"Operai contro" n. 74, 13 ottobre 2002
“Una parte dei ‘lavori’ che il governo precedente afferma di avere creato
con la sua gestione del sistema produttivo, sono
al limite della sopravvivenza, o sotto il limite. La gente davanti
all’ostentazione dei guadagni elevatissimi di pochi
dirigenti di alcune aziende neo-privatizzate, ha reagito con disgusto,
confrontandoli con gli stipendi da fame di molti dei
cosiddetti nuovi lavori che vengono creati”.
(R.Hoggart, prorettore al Goldsmith’s Colleg della università
di Londra)
Gli operai in Inglitterra. Su di una popolazione attiva di 28.055.000
persone, gli operai del settore industriale e delle costruzioni rappresentano
percentualmente il 25,9%, che con l’1,5% dei salariati agricoli, porta
la consistenza della classe operaia al 27,4%. A questi vanno aggiunti gli
operai del settore dei ‘servizi’. Complessivamente gli operai in questo
paese, che è stato la culla della classe operai europea e mondiale,
visto lo sviluppo del storico del capitalismo che è coinciso con
la nascita e lo sviluppo del capitalismo inglese, superano il 30 % della
popolazione attiva.
Questi operai, che hanno rappresentato storicamente, un punto di riferimento
per tutti gli operai degli altri paesi, perché hanno dato un contributo
essenziale alle conquiste della classe operaia a cominciare dalla lotta
per la riduzione della giornata lavorativa, alle leggi contro il lavoro
minorile, alle battaglie per il riconoscimento dei diritti sindacali (di
cui le Trade Unions sono state un polo di convergenza a livello internazionale,
sia come forza che come stimolo alle rivendicazioni) e alle lotte per il
salario; questi operai alle soglie del nuovo millennio si trovano a dover
riconquistare tutto quello che avevano conquistato prima.
Salario e orario. Dopo decenni di relativi aumenti salariali e ‘protetti’
da un sistema di ‘sicurezza sociale’ che prendeva corpo nel Welfare State
inglese; il tutto reso possibile da un ciclo economico in espansione derivato
dal ciclo ricostruttivo dell’economia mondiale del dopoguerra e quindi
dalle briciole dei sovraprofitti dei padroni, che venivano elargiti agli
operai inglesi per ‘tenerli buoni’ tramite la gestione riformista Labour
Party-Trade Unions, gli operai inglesi si ritrovano ora in una condizione
disastrosa. Cambiato il ciclo economico, ed evidenziatasi sempre di più
la crisi economica a livello internazionale, negli anni ’80 i padroni inglesi
iniziarono un attacco diretto alla condizione di lavoro e esistenza degli
operai. Questo attacco venne sviluppato attraverso i governi della Lady
di ferro, cioè Margaret Thatcher. Furono anni di fuoco, in cui per
esigenze di sviluppo del capitale inglese derivati dalla concorrenza internazionale
e dalla nuova divisione internazionale del lavoro, furono smantellati interi
settori industriali a cominciare dalle miniere, per passare all’acciaio,
ai trasporti, all’edilizia e finendo alla sanità e alla scuola.
Interi settori pubblici, quindi a controllo statale, vennero privatizzati.
Il Labour Party e le Trades Union, tranne che per alcune lotte iniziali
(quella dei minatori fu storica, come fu storica la loro sconfitta), sposando
in pieno la filosofia dei sistema capitalista, finito il ciclo riformista,
perché fu gettato alla ortiche dalla crisi e dalle esigenze ristrutturative;
non fu capace di trovare un’altra strada a quella imposta dal capitale.
Essi subordinarono sempre di più gli operai alle esigenze dei padroni.
Ora nel 2002, il mercato del lavoro è il più ‘liberalizzato’
d’Europa e i salari tra i più bassi.
Ad esempio, se in Gran Bretagna venisse introdotto un salario minimo
di 10.500 di vecchie lire ad ora, ciò comporterebbe un aumento di
stipendio per circa 6 milioni di lavoratori.
Questi salari bassissimi spiegano anche perché sono gli operai
e i lavoratori inglesi ad avere la settimana lavorativa più lunga
d’Europa. IL 51% degli operai maschi fa regolarmente degli straordinari;
5milioni e 700 mila fanno più di 45 ore alla settimana. E circa
1 milione e trecentomila lavoratori ha un secondo lavoro (raddoppiato rispetto
a dieci anni fa). La Gran Bretagna è anche il paese dove si fa più
lavoro a turni. Il 21 % dei lavoratori fa un turno di notte, mentre la
media europea è al 17%.
La vittoria del Labourista Tony Blair e l’abolizione della ‘clausola
4’. Chi sperava che il labourista Tony Blair, ridesse fiato agli operai
e ai sindacati, facendo una politica più vicina agli interessi degli
operai, si è dovuto ricredere. Una delle prime cose che ha fatto
il ‘socialista’ Blair è stato quello di abolire dallo statuto del
partito, la clausola numero 4, nella quale venivano enunciati i principi
socialisti del partito e la lotta di casse come strumento per la emancipazione
dei lavoratori. Questa operazione, già
prefigurava nettamente che Blair e gli interessi che capitalistici
che rappresentava, mal tolleravano richiami storici, già sepolti
nella pratica, ma che potevano essere appigli per una resistenza interna
nel partito.
