"Progetto lavoro", novembre 2010
Si sta ingrossando, giorno dopo giorno, la schiera di coloro che, al canto di Deutschland über alles, si uniscono al coro che invita a “fare come la Germania”. Ma è davvero possibile, e poi, è conveniente?
Angela Merkel è sostanzialmente riuscita a imporre, a partire
dal G20, il proprio modello di “rigore” economico, zittendo quanti, tra
cui Barack Obama, erano propensi a dare priorità al rilancio dello
sviluppo, quindi a evitare politiche di bilancio pubblico troppo restrittive.
Inoltre è riuscita a dettare l’agenda dei lavori a un’ossequiosa
Banca Centrale Europea e agli altri paesi europei, con la minaccia di spezzare
l’Eurozona, espellendone le “cicale” e trasformandola in un’area dell’euromarco,
e di distruggere la stessa Unione Europea, che non riuscirebbe a sopravvivere
alla distruzione dell’euro.
Quindi l’UE, e in essa soprattutto i paesi che hanno adottato l’euro,
sono impegnati a obiettivi e tempi draconiani di rientro di deficit e debiti.
In una seduta al Bundestag (la Camera dei deputati tedesca), rispondendo
agli attacchi di un’opposizione, che sta guadagnando consensi nel paese,
di Linke, verdi e socialdemocrazia la Merkel ha solleticato l’orgoglio
tedesco affermando che la Germania è tornata a essere il motore
economico dell’Europa e che, come tale, ha diritto di decidere la strada
di tutti gli altri paesi UE.
Naturalmente c’è sempre qualcuno che si chiede se non si tratti
di un’illusione ottica dovuta a occhiali ideologici liberisti-monetaristi
e a volgarissimi interessi capitalistici nazionali. Tra chi non crede nei
miracoli ci stanno Jean-Paul Fitoussi, Paul Krugman, Joseph Halevi.
Osservando l’andamento dell’ultimo biennio, argomenta Fitoussi, a parte
la fiammata del secondo trimestre dell’anno in corso il risultato dell'economia
tedesca è deludente: non solo essa non ha fatto meglio degli altri
paesi europei ma è stata il paese rimasto più distante dai
livelli pre-crisi, dato che la sua “crescita attuale, dopo un calo di 5
punti (il maggiore nelle economie occidentali), comporta, a fine 2010,
un risultato inferiore al 2008”. Si tratta dunque, sottolinea Paul Krugman,
solo di un “rimbalzo”, ovvero di un fatto non necessariamente prolungabile,
anche in quanto il commercio mondiale va verso un nuovo rallentamento.
Dobbiamo perciò cercare di comprendere da dove tragga origine
questo momento di crescita tedesca. Esso è fondato, intanto, su
vantaggi specifici della Germania: la grande dimensione delle imprese;
la specializzazione produttiva in impianti, macchine utensili e beni di
consumo durevoli; il sostegno decisivo allo sviluppo da
parte dello stato, delle regioni e delle banche; una ragnatela proprietaria
in cui la mano pubblica, statale e soprattutto regionale, è fortemente
presente e capace di orientare le imprese su strategie di crescita a lungo
termine. In secondo luogo, questo momento è dovuto al fatto che
l’economia tedesca è fortemente orientata alle
esportazioni (la Germania detiene in questo campo il secondo posto
mondiale) e che esse sono raddoppiate quest’anno verso la Cina, qui giungendo
al 10% del loro totale, fruendo di una domanda crescente di beni di consumo
durevole e competendo validamente sui prezzi con le omologhe produzioni
giapponesi. Nell’obiettivo, inoltre, di una tale capacità competitiva
delle esportazione tedesche la Merkel ha utilizzato soprattutto la deflazione
salariale (ridotto il costo del lavoro e cioè abbassato i salari
e aumentato, finanziandola, flessibilità e semioccupazione) nonché
il taglio della spesa sociale. Infine la Merkel ha operato a fondo sul
versante della spesa a sostegno delle imprese tedesche esportatrici.
