Vladimiro Giacchè, "Marxismo Oggi", N. 2009/1
All’origine della crisi vi è un’enorme sovrapproduzione di
capitali e di merci
Sulle cause della attuale crisi ci è stato detto di tutto. Banchieri
avidi, compratori di case sprovve-duti, agenzie di rating distratte o colluse:
tutto o quasi è stato tirato in ballo. Tutto, salvo quello che è
veramente importante. La stessa finanza deregolamentata e il credito facile,
che sono diventati il comodo (e consolatorio) capro espiatorio di opinionisti
e scrittori di cose economiche, non sono la causa di questa crisi. L’enorme
esplosione del debito su scala mondiale che ha preceduto l’esplodere della
crisi (con asset finanziari che nel 2007 avevano superato il 350% del PIL
mondia-le) è servita a conseguire tre obiettivi: 1) ha permesso
di costruire prodotti finanziari (quali le carte di credito, ma anche i
mutui subprime) attraverso i quali, in particolare nei paesi anglosassoni,
la-voratori che guadagnavano meno di prima hanno potuto continuare a consumare
come prima; 2) ha consentito a imprese in crisi di sopravvivere (grazie
al credito ottenuto a tassi estremamente favorevoli); 3) ha offerto una
via di sfogo profittevole a capitali in fuga dall’impiego industriale per-ché
ormai poco profittevole(1). In altre parole: la finanza non è la
malattia. È la droga che ha per-messo di non avvertirne i sintomi.
Con il risultato di cronicizzarla e di renderla più acuta. La malat-tia,
ossia la crisi da sovrapproduzione di capitale e di merci, si è
infine manifestata con violenza nell’estate del 2007, e assume ormai le
caratteristiche di una vera e propria “crisi generale” che investe almeno
l’intero occidente capitalistico, se non il mondo intero.
L’egemonia del dollaro è un elemento fondamentale del meccanismo
che ha portato all’attuale crisi
Ma cosa ha reso possibile il credito facile? Rispondere a questa domanda
è molto semplice: la politica monetaria espansiva della Federal
Reserve statunitense, che è entrata in azione a più ri-prese.
Questa politica monetaria ha favorito la creazione della bolla della new
economy (1999-2000), è stata giocata in chiave anti-recessiva nel
2001 (con la scusa dell’11 settembre – mentre la recessione era iniziata
già nel marzo 2001), e poi ha accompagnato la bolla immobiliare
sino a quando essa è scoppiata nel 2006. Il punto fondamentale da
intendere è che questa politica è sta-ta resa possibile da
una caratteristica unica del dollaro: il suo status di valuta internazionale
di ri-serva, il suo continuare ad essere “moneta mondiale” a dispetto del
venir meno della convertibilità in oro (1971) e di una bilancia
commerciale in passivo dal 1976. Solo questo “esorbitante privile-gio”
del dollaro, legato in particolare al pagamento in dollari delle materie
prime (soprattutto ener-getiche), ha consentito agli Stati Uniti di continuare
ad attrarre capitali pur facendo una politica di bassi tassi di interesse.
Qualsiasi altro Paese che, come gli Usa, consumasse più di quanto
produ-ceva avrebbe pagato una politica monetaria così espansiva
con una crisi del debito come quella patita da molti Paesi emergenti.
Il dollaro non è più il dominatore incontrastato della
scena valutaria mondiale …
Il predominio del dollaro però, da almeno 10 anni, non è
più un dominio incontrastato. Con l’affacciarsi sulla scena mondiale
dell’euro, per la prima volta nella storia il dollaro ha un antagoni-sta
temibile. Precisamente questo era il disegno perseguito da chi ha voluto
l’euro. Leggiamo Gui-do Carli, tra i negoziatori italiani del trattato
di Maastricht: “La realizzazione del trattato di Maa-stricht significherebbe
la sottrazione agli Stati Uniti di quasi metà del potere di signoraggio
moneta-rio di cui dispongono … L’Unione economica e monetaria prefigura
la nascita di uno strumento monetario di riserva internazionale che potenzialmente
può cancellare molto del potere di attrazio-ne che oggi ancora il
dollaro riveste, per assenza di valide alternative. Conquistare potere
di signo-raggio significa anche acquisire la capacità di attirare
capitali, di spostare risorse, di partecipare da posizioni di forza alla
distribuzione mondiale del lavoro e del capitale(2)”.
