Lorenzo Guadagnucci, http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=3331&fromRaggrDet=6, 2 marzo 2012
L'innocua provocazione di un manifestante ha creato scandalo in molti
commentatori, mentre le manganellate e le cariche gratuite delle forze
dell'ordine passano inosservate. E nessuno ricorda nulla dei precedenti,
a cominciare da Genova G8. Perché in Italia non si riesce a parlar
male della polizia quando se lo merita?
Fa davvero impressione il coro di commenti indignati e perbenisti scatenato
dal filmatino che mostra l'innocua provocazione di un manifestante della
Val di Susa verso un carabiniere. Si è scomodato Pasolini, si è
parlato di squadrismo, si è evocato il rischio di un'escalation
di violenze, il tutto senza mostrare il minimo senso del ridicolo, nonostante
l'acme della provocazione sia stato individuato - dagli indignati commentatori
- nell'epiteto "pecorella".
Epiteto, peraltro, usato dallo "squadrista" per segnalare alla telecamera
che riprendeva la scena, la curiosa condizione che viviamo in Italia, un
paese dove i cassieri del supermercato esibiscono sul petto un?etichetta
di riconoscimento, ma i poliziotti no: e dire che si tratterebbe di una
misura in favore della legalità: o qualcuno ha dimenticato l'impunità
ottenuta al G8 di Genova da decine di agenti picchiatori, mai indagati
perché non identificabili? (E peraltro nemmeno sottoposti a procedimenti
disciplinari, ma questa è una precisa scelta dei vertici delle forze
dell'ordine).
Ma in Italia non si può parlare di polizia e forze dell?ordine,
se non per omaggiarle, o per scandalizzarsi se un agente fra mille è
fatto oggetto di sberleffo. Vorrei chiedere agli indignati commentatori
di questi giorni, perché non domandano a chi ha gradi e funzioni
di comando, di rispondere ad Alberto Perino, pacifico manifestante che
denuncia d?essere stato manganellato senza ragione, riportando la frattura
del braccio.
E perché non si indignano, e non si preoccupano per la tenuta
democratica del nostro paese, di fronte agli agenti antisommossa che aggrediscono
gruppi di cittadini all?interno di una stazione. E ancora: nulla da dire
sull'impiego smodato di lacrimogeni, sulle brutalità dello sgombero
dell?altra sera a Bussoleno (poche righe in articoli di cronaca del tutto
secondari), su Luca Abbà inseguito sul traliccio, o andando indietro
di qualche mese sui candelotti sparati ad altezza d?uomo, con sprezzo del
pericolo (corso dagli altri) e delle leggi?
Non voglio farne un fatto personale, ma gli indignati commentatori
di questi giorni, dov'erano quando dipendenti dello stato, tenuti all'applicazione
delle leggi e al rispetto dei diritti costituzionali, massacravano persone
inermi durante il G8 del 2001, usando in qualche caso, ad esempio alla
scuola Diaz, "armi letali" (definizione del capo del reparto che lo utiliizzò)
come il manganello denominato Tonfa? Fatti antichi, non pertinenti? Mica
tanto, se si pensa che le bravate di Genova, le prove tecniche di colpo
di stato, secondo la definizione di Andrea Camilleri (uno che va bene ai
benpensanti solo quando scrive fiction), hanno fatto scuola e sono diventate
regola.
Sanno o non sanno gli indignati commentatori che la nostra polizia
di stato non ha mai rinnegato gli scempi dei corpi e delle leggi compiuti
in quelle tragiche giornate? Che non hanno mai chiesto scusa né
alle loro vittime dirette né alla cittadinanza? Che i dirigenti
- di rango nazionale! - imputati e condannati in appello non hanno subito
il minimo rimprovero e oggi occupano posizioni ancora più importanti
al vertice della polizia italiana?
Perché non diciamo la verità? La verità è
che stiamo subendo un'offensiva autoritaria terribile, con un movimento
civile, una fetta importante della popolazione valsusina che vengono criminalizzati,
per affermare - più che la volontà di realizzare un'opera
inutile e costosa, che non sarà realizzata per mancanza di soldi
- un principio di fondo, e cioè che non c'è spazio per mettere
in discussione gli affari, cioè i soldi pubblici destinati ad aziende
private, né per contestare un modello di (anti)sviluppo che quanto
più è in crisi, tanto meno tollera interferenze di sorta.
Gli indignati commentatori si facciano un esame di coscienza. Si domandino
se non stiano partecipando più o meno consapevolmente al teatro
della propaganda per la grande opera in quanto tale e si chiedano se la
canea scatenata da quella "pecorella" non sia la spia di un accecamento
collettivo, di un conformismo così radicato che induce a scandalizzarsi
per un epiteto di troppo e a non vedere i manganelli che spezzano le ossa,
i lacrimogeni che avvelenano i polmoni, le cariche senza senso e le inutili
brutalità contro cittadini che manifestano - che piaccia o meno
- il proprio dissenso.
Perché in Italia non è possibile parlare male delle forze
di polizia, quando se lo meritano?