Jeff Halper*, Newsletter "Misteri d'Italia", n. 126, gennaio 2009
Cerchiamo di essere cristallini. I pesanti attacchi a Gaza compiuti
in questi giorni da Israele hanno uno scopo chiaramente irraggiungibile,
in contrasto con le azioni messe in atto: la gestione del conflitto. Metter
fine agli attacchi missilistici contro Israele, provenienti da una Gaza
assediata e affamata, senza esaurire la rabbia che proprio per quegli attacchi
si scatena. E ancora, metter fine agli attacchi missilistici contro Israele,
con un'occupazione sempre più oppressiva, che va avanti da 41 anni,
senza il minimo segnale che un futuro stato sovrano della Palestina potrà
mai sorgere.
Infatti l'occupazione - tramite la quale Israele controlla Gaza stringendola
in un assedio brutale, che viola i diritti umani fondamentali e le normative
internazionali - non è neanche menzionata nella campagna presidenziale.
Parlando alla comunità internazionale, la ministra degli esteri
israeliana Tzipi Livni insiste che nessun paese tollererebbe un attacco
armato contro i propri cittadini. Un'affermazione apparentemente condivisibile,
se non fosse per le sanzioni israeliane a Gaza, appoggiate dagli Usa e
dall'Europa - sanzioni che precedono il lancio di missili su Israele -
e se non fosse, inoltre, per l'occupazione israeliana.
Se si concentra l'attenzione soltanto sugli attacchi missilistici,
si nasconde la realtà della scena politica che li ha generati: «II
governo di Hamas a Gaza deve essere rovesciato», ha ripetutamente
affermato Livni. «I mezzi per farlo devono essere militari, economici
e diplomatici».
Ma la responsabilità per la sofferenza a Gaza e in Israele è
da attribuire direttamente ai governi israeliani che si sono succeduti:
del Labour, del Likud e di Kadima. Se ci fosse stato un reale processo
politico (è da ricordare che la chiusura di Gaza cominciò
nel 1989), israeliani e palestinesi avrebbero potuto vivere insieme in
pace e in prosperità per vent'anni. Dopotutto, già nel 1988
l'Olp aveva accettato la soluzione dei due stati, secondo la quale lo stato
della Palestina sarebbe sorto dal solo 22 per cento del territorio storico
palestinese, mentre il restante 78 per cento sarebbe andato ad Israele.
Un'offerta decisamente generosa.
Israele, tuttavia, si sforza di nascondere la sua preferenza per il
controllo, piuttosto che per la pace. Presentare i propri attacchi come
una risposta ai missili da Gaza, sfruttare la rabbia del momento per nascondere
le intenzioni più profonde e le politiche effettive, tutto ciò
va letto in questa luce. Anche la violazione del cessate il fuoco da parte
di Israele passa in secondo piano.
Il fatto che gli attacchi missilistici potevano essere evitati attraverso
un serio processo politico significa che la popolazione del sud di Israele
è tenuta in ostaggio dal suo proprio governo. La sua sofferenza,
così come la sofferenza delle popolazioni di Gaza e del resto dei
territori occupati, deve essere ascritta senza indugi al governo di Israele.
Israele non può aspettarsi la sicurezza dei suoi cittadini e
la normalizzazione politica finché prosegue a tenere sotto occupazione
le terre palestinesi e finché persevera nel tentativo di imporre
il suo governo permanente sui palestinesi attraverso la forza militare.
Ci appelliamo al governo israeliano affinché cessi immediatamente
le sue aggressioni e avvii un reale negoziato politico con l'unione delle
forze palestinesi.
Chiediamo alla comunità internazionale di porre immediatamente
termine alle sanzioni a Gaza nel rispetto delle leggi internazionali, di
iniziare un effettivo processo politico che metta fine all'occupazione
israeliana e porti a una pace giusta, che rifletta il volere delle popolazioni
israeliane e palestinesi.
* Storìco pacifista israeliano, direttore del Comitato israeliano contro le demolizioni delle case (Icadh), che ha sede a Gerusalemme e sedi distaccate in Gran Bretagna e negli Usa