La creazione stessa dell’euro è insomma in se stessa un progetto
imperialistico: è il tentativo di opporre all’imperialismo americano
un nascente imperalismo europeo, che si esprime in un’area valutaria autonoma
e in grado di competere con l’area (inizialmente molto più vasta)
del dollaro. In effetti, nei dieci anni che ci separano dall’entrata in
vigore dell’euro, il dollaro ha perso molte posi-zioni nei confronti dell’euro,
e non solo. La rendita di posizione del dollaro viene erosa in più
dire-zioni, come prova tra l’altro la crescita delle quotazioni dell’oro,
che dal 2002 ad oggi ha più che triplicato il proprio valore. La
cosiddetta “guerra al terrorismo”, ed in particolare l’aggressione all’Iraq,
che non a caso ha visto gran parte dei governi europei fortemente contrari,
ha rappresen-tato anche un capitolo di questo confronto valutario, in quanto
aveva tra i suoi obiettivi quello di proteggere il pagamento del petrolio
in dollari(3).
... ma mantiene il proprio ruolo come valuta internazionale di riserva
In ogni caso il dollaro, pur svalutandosi (anche a causa dell’aumento
del debito pubblico connesso alle spese militari sostenute in Afghanistan
e in Iraq), non crolla. Questo anche perché massicci acquisti di
titoli di Stato americani da parte di Giappone e Cina, e il tasso di cambio
non fluttuante tra dollaro e yuan cinese consentono di mantenere relativamente
stabili (anche se comunque de-clinanti) le ragioni di scambio del dollaro.
Di fatto la Cina per un verso ha visto la propria bilancia commerciale
rafforzata dalle esportazioni verso gli Usa, dall’altro ha contribuito
a mantenere la capacità di spesa (cioè di consumo) dei cittadini
americani anormalmente alta comprando titoli di Stato Usa, e quindi impedendone
un deprezzamento e l’innescarsi di una crisi debitoria americana.
La crisi sconvolge gli equilibri del sistema valutario mondiale e
aggiunge un nuovo fronte alle difficoltà per il dollaro …
In modo solo apparentemente paradossale, la crisi – che ha tra le sue
cause scatenanti la politica monetaria espansiva statunitense resa possibile
da questi massicci acquisti di titoli di Stato Usa – evidenzia il disordine
del sistema valutario attuale e mette definitivamente in crisi gli equilibri
valu-tari in essere. Con le parole del governatore della Banca centrale
cinese: “lo scoppio della crisi e il suo propagarsi al mondo intero riflettono
l’intrinseca vulnerabilità e i rischi sistemici insiti nell’attuale
configurazione del sistema monetario internazionale.” Più in particolare,
essa evidenzia il fatto che “una valuta internazionale di riserva … non
dovrebbe essere legata alle condizioni eco-nomiche e agli interessi nazionali
di un singolo Stato(4)”. In questo senso, la crisi mette in primo luogo
a rischio il dominio del dollaro e il suo status di valuta internazionale
di riserva. Questo fronte si aggiunge al dibattito, che coinvolge molti
Paesi produttori di materie prime, circa l’opportunità di agganciare
il prezzo delle materie prime stesse non più ad una singola valuta,
ma a un paniere di valute.
Vanno inoltre menzionate le difficoltà di un controllo geopolitico Usa sui Paesi produttori di petrolio, evidenziate dall’andamento tutt’altro che favorevole della guerra in Iraq. Non meno importante è il sempre minore controllo degli Stati Uniti su una sua tradizionale area di influenza economica e valutaria quale l’America Latina, simboleggiato dall’accordo valutario recentemente stipulato con la Cina dall’Argentina, che consentirà di regolare in yuan le transazioni commerciali tra i due Pae-si(5). A questo vanno aggiunte le crescenti difficoltà a finanziare i titoli di Stato americani (a gen-naio 2009 si sono avute vendite nette di titoli di Stato Usa a lungo termine per un valore di 43 mi-liardi di dollari), tanto che la stessa Federal Reserve si è vista costretta ad acquistarli direttamen-te(6).