La Germania quindi è il solo paese dell’Eurozona che ha continuato
ad aumentare velocemente il deficit dei suoi conti pubblici, raggiungendo
nel 2010 il più alto livello nel dopoguerra, mentre tutti gli altri
paesi hanno tagliato massicciamente la loro spesa pubblica, e questo proprio
a seguito delle imposizioni tedesche dal lato di un maggiore rigore di
bilancio. Dunque la Germania ha praticato in questo periodo una politica
espansiva ovvero radicalmente opposta a quella degli altri paesi dell’Eurozona,
inoltre ha imposto a questi paesi, come scrive Halevi, di andare a “marcia
indietro”, così guadagnando ulteriori “margini di manovra” in sede
di incremento dell’“orientamento mercantilista della sua economia”. Infine
con un’economia che è un quarto del totale europeo è accaduto
che la forza delle esportazioni tedesche abbia sostenuto il cambio dell’euro
e così spiazzato e messo alle corde i paesi periferici europei,
il cui modello produttivo più debole necessiterebbe una forte svalutazione.
Ma quest’indirizzo è solo apparentemente solido.
Intanto la tenuta di un così alto livello delle esportazioni
tedesche dipende dalla situazione dei paesi importatori: e la parte prevalente
di queste esportazioni avviene verso quei paesi dell’Eurozona ai quali
la Merkel ha imposto durissime politiche di bilancio, quindi di contenimento
della domanda. A ciò poi va aggiunta la frenata
dell’economia cinese, orientata a raffreddare crescita e inflazione
e a ridurre squilibri intersettoriali, e vanno aggiunti i segnali di ricaduta
della produzione che vengono dagli Stati Uniti e il calo dei loro consumi
interni e delle loro importazioni. La Germania perciò difficilmente
riuscirà a consolidare la propria ripresa. Anzi sono molto probabili
una sua frenata produttiva già nei prossimi mesi e la sua accentuazione
a partire dal prossimo gennaio, per via dei tagli drastici programmati
alla spesa sociale. Parimenti le grandi banche tedesche debbono procedere
a ricapitalizzazioni e anche a fusioni in quanto la sostenibilità
delle loro situazioni finanziarie è problematica, essendo estremamente
esposte nei confronti dei debiti dei paesi dell’Eurozona: quindi ne deriverà,
con effetto recessivo, una stretta creditizia a imprese e famiglie.
Oltre a frenare la ripresa tedesca tagli alla spesa pubblica e stretta
creditizia incideranno sulla situazione degli altri paesi UE rallentandone
ulteriormente la crescita o impedendo che essa avvenga. Perciò anziché
essere la locomotiva dell’Europa, come un tempo, la Germania vi sta oggi
esportando recessione.
Quali saranno le conseguenze di tutto questo per l’Italia? È
illuminante questa dichiarazione di Tremonti: la sicurezza sul lavoro sarebbe
un lusso che non possiamo più permetterci. Inoltre la ripresa tedesca
ha già avuto l’effetto di divaricare l’andamento dell’economia lombarda,
in quanto largamente subfornitrice della produzione tedesca di beni di
consumo durevoli, rispetto al resto dell’Italia. Questa divaricazione è
estremamente allarmante, e non solo per ciò che essa significa economicamente
per gran parte del nostro paese ma anche perché interviene pesantemente
sulla disintegrazione dei suoi orientamenti politici e sulla solidarietà
tra le sue diverse parti.
L’imposizione tedesca del “rigore” all’intera Eurozona genera infine
circuiti viziosi suscettibili di portare a una nuova potente caduta recessiva.
