anni 2009-2010. Si tratta di schede per le scuole, di cui riporto un paio di titoli: I "casoni" dei nostri bisnonni, antiche palafitte dei Paleoveneti; Alla fine dell'Ottocento i Veneti sono emigrati per scampare all'invasione degli Italiani. Ci sono anche "tracce di lavoro", ad esempio: I Veneti sono i più Celti tra i contemporanei? Non riporto i testi perché chiunque può già trovarli sui siti internet che parlano di "Popolo veneto", oppure curiosando in libreria.
Perché vi parlo di queste carte? Perché ho visto sul "Gazzettino" il tema dell'incontro e mi è parsa molto interessante la domanda: "Identici a chi?" Ho pensato: queste carte danno finalmente una risposta chiara; vado all'incontro, speriamo che ci sia gente e così glielo spiego. Magari non serviva neanche farlo, il convegno.
Poi però un mio amico che si chiama Elis, andando a comprare prosecco dalle parti di Valdobbiadene, mi ha parlato di un libro, di Fernando Savater, Contro le patrie, Elèuthera, Milano 1999. Anche se il titolo è strampalato, e sebbene l'autore sia uno che si definisce "libertario basco" e "vittima del patriottismo" – come può essere un basco vittima del patriottismo basco? – insomma, nonostante queste e altre incongruenze (per dire: a Madrid lo prendono per basco e a San Sebastian per castigliano o spagnolo) l'ho letto, qua e là. All'inizio parla del suo "amore per la terra natale" e di "amore verso le sue energiche e care virtù" (p. 25). E fin qui va bene. Alla fine però conclude che il nazionalismo non è "un sentimento" ma "un'ideologia politica". Scrive: "Il nazionalismo non parla di amore, ma di chi deve comandare e di come si debba organizzare una determinata società, cosicché converte l'appartenenza etnica in base e orientamento della partecipazione democratica" (p. 176). Mah… riporto anche la sua opinione, visto che può interessare al tema di questo incontro.