… ma crea problemi non meno seri all’euro
Se Sparta piange, Atene non ride. Intanto, il problema del crescente
debito pubblico accomuna Unione Europea e Stati Uniti(7). Inoltre l’Est
europeo è tra le aree più colpite dalla crisi, in quanto
maggiore era stato negli anni immediatamente precedenti l’utilizzo della
leva del credito(8). Quasi tutti i paesi dell’Europa centrale e orientale
si trovano in gravi difficoltà. Destinatari di finanziamenti esteri
per oltre 1.000 miliardi di dollari soltanto nel 2007 (quasi la metà
dell’intera domanda mon-diale), questi paesi vengono sorpresi dalla crisi
con enormi deficit di bilancio, un credito interno in forte espansione
e in genere anche notevoli bolle immobiliari. Una marcata svalutazione
delle valu-te locali è già in atto in Ungheria, Polonia,
Bulgaria, Serbia, Repubblica Ceca, Romania e Ucraina. Non diversa è
la situazione dei paesi baltici. Molti di questi Paesi sono sull’orlo di
una crisi del de-bito, secondo il classico copione più volte andato
in scena nelle economie emergenti: rapido de-flusso dei capitali stranieri
in ragione del forte debito estero, forte svalutazione (che causa un ulte-riore
aumento del debito estero), crisi economica più o meno generalizzata.
È importante notare che, se questi rischi si materializzassero, sarebbero colpite in prima linea le banche di Paesi come l’Austria, la Spagna e l’Italia, le quali – assieme a Svizzera e Svezia – rap-presentano i principali creditori dell’economie dell’Est europeo. Ma, più in generale, sarebbe mi-nacciata la convergenza delle monete locali verso l’euro e la stessa stabilità politica dell’Unione Europea sarebbe sottoposta a forti tensioni. La debolezza dell’euro negli ultimi tempi, pur in pre-senza di Stati Uniti in crisi profonda, trova qui una delle sue principali radici. È pur vero che la crisi attuale spinge questi Paesi ad accelerare la loro marcia per l’ingresso nella zona euro (di recente il Fondo Monetario Internazionale ha addirittura proposto che questi Paesi adottino la moneta unica anche senza entrare formalmente nell’eurozona, per evitare i vincoli di bilancio richiesti!(9) ). Il punto è che proprio la crisi allontana questi Paesi dall’euro. Sta di fatto che oggi sta diventando realtà lo storico spauracchio dell’Unione Europea: ossia shock asimmetrici (una crisi che colpisce alcuni paesi più di altri) e differenziali tra le economie che si ampliano anziché ridursi. Questo è già un fatto compiuto se confrontiamo i paesi della zona euro con quelli che si trovano alla sua perife-ria. Ed è tutt’altro che escluso che la stessa situazione si riproponga anche all’interno dell’eurozona.
La verità è che questa crisi mette impietosamente in luce i limiti strutturali della costruzione euro-pea: imperniata sulle esigenze dei mercati dei capitali, e priva proprio per questo di una politica economica comune (perché si trattava di salvaguardare la possibilità per i capitali di scegliere il Paese di volta in volta più “conveniente”), essa ha fatto completo fallimento. Il disastro attuale è il risultato necessario di una costruzione che ha ricercato la “competitività” nella concorrenza fiscale, nell’attacco ai diritti del lavoro e nell’erosione progressiva del welfare state. Nella conseguente at-tuale afasia dell’Unione Europea, emergono poi le “soluzioni” proposte dagli Stati membri, con mi-sure scoordinate e non di rado ad esplicito contenuto protezionistico. Tutto questo negli ultimi mesi ha favorito il dollaro(10).
La crisi e il conseguente disordine valutario non rafforza il bipolarismo
euro/dollaro
La crisi ha avuto un fortissimo impatto sui rapporti di cambio. Per
certi versi, essa ha potuto dare l’illusione di un rafforzamento del bipolarismo
euro/dollaro, tramite il crollo di molte valute “periferi-che”. Ad esempio,
essa ha colpito severamente la sterlina, per la quale è iniziata
probabilmente la fine come valuta autonoma: come dimostra il suo crollo
sia rispetto al dollaro che rispetto all’euro – conseguente al crollo della
sua industria finanziaria ed alla fortissima crescita dell’indebitamento
pubblico resosi necessario per puntellarla(11). Ma anche alcuni dei progetti
di unione valutaria re-gionale sono stati almeno rallentati dalla crisi:
è il caso, ad esempio, del progetto di valuta araba del Golfo (che
ha comunque un motivo di debolezza strutturale nell’eccessivo legame delle
singole valute locali con il dollaro(12) ).
