Carmine Fotia, "il manifesto", 30 novembre 2012
Penso che la partecipazione popolare alle primarie sia un bene prezioso.
Tuttavia, pur avendo partecipato al primo turno, votando per Nichi Vendola,
, domenica non mi recherò al seggio. Assistendo al confronto televisivo
tra Matteo Renzi e Pierluigi Bersani non ho respirato alcun profumo di
sinistra. Si può spruzzare un profumo dozzinale e spacciarlo per
Chanel n° 5, ma la sostanza non cambia. I due candidati propongano
varianti della medesima politica: Bersani vuole andare «un po' oltre
Monti», Renzi anche, nel senso che vuole fare lui le politiche di
Monti.
Prendiamo il tema cruciale del lavoro: nessuno dei due ha detto che
cambierà le controriforme della Fornero.
Bersani solo un po' quella delle pensioni e tace sull'articolo18; Renzi,
pensa che bisogna ulteriormente liberalizzare il mercato del lavoro.
Sui diritti civili, senza spiegare perché nei suoi lunghi anni
di governo il centrosinistra non ha varato una legislazione avanzata, Bersani
propone una riforma piccola piccola senza osare pronunciare la parola matrimonio
tra gay. E Renzi, invece di attaccarlo sulle mancanze del vecchio centrosinistra,
come ha efficacemente fatto sul conflitto d'interessi, si accoda perché
è liberale, ma non liberal.
Sui giovani, a parte le solite giaculatorie sulla scuola, nessuno dei
due ha detto che la precarietà prodotta dalle politiche neoliberiste
è il cuore del disagio che scuote una generazione che rivendica
diritto a un futuro e a un reddito e che dunque la lotta contro la precarietà
deve essere l'asse di qualsiasi politica di sinistra. Mi sarebbe piaciuto
che qualcuno avesse detto che quattro vetrine spaccate non possono celare
l'enorme spoliazione subita da milioni di giovani. Che nessuna politica
di sinistra sarà possibile se non si infrangono le regole del fiscal
compact, che è ora di rilanciare le politiche pubbliche e dunque,
non di andare "un po'" oltre Monti, ma di costruire un'alternativa a Monti.
Temo che, nel suo intervento di martedì Asor Rosa attribuisca
all'alleanza Pd-Sel un valore di asse che invece non ha e non può
avere, perché nelle urne del 3 dicembre si conteranno i voti di
Bersani e quelli di Renzi, non quelli di Vendola (purtroppo). Il Pd, lo
dicono in molti, esce cambiato dalle primarie e la novità più
forte (lo dico con rispetto e senza demonizzare nessuno) è la modernizzazione
renziana che spinge il Pd verso una posizione liberal-liberista, fortissima
nella critica alla politica e alle vecchie classe dirigenti e quindi in
grado di intercettare anche un pezzo della protesta, cui si oppone la timida
versione socialdemocratica di Bersani, ricco di metafore ma senza il coraggio
e la visione di Willi Brandt o Olof Palme.
So bene che nella politica il conflitto può cambiare le cose
e dunque anche questa situazione può essere cambiata ma solo se
il centrosinistra accetta di dialogare e di farsi attraversare da tutti
quei soggetti politici e sociali che oggi _ in forme diverse che però
spero convergano verso uno sbocco unitario _ intendono costruire un'alternativa
(dall'Idv a Rifondazione, alla Fiom ai firmatari dell'appello "Cambiare
si può" di cui ci hanno parlato ieri Pepino e Morniroli). Se Vendola
e Sel non giocano questa partita nel dopo primarie, pretendendo che questo
soggetto in costruzione sia considerato un interlocutore vero con il quale
discutere l'asse del centrosinistra non cambierà. Se ne dovrebbe
tenere conto (ma temo che così non sarà) non solo e non tanto
per quel che una simile alleanza potrebbe raccogliere in termini elettorali
(che pure potrebbe non essere poco) quando per i temi e le questioni che
essa evoca.
L'obiezione che così si costruirebbe una babele, non regge se
viene da chi propone un'alleanza da Montezemolo a Vendola, a meno che non
si pensi che quest'ultimo, in nome della famosa carta d'intenti, sia pronto
ad accettare tutto. Anche elettoralmente, l'autarchia Pd-Sel sarebbe un
errore: difficilmente raccoglierà più del 35% e ha bisogno
di allargare il campo, prima o dopo il voto. La scelta verso il centro
non deve essere obbligata dall'assenza di un'alternativa a sinistra.
Una presenza alternativa, per cambiare l'asse del centrosinistra o
per tenere aperta una speranza è necessaria. Senza cedere ad alcuna
regressione ideologica e minoritaria da duri e puri, ma anzi proponendo
idee di sinistra per il governo, potrebbe nascere una lista-coalizione
aperta al nuovo civismo e ai movimenti, per una radicale critica alle oligarchie
politiche, per sollecitare la rifondazione dei soggetti politici con nuove
forme di partecipazione democratica: forum, referendum, primarie.
Con molta nostalgia del futuro, praticando l'indignazione e l'ascolto,
com'è nel suo costume, la Rete discuterà di tutto questo
e di altro da oggi ad Acquasparta.