Piero Brunello


Esercizi di disidentità
di Maria Turchetto

Se fossi un "consulente identitario" – cioè se dovessi dare consigli su quale identità investire – consiglierei, in primo luogo, di differenziare l'investimento. Va da sé che investire su una sola identità è estremamente rischioso: pensate alle donne che in giovane età investono tutto sull'identità "bella donna", senza preoccuparsi di un'identità di riserva per la vecchiaia, e si ritrovano in piena "grande depressione" quando arrivano le prime rughe.
Il secondo consiglio è di non investire in pacchetti preconfezionati, ma di costruire personalmente e con cura le proprie identità. È più divertente e rende di più. E state sicuri: sui pacchetti preconfezionati c'è sempre qualcun altro che ci guadagna.
Tipici pacchetti identitari preconfezionati sono quelli legati alla nascita (del resto, cos'altro potrebbe proporvi chi conosce di voi solo i dati anagrafici, e nulla sa della vostra vita, dei vostri gusti, delle vostre scelte più personali?): identità di "razza", di "genere", di "casata" (questo per la verità è poco diffuso, in quanto è utilizzabile solo dagli aristocratici), di "popolo", di "segno zodiacale". Identità povere, lo si capisce al volo.
Quello che propone l'assessorato regionale alla "Cultura e Identità veneta", ad esempio, è una tipica identità di "popolo". Pessimo investimento, credetemi. Ma per convincervi voglio illustrarvi brevemente com'è confezionato questo pacchetto. È un pacchetto vecchio, ma non vecchissimo. Cominciò ad essere di moda nella seconda metà dell'Ottocento, alimentato dalla cultura romantica e dai concetti di Volksgeist ("spirito del popolo") e Kultur ("cultura", appunto, come assai propriamente recita la denominazione dell'assessorato). La "cultura", in questa accezione, non indica, genericamente, il sapere: designa i "valori originari" che derivano dalla storia particolare e irripetibile di ciascun "popolo". Come si vede, è un'ideologia un po' meno brutale di quella razzista (c'è anche la storia, non solo un corredo di cromosomi), certamente fortemente nazionalista. In effetti è l'ideologia che ha accompagnato la formazione dello Stato-nazione tedesco, più tarda di quella di altri Stati-nazione europei (in particolare Francia e Inghilterra, formatisi in una cornice ideologica illuminista e liberista), adottata successivamente anche per "fare gli italiani" dopo aver "fatto l'Italia". Sulle degenerazioni naziste e fasciste di questo pacchetto identitario preferirei soprassedere, sono qui solo per consigliarvi diversi investimenti.
Vorrei invece fare una piccola parentesi per rilevare come sia quanto meno curioso ritrovare l'identità di "popolo", nata nazionalista e statalista, nelle attuali istanze federaliste: assurdo, gli autentici progetti federalisti (quello svizzero, per esempio) non hanno mai sottolineato la differenza tra le "culture", ma si sono semmai concentrati sulle loro capacità di convivenza e integrazione. Diffidate, gente, diffidate: è un vecchio pacchetto riciclato per una finalità che non è la sua. Un'operazione debole. Non ci investirei un grammo di identità.
Ma chiediamoci ora: come mai i pacchetti identitari preconfezionati, come quelli legati alla nascita, hanno una così vasta diffusione? È chiaro: sono più facili, non bisogna pensarci tanto. Sono proprio come i fondi azionari: li gestisce qualcun altro. E poi vi va alla grande se ci andate in pari e non ci rimettete. Datemi retta, non acquistate il pacchetto che la Regione Veneto vi offre. Fate un piccolo sforzo, dedicateci un po' di tempo e di riflessione, e costruitevi da soli la vostra identità. Ben differenziata, mi raccomando.
Del resto, non ho bisogno di raccomandarvelo. Se decidete per un'identità personalizzata, dovrete per forza disinvestire da qualche identità preconfezionata. Fare esercizi di disidentità. Vedrete allora come ben presto tutte le identità vi sembreranno relative e intercambiabili. Saprete valutare meglio quelle degli altri, accettare o rifiutare un'identità sulla base del vostro giudizio, e a seconda della vostra inclinazione costruirvene una veramente forte perché consapevolmente scelta oppure passare agilmente dall'una all'altra senza prenderne sul serio nessuna. In ogni caso, vi formerete una mentalità critica e avvertita. Nessun luogo comune potrà più abbindolarvi.
Vi faccio un esempio. Io sono nata in montagna, e ho investito (un investimento molto piccolo, naturalmente, uno tra i tanti) in un'identità da marinaio. Quando mi dicono "ah, vieni dalle Dolomiti: allora sai sciare", io rispondo "no, so andare in barca". La conversazione prende subito una piega più divertente. Ma per investire in identità da marinaio, per farmi accettare e prendere sul serio su una barca, ho dovuto disinvestire dalla mia originaria identità di "genere". Niente paura, non ho dovuto fare operazioni né riempirmi di steroidi. Non occorrono i caratteri sessuali primari e nemmeno quelli secondari perché un branco di maschi ti accetti: basta saper fare una decente "conversazione maschile", cioè tecnica. Dati quantitativi, pesi e misure (anche sparati a casaccio) anziché sentimenti e stati d'animo. Dopo un po' la ciurma di maschi dimentica che sei una femmina. Il gioco è fatto: non prenderai mai più sul serio l'identità maschile, visto che ne hai smontato il meccanismo, al tempo stesso hai relativizzato anche l'identità femminile, e ora puoi prenderla e lasciarla a tuo piacimento.
Si può fare lo stesso anche con le identità di "popolo", anzi è perfino più facile. A me, per esempio, qualche volta piace fare l'olandese (perché è il mio popolo preferito, quello a cui sceglierei di appartenere se potessi scegliere), qualche altra volta faccio il turco (così, per scherzo, semplicemente perché mi chiamo Turchetto). Anche questo gioco è divertente ed educativo: provate a calarvi nella mentalità – nel famoso Volksgeist – di un olandese e poi, una volta che ci siete riusciti, esercitatevi a pensare sotto quali stereotipi inquadrereste un italiano... O provate a fare l'immigrato turco, e arrabbiatevi un po' considerando gli stereotipi sotto i quali i vostri ospiti vi stanno inquadrando.
Buon esercizio e, naturalmente, viva l'Olanda! perché noi olandesi siamo i più ganzi di tutti.

Maria Turchetto