Per contro, ci sono anche valute che rispetto al dollaro e all’euro sono cresciute troppo, al punto da scegliere di effettuare svalutazioni competitive: è il caso del franco svizzero(13). Va poi considera-to anche il revival dell’oro, che negli ultimi mesi appare più correlato alla crescita del debito pubbli-co in Europa e Usa che alla debolezza del solo dollaro. Sono altrettanti segnali dell’incrinarsi del bipolarismo valutario che sino a pochi anni fa sembrava il futuro prossimo del sistema monetario internazionale. L’auspicio di Carli sembra ormai azzardato: l’euro non riuscirà a dividere con il dol-laro lo status di valuta internazionale di riserva. E non per la forza della valuta americana, ma per-ché stanno entrando in gioco nuovi attori. Uno su tutti: la Cina.
L’attacco cinese al predominio del dollaro, con la proposta di una
riforma del sistema mo-netario internazionale, segnala un passaggio di
fase
È in questo contesto che va inserita la proposta, avanzata il
23 marzo dal governatore della Banca del Popolo cinese, di una “riforma
creativa” del sistema monetario internazionale in direzione di “una valuta
internazionale di riserva con un valore stabile, che sia emessa in base
a regole precise e la cui offerta sia gestibile”, con l’obiettivo di “salvaguardare
la stabilità economica e finanziaria a livello mondiale”(14). Le
tre caratteristiche ideali indicate sono precisamente il contrario di quello
che rappresenta oggi la valuta americana: una valuta estremamente instabile,
emessa su basi di-screzionali e offerta in quantità eccessiva e
destabilizzante. Non è il caso di entrare nei dettagli tecnici della
proposta cinese, imperniata sulla creazione di una valuta internazionale
basata sui diritti speciali di prelievo (DSP) del Fondo Monetario Internazionale.
Anche perché l’aspetto impor-tante della proposta non è la
sua concreta realizzabilità, ma il messaggio lanciato agli Usa e
al mondo: l’era del dollaro è finita.
L’unica vera nuova Bretton Woods, di cui si è tanto cianciato a sproposito in questi mesi, sarebbe questa: una riforma del sistema valutario internazionale. Precisamente il grande tema che è stato esorcizzato dall’inizio della crisi. La proposta cinese ha incontrato subito approvazione da parte della Russia, e anche da Chavez, che ha avanzato una proposta interessante (anche se interessa-ta): fare in modo che la nuova valuta internazionale sia garantita (come un tempo dall’oro), dalle riserve petrolifere. Anche il premio nobel Stiglitz si è espresso a favore di una profonda riforma del sistema monetario internazionale(15).
In parallelo, si rafforza il ruolo internazionale dello yuan
Perché proprio ora? Perché è forte il timore che
il governo Usa, il cui indebitamento cresce in mi-sura preoccupante, possa
decidere di risolvere la situazione come altre volte in passato: svalutan-do
drasticamente il dollaro (o addirittura con un default)(16). Cosa che comporterebbe
una perdita di valore dei debiti espressi in dollari (a cominciare dai
10 miliardi di dollari di titoli di Stato Usa in circolazione), e anche
delle riserve di dollari nei forzieri delle banche centrali: e in particolare
la Cina ha oltre la metà delle sue riserve (del valore di 2.000
miliardi di dollari) impiegate in dollari. Ma la proposta di riforma del
sistema monetario internazionale non è l’unica misura assunta dalla
Cina. Abbiamo citato sopra l’accordo valutario con l’Argentina, che segue
di pochi giorni analoghi accordi stipulati con Corea del Sud, Malesia,
Indonesia, Hong Kong e Bielorussia. L’obiettivo è chiaro: porre
le basi per una valuta asiatica imperniata sullo yuan e in grado di competere
con dol-laro ed euro. Del resto, già da tempo si parla di una Asian
Currency Unit, analoga all’Ecu (il proge-nitore diretto dell’euro).
Si profila un sistema monetario internazionale in cui i rapporti
tra le valute esprimeranno lo scardinamento delle antiche gerarchie economiche.