In tutti questi anni di governo labourista Blair non ha fatto altro
che proseguire sulla linea dei governi conservatori. Non ha rinazionalizzato
le industrie privatizzate dai conservatori; anzi ha cercato di privatizzare
il posssibile: dalle poste alle metropolitane. Il più forte sindacato
del pubblico impiego aveva chiesto che si introducesse un salario minimo
per tutti equivalente all’attuale salario medio dei lavoratori maschi,
ma ha ricevuto una miseria di aumenti. I lavoratori a part-time rimangono
con diritti diseguali rispetto a quelli a tempo pieno, nonostante ‘l’impegno’
di Blair. Allora si sono fatti
rivedere gli scioperi in molte categorie di lavoro.
Sciopero per le pensioni. Davanti a un governo sempre più evidentemente
interessato a fare gli interessi dei padroni senza più nessuna maschera,
anche i moderati sindacalisti delle Unions inglesi, hanno dovuto prendere
atto che andando avanti così, per gli operai e gli altri lavoratori
la situazione non può che farsi catastrofica. “Lo stato e i padroni
ha detto Monks- segretario generale del sindacato- stanno cercando di scaricarsi
di dosso la responsabilità su quelle che è oramai una crisi
di proporzioni enormi. Per questo il sindacato ha posto la questione delle
pensioni in cima alla sua agenda di lavoro”. Secondo il sindacato, il governo
dovrebbe tornare a legare la pensione statale all’aumento dei salari
o dei prezzi. I padroni invece, dovrebbero avere l’obbligo legale di contribuire
alla pensione dei loro dipendenti. Anche il sindacato se né accorto,
dopo anni di cedimenti: molti lavoratori rischiano di essere più
poveri dei pensionati attuali quando sarà il turno di andare in
pensione. Nei mesi passati gli operai e il sindacato hanno promosso molti
scioperi per le pensioni nelle acciaierie del Galles. Lo scontro
nei prossimi mesi, tra operai e governo sarà anche per il problema
delle privatizzazioni. Numerosa mozioni sindacali stanno chiedendo al governo
di abbandonare la politica selvaggia di vendita ai privati.
Tutti alla guerra. L’inghilterra essendo un paese imperialista e avendo
avuto anche fisicamente un impero dispiegato in tutto il mondo, è
sempre stata interventista militarmente, per difendere i propri interessi
nazionali. Questa politica viene tuttora
dispiegata, pur non avendo fisicamente paesi dominati, ma perché
la logica imperialista è la logica del capitale, delle multinazionali,
del sistema finanziario e quindi dei padroni e dei governi borghesi. L’ultima
avventura militare nella quale si sta buttando questo paese è la
guerra preventiva contro l’Irak. Questa guerra serve all’Inghilterra sia
per continuare a esercitare la sua sfera di interessi in una zona in cui
la materia prima, cioè il petrolio, è fondamentale per l’economia
capitalista sempre di più in crisi, sia per caratteri interni.
Le contraddizioni tra i padroni e i loro governi compreso quello di
Blair, e gli operai stanno venendo al nodo fondamentale. Gli operai stanno
capendo, anche grazie alla crisi sempre più profonda che non ci
sono più partiti che li possono difendere dall’attacco dei padroni
e che questo attacco è sempre di più mondiale. Tutti i partiti
borghesi, di tutte le ideologie e di tutti i paesi hanno una sola ricetta:
far pagare la crisi agli operai. Anche i riformisti, come lo sono stati
storicamente partiti come il labour, non avendo più briciole di
sovrapprofitti da ridistribuire, svolgono lo stesso ruolo dei partiti di
destra. La guerra, il nemico esterno è sempre stato usato dai governi
borghesi per distogliere l’attenzione degli operai e del proletariato dai
responsabili di queste crisi: i padroni. Militarizzare intere società,
vuol dire spostare la rabbia degli operai dai padroni al
‘nemico esterno’ e tentare di imbrigliare le rivolte e le proteste
dietro un filo spinato. Anche la guerra contro l’Irak serve a questo. Per
adesso gli operai non ci stanno e per bocca dei loro sindacalisti hanno
fatto sapere che ‘questa guerra non si deve fare’. Alle proteste degli
uomini del sindacato si sono uniti ultimamente anche quelle della frazione
di sinistra del labour party. Sabato 28 settembre c’è stata a Londra
una manifestazione di 300 mila persone contro la guerra. E’ un buon segnale.
Ma per uscire dalla crisi capitalista e dalla guerra imperialista,
gli operai inglesi e degli altri paesi devono unificare gli sforzi e darsi
delle strutture politiche indipendenti a livello nazionale e internazionale.
Questo per cominciare un intervento sociale e politico che spazzi via una
volta per tutte questa società fondata sullo sfruttamento del lavoro
salariato operaio.