Come ha spiegato lo stesso FMI, la responsabilità degli squilibri
commerciali non è tanto di quelle “cicale” viziose mediterranee
che spendono a debito quanto, invece, delle
“formiche” virtuose (degli esportatori aggressivi: Germania e Cina)
che non consumano adeguatamente: dato che l’interscambio mondiale è
un gioco a somma zero, la situazione che rigore e aggressività creano
è una guerra commerciale in cui la ricchezza degli uni è
la causa della miseria degli altri e viceversa. Inoltre i tagli
alla spesa pubblica, producendo recessione, peggiorano in modo crescente
il parametro deficit/PIL di Maastricht, assunto come dogma dall’Unione
Europea, portando così a ulteriori e più vigorosi tagli.
Ciascuno dovrebbe quindi fare la sua parte, ha spiegato il FMI, riequilibrando
tutti i propri conti, cioè non solo i deficit (riducendo le spese)
ma anche gli avanzi (aumentando i consumi interni). A sua volta Obama ha
affermato che solo la crescita può determinare un futuro rientro
del deficit.
Questi orientamenti sono stati duramente respinti dalla Merkel. Ma
in un’economia mondiale dominata da macroaree geografiche nessun paese
europeo, neppure
la forte Germania, è in realtà in grado di operare da
sola senza essere schiacciata, per cui le è indispensabile disporre
di strutture istituzionali sopranazionali in grado di gestire una politica
comune della spesa pubblica, fiscale e dello sviluppo. Nonostante lo scetticismo
dei tedeschi verso l’Unione Europea, vista come una palla al piede, la
Germania, spiega Martin Wolf, è dunque il paese, proprio perché
il più forte economicamente in Europa, che ha tratto il maggior
beneficio dalla creazione dell’Unione Europea e soprattutto dell’Eurozona,
per cui avrebbe un interesse oggettivo a non affossarla. Per comprendere
questo basti pensare a come gli aiuti, tardivi e controvoglia, per la resistenza
della Merkel, concessi alla Grecia siano serviti a evitare gravi problemi
alle banche tedesche (in caso di insolvenza greca esse avrebbero rischiato
il collasso). Ancora, basti pensare che senza l’euro il cambio del marco
sarebbe cresciuto moltissimo durante la crisi, fungendo da valuta rifugio,
e si sarebbero invece svalutate le monete dell’Europa periferica: ciò
che avrebbe ridotto assai le esportazioni tedesche.
Oggi però la Merkel sta facendo proprio il contrario di ciò
che alla stessa Germania maggiormente servirebbe.
Oltre all’ossessione liberista-monetarista muove in questo senso il
terrore della popolazione tedesca dinanzi a rischi anche solo immaginari
di inflazione, motivato dal fatto che le super-inflazioni seguite alle
sconfitte delle due guerre mondiali distrussero risparmi e pensioni, inoltre
muovono le conseguenti convenienze elettorali della Merkel e le convenienze
infine dei settori dominanti del capitalismo tedesco. Non si dimentichi
che non è necessariamente vero che una situazione di semistagnazione
in Europa lo danneggi: la finanza può trovarvi succose opportunità
di speculazione, l’industria può continuare a muoversi sul terreno
delle delocalizzazioni
all’estero e segnatamente in quelle aree del mondo che sono in forte
espansione anche come mercati.
Concludendo, l’esistenza di una Germania ipercompetitiva e che non
crea domanda interna riguarda l’intera Unione Europea, perché la
Germania è la sua superpotenza economica, inoltre perché,
dato che la moneta unica esige un certo coordinamento delle economie, se
la Germania fa il cavaliere solitario danneggia gli altri paesi. Essa ha
già fatto diventare l’Europa il buco nero della crescita mondiale:
e se la sua politica economica non verrà rovesciata il resto dell’Europa
e soprattutto dell’Eurozona rischieranno moltissimo sul piano non solo
economico ma sociale e politico. Occorre perciò riuscire a imprimere
una svolta verso un andamento espansivo delle economie europee coordinato
a livello UE. Si tratta in tutta evidenza di un’impresa difficile, che
esige per avviarla uno sforzo coordinato dei sindacati e della sinistra
europea e, tramite quest’impegno, la formazione di una coscienza comune
della sua necessità nei lavoratori e nelle popolazioni.