L'illegittima difesa

di Domenico Gallo, "il Manifesto", 21 ottobre 2001


La nuova guerra, e' impossibile negarlo, nasce da un atto di terrorismo che, per la prima volta nella storia moderna ha assunto una dimensione catastrofica paragonabile soltanto ad un massiccio attacco bellico. L'attacco contro il Pentagono e le Torri Gemelle di New York, infatti, ha provocato, in poche ore, una quantita' di vittime equivalente a quella provocato, in Jugoslavia, dai 78 giorni di bombardamenti della Nato durante la guerra del 1999.
Secondo le nostre categorie tradizionali di pensiero, non v'e' dubbio che l'attacco alle Torri non e' un atto di guerra bensi' un atto di terrorismo, poiche' la guerra e' una istituzione del diritto internazionale che nasce dall'esercizio di una facolta' strettamente inerente al potere sovrano degli stati. Soltanto gli stati possono far ricorso alla guerra, esercitando lo ius ad bellum, che peraltro la Carta della Nazioni unite ha reso illegittimo. Laddove atti di violenza di tipo bellico vengano esercitati da
altri soggetti, per quanto distruttivi possano essere, non possono determinare l'instaurazione di uno status di belligeranza, cioe' di quella particolare situazione che determina il trapasso da uno stato pacifico ad uno stato bellico, rendendo lecito ai belligeranti di compiere azioni (uso della forza, interdizioni degli spazi aerei, terrestri e navali, etc.) che altrimenti dovrebbero considerarsi illecite. Tuttavia la frontiera fra azioni di terrorismo ed azioni di guerra non puo' essere tracciata in modo inequivocabile, ne' si tratta di una frontiera invalicabile, potendo il terrorismo travalicare in guerra e la guerra estrinsecarsi attraverso atti di terrorismo. La vita della comunita' internazionale presenta svariati episodi in cui alcuni stati, oggetto di
attacchi terroristici (o meglio di attacchi armati compiuti da entita' non statali), hanno invocato il diritto naturale alla autotutela individuale o collettiva (la legittima difesa), garantito dall'art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, per compiere azioni belliche contro stati terzi, finalizzate a (o con il pretesto di) reprimere, punire o sradicare il terrorismo. Cio' ha fatto, in particolare, Israele, a giustificazione dell'invasione del Libano, iniziata nel 1982, ed il Sudafrica, a giustificazione dei raid compiuti in Angola ed in Lesotho. Le giustificazioni addotte da Israele e Sudafrica non avevano trovato, pero', un vasto consenso nella Comunita'
internazionale. Dopo l'attacco alle Torri, la situazione cambia, in quanto si e' verificato un attacco (terroristico) che ha assunto una dimensione incommensurabile.
Per questo i membri del Consiglio di sicurezza, all'unanimita', con la risoluzione n. 1368 del 12 settembre scorso, hanno dichiarato che gli atti di terrorismo costituiscono una minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionale ed hanno riconosciuto (evidentemente agli stati che ne sono vittime) "il diritto alla autotutela, individuale o collettiva, in accordo con la Carta". Sia pure indirettamente il Consiglio di sicurezza ha equiparato l'atto di terrorismo dell'11 settembre ad un attacco armato (contro il quale soltanto e' lecito invocare l'autotutela prevista dall'art. 51 della Carta). A questo punto aggrapparsi alla distinzione astratta fra atti di terrorismo e atti di guerra e negare che l'evento dell'11 settembre abbia il carattere di un'aggressione, e' una linea di difesa piuttosto debole per quanti non ritengono giustificato il ricorso alla guerra. Ne' si deve dare eccessivo valore al fatto che la Nato ha riconosciuto che si e' verificato un attacco armato contro uno dei suoi membri, poiche' da tale riconoscimento non deriva automaticamente ne' la necessita', ne' l'opportunita' di promuovere azioni armate. Partiamo invece dal riconoscimento che l'11 settembre effettivamente si e' verificato qualcosa di assimilabile ad un attacco armato per verificare quali ne siano le conseguenze. La prima delle quali e' che scatta il diritto di autotutela dell'aggredito, la seconda e' che scatta il dovere
di intervento del Consiglio di sicurezza, che deve prendere delle misure adeguate per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale.
