Luciano Gallino, "la Repubblica", 22 febbraio 2010
L´interpretazione corrente, la quale vede la politica sopraffatta
dall´invasione dell´economia, e dunque costretta suo malgrado
ad adeguarsi alle esigenze di questa, arriva sì a descrivere con
una certa proprietà gli effetti dell´invasione, ma al prezzo
di ignorarne le cause. Sono la cronaca e la storia degli ultimi decenni
a mostrare che i confini tra economia e politica non sono stati attraversati
dalla prima grazie esclusivamente alle proprie incontenibili forze, come
sostiene la interpretazione delineata sopra. Piuttosto va constatato che,
a partire dai primi anni 80 del secolo scorso, in numerosi paesi tali confini
sono stati deliberatamente spalancati all´economia non da altri che
dalla politica, dai suoi parlamenti, e dalle leggi da questi emanate.
L´attraversamento incontrollato dei confini tra politica ed economia
non sarebbe potuto avvenire senza l´intervento di una ideologia che
dopo esser giunta a pervadere l´intero sistema culturale ha promosso
e legittimato tale attraversamento, e lo ha praticato essa stessa in forze
riguardo ai suoi confini con tutti gli altri sotto-sistemi. Questa ideologia
è il neo-liberalesimo. L´ideologia neo-liberale non è
una continuazione alla nostra epoca della dottrina politica liberale: per
molti aspetti ne rappresenta una perversione.
Il neo-liberalesimo incorpora nella società contemporanea ciò
che, nel suo campo, la fisica ambisce da generazioni a raggiungere, senza
però riuscirvi: nulla meno di una teoria del tutto. In primo luogo,
comprensibilmente, il neo-liberalesimo è una teoria politica, la
quale asserisce in modo categorico che la società tende spontaneamente
verso un ordine naturale. Di conseguenza occorre impedire che lo stato,
o il governo per esso, interferiscano con l´attuazione e il buon
funzionamento di tale ordine. Si tratta di un argomento che viene da lontano,
poiché fu usato almeno dal Seicento in poi per contrastare il potere
monocratico del sovrano; applicato ad una società democraticamente
costituita, esso si trasforma nella realtà in un argomento contro
la democrazia.
Parallelamente, il neo-liberalesimo è una teoria economica,
in conformità della quale le politiche economiche debbono fondarsi
su un paio di assiomi e sulla credenza in tre processi perfetti. Gli assiomi
stabiliscono che lo sviluppo continuativo del Pil per almeno 2-3 punti
l´anno è indispensabile anche alle società che hanno
raggiunto un discreto stato di benessere allo scopo di continuare ad assicurarselo;
a tale scopo è pertanto necessario un proporzionale aumento annuo
dei consumi, ottenuto producendo bisogni per mezzo di merci e comunicazioni
di massa. I tre processi la cui esistenza ed i benefici effetti non ammettono
discussione sono: i mercati si autoregolano; il capitale affluisce dove
la sua utilità è massima; i rischi (quali che siano: di insolvenza,
di caduta dei prezzi, di variazioni dei tassi di interesse ecc.) sono integralmente
calcolabili.
Il neo-liberalesimo contiene anche una esauriente teoria dell´istruzione.
Il fine ultimo e solo di questa in ogni suo grado e comparto, stabilisce
tale teoria, risiede nel conferire all´individuo competenze professionali
tali da renderlo produttivamente occupabile. Infine il neo-liberalesimo
incorpora una teoria inversa dei beni pubblici: di qualsiasi bene l´individuo
e la collettività abbiano bisogno ai fini della loro convivenza
e protezione sociale, essa afferma, è più efficiente, dunque
necessario, produrlo con mezzi privati.
In sintesi, l´ideologia neo-liberale non riconosce, né
ha di fatto, alcun confine; appunto a questo deve la sua efficacia nel
contribuire a riorganizzare il mondo sotto il profilo economico, politico
e culturale in appena trent´anni. La riorganizzazione politica, economica
e culturale del mondo operata dal neoliberalesimo è alla base della
crisi economica dei primi anni 2000; di quella cominciata nel 2007; degli
immensi costi già inflitti in precedenza a quattro quinti della
popolazione mondiale e al pianeta, nonché dei costi umani che l´ultima
crisi scaricherà per molti anni sugli strati più deboli della
popolazione, sia nei paesi emergenti che in quelli sviluppati. E´
questo insieme di cause e di effetti in ogni ambito che induce a definire
la crisi economica in atto una crisi di civiltà, una crisi generale
della civiltà-mondo.