A meno che …
È probabile che la crisi attuale avrà tra i suoi effetti
quello di sconvolgere le gerarchie attuali tra le valute. In astratto,
tra gli effetti più prevedibili c’è la fine del vero e proprio
assurdo economico per cui il Paese più indebitato del mondo esprime
anche la principale valuta internazionale di riserva. C’è un unico
piccolo problema a complicare il quadro: il paese più indebitato
del pianeta è anche quello di gran lunga più armato. Non
è una novità. Adolf Hitler decise di dare il via alla Seconda
guerra mondiale allorché il suo ministro delle finanze, Hjalmar
Schacht, gli comunicò che la Ger-mania era sull’orlo della bancarotta
a causa del debito accumulato e della produzione bellica in eccesso.
NOTE
1-Per maggiori approfondimenti sul punto rinvio a: V. Giacché,
“Crisi economica e crisi dell’ideologia neolibe-rale”, in Proteo, n. 3/2008,
pp. 83-86 e “Le ragioni della crisi e le ragioni dei comunisti”, comunicazione
sulla crisi finanziaria alla Direzione nazionale PdCI, 4 febbraio 2009:
http://www.comunisti-italiani.it/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=5228.
2-G. Carli (con P. Peluffo), Cinquant’anni di vita italiana, Roma-Bari,
Laterza, 1993, pp. 412 sg. Corsivi miei.
3-Sul tema vedi A. Burgio, M. Dinucci, V. Giacché, Escalation.
Anatomia della guerra infinita, Roma, Derive-Approdi, 2005, e in particolare
il cap. 2, “L’economia della guerra infinita”, pp. 113-188. Per una rilettura
dei conflitti interimperialistici che tiene conto della dimensione valutaria
vedi V. Giacché, La debolezza della for-za. L’imperialismo americano
e i suoi problemi, in L. Vasapollo (a cura di), Il piano inclinato del
capitale. Cri-si, competizione globale e guerre, Milano, Jaca Book, 2003,
partic. pp. 177 sgg.
4-Z. Xiaochuan, Reform the International Monetary System , 23 marzo
2009 (vedi sul sito della Banca del Popolo cinese: http://www.pbc.gov.cn/english/).
5-F. Rampini, “L’Argentina tradisce il dollaro: accordo valutario con
la Cina”, la Repubblica, 1° aprile.
6-M. Mackenzie, “Foreign investors slash US holdings”, Financial Times,
17 marzo 2009; F. Russo, “Ber-nanke gicoa il grande bluff”, Finanza &
Mercati, 20 marzo 2009; A. Greco, “La Fed che batte moneta allarma i mercati”,
la Repubblica, 20 marzo 2009.
7-Vedi ad es. B. Romano, “Dal debito rischi per l’eurozona”, 28 marzo
2009.
8-L. Ahamed, “Subprime Europe”, Herald Tribune, 10 marzo 2009; S. Tong,
“Getting a lift from falling dollar”, Herald Tribune, 24 marzo 2009.
9-Cfr. “Single currency gains new appeal for outsiders” e J. Cienski,
“Warsaw to speed euro adoption”, Fi-nancial Times, 29 ottobre 2008; S.
Wagstyl, “IMF urges eastern EU states to adopt euro”, Financial Times,
6 aprile 2009, e “ECB rejects calls for euro short cuts”, Financial Times,
7 aprile 2009.
10-Vedi ad es. “Flucht in Sicherheit belastet Euro”, Frankfurter Allgemeine
Zeitung, 31 marzo 2009.
11-N. Dennis, E. Bintliff, “Sterling pays price for asset purchase
plan”, Financial Times, 20 gennaio 2009.
12-R. Sorrentino, “A rischio la moneta del Golfo”, Il Sole 24 Ore,
25 gennaio 2009.
13-R. Sorrentino, “Berna potrebbe innescare una corsa alle svalutazioni”,
Il Sole 24 Ore, 15 marzo 2009.
14-Z. Xiaochuan, Reform the International Monetary System, cit.
15-“China promotes overhaul of global monetary system”, Herald Tribune,
24 marzo 2009; H. Morris, “UN hears calls to end dollar’s reserve status”,
Financial Times, 27 marzo 2009: D. Pilling, China is just sabre-rattling
over the dollar”, Financial Times, 2 aprile 2009.
16-Y. Qiao, “How Asia can protect itself from a dollar default”, Financial
Times, 1° aprile 2009.