Nel sistema di sicurezza introdotto dalla Carta delle Nazioni Unite, il diritto di autotutela pero' non comprende il ricorso alla guerra, intesa nella sua accezione propria. E' stato osservato, infatti, in dottrina che: "la Carta di San Francisco, se prevede che l'aggressore possa essere messo in disparte (art. 5) o addirittura espulso (art. 6), non consente nei suoi confronti l'uso indiscriminato della forza, questa, infatti, presupporrebbe la sospensione dell'efficacia della norma di cui all'art. 2 (che interdice
il ricorso alla forza nelle relazioni internazionali), mentre tale sospensione non e' ne' esplicitamente, ne' implicitamente disposta. Il
perdurante divieto dell'uso indiscriminato della forza non preclude all'aggredito, com'e' chiaro, la possibilita' di difendersi efficacemente contro l'aggressore: ma la violenza cosi' spiegata deve essere preordinata ai fini della difesa, quindi esercitarsi in limiti tali da escludere il ricorso alla guerra... Si dovra' trattare, in altri termini, di una legittima difesa in senso stretto, non gia' di una guerra caratterizzata dalla circostanza che chi la intraprende si trova in situazione di legittima difesa" (A. C. Cialdino, voce "guerra" in Enciclopedia del diritto). L'art. 51, invocato a sproposito per giustificare la guerra, in effetti, consente soltanto la resistenza ad una aggressione armata in atto, come esercizio di un diritto naturale ed insopprimibile. Tale diritto di resistenza militare, peraltro, e' stato gia' esercitato dagli Stati Uniti che hanno respinto l'attacco del terzo aereo dirottato, abbattendolo. Inoltre il diritto all'autotutela puo' essere esercitato dall'aggredito entro stretti confini temporali e funzionali, vale a dire finche' l'attacco e' in corso e finche' il Consiglio di sicurezza dell'Onu non abbia esercitato le proprie competenze, adottando delle misure adeguate per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. In questo caso non si puo' invocare la tanto lamentata paralisi del Consiglio di sicurezza per allargare le maglie dell'autotutela. Infatti il Consiglio di sicurezza non e' stato paralizzato
da alcun veto. Tutti i membri, sia quelli permanenti, sia gli altri, hanno convenuto all'unanimita' di approvare delle serie misure contro la minaccia del terrorismo, al fine di ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Infatti, il giorno dopo l'evento il Consiglio, con la risoluzione n. 1368, ha statuito l'obbligo di tutti gli stati di perseguire con la massima urgenza i responsabili di atti di terrorismo e ha dichiarato che gli stati che danno rifugio o protezione ai terroristi saranno considerati responsabili di tali comportamenti. In seguito, con la risoluzione n. 1373, il Consiglio di sicurezza ha adottato una serie di stringenti misure volte a prevenire e a stroncare il terrorismo, prevedendo - fra l'altro - il congelamento dei fondi e di ogni risorsa economica che possa essere usata dai terroristi e l'obbligo di tutti gli stati di cooperare e scambiarsi le informazioni utili per la repressione
del terrorismo. Inoltre il Consiglio ha istituito una speciale commissione alla quale tutti gli stati, entro 90 giorni, devono riferire le misure adottate per implementare gli obblighi derivanti dalla risoluzione medesima. Poiche' il Consiglio di sicurezza ha deliberato le misure necessarie e opportune, e' del tutto evidente che non esiste alcuno spazio per l'ulteriore esercizio del diritto di autotutela, ricorrendo alla violenza delle armi. Il fatto poi che i singoli membri del Consiglio di sicurezza e persino lo stesso Segretario Generale delle Nazioni Unite si siano dimostrati indulgenti con l'azione militare intrapresa dagli Stati uniti
contro l'Afghanistan, non cambia questa realta' poiche' nessuna interpretazione, per quanto autorevole, puo' modificare la Carta. "Il sistema di sicurezza delle Nazioni Unite e' un tessuto compatto che non presenta smagliature attraverso cui possa insinuarsi la guerra". (A.C. Cialdino, cit.) In realta' da quando la Carta delle Nazioni Unite e' stata approvata, gli stati hanno costantemente cercato di allargare le maglie di questo sistema per riappropriarsi di quei poteri che la Carta aveva eliso al
fine di mantenere la sua promessa di salvare le future generazioni dal flagello della guerra.
Cosi' il diritto di autotutela (collettiva) e' stato invocato dagli Stati Uniti per giustificare il loro intervento nella guerra del Vietnam e dalla Unione Sovietica per giustificare l'invasione della Cecoslovacchia e quella dell'Afghanistan. Per questo e' importante che l'opinione pubblica internazionale si mobiliti e continui a considerare ingiustificato il ricorso alla guerra, anche se fondata sul pretesto della legittima difesa, per impedire che si consolidi una prassi che legittimerebbe di nuovo il ricorso alla guerra come istanza suprema di giustizia nei rapporti fra gli stati, annullando l'unica vera grande conquista di civilta' che il Novecento
ha consegnato alle generazioni future.