Goffredo Fofi, introduzione al libro "Da pochi a pochi", "A rivista anarchica", N. 319, estate 2006
È appena uscito per i tipi di Elèuthera Da pochi a
pochi (appunti di sopravvivenza) di Goffredo Fofi, critico cinematografico
e letterario, ma soprattutto partecipe dagli anni 50 ad oggi a molte esperienze
di intervento sociale ed educativo, nonché fondatore e direttore
di riviste di interesse culturale e politico (ultima Lo Straniero)
Ecco l'introduzione dello stesso Fofi.
Si scherzava, anni fa, attorno a un nostro possibile slogan: «Minori,
minorati, minoritari di tutto il mondo unitevi!». Ma non lo abbiamo
mai usato, in nessun articolo e in nessuna occasione, ed è perché
non ne eravamo veramente convinti. C'è minore e minore, c'è
minorato e minorato, c'è minoritario e minoritario...
È stato giusto che si lottasse per i diritti di minoranze e
parti della società vilipese, trascurate, oppresse da maggioranze
conformiste e imbecilli o, più semplicemente, maggioranze attaccate
ai propri privilegi e pronte a difenderli senza rispetto per nessuno. Bene,
è stato fatto non completamente, non dovunque; e dove ancora la
disuguaglianza è grande, dove l'oppressione è ancora forte,
è giusto che si continui in questa azione, su questa strada. Ma
con una esigenza ulteriore, dettata da una coscienza più chiara
che è nata via via dalla nostra partecipazione o, quando questa
non era possibile, dal nostro voler capire e dal nostro voler aiutare con
gli scritti e le parole le minoranze etniche, religiose, politiche, sessuali
schiacciate in vario modo da maggioranze prepotenti e aggressive. Questa
ulteriore esigenza è nata anche, talvolta, dalla coscienza dei limiti
di questa nostra solidarietà e partecipazione, limiti che abbiamo
avvertito nella nostra stessa convinzione e di cui talora quasi ci siamo
vergognati per il fatto stesso di sentirli.
In breve: non ci soddisfa appieno, o non ci soddisfa più, un
concetto di minoranza, diciamo così, di «nascita» e
ci rendiamo ogni giorno di più conto della sua insufficienza, e
rivendichiamo la possibilità di giudicare anche le minoranze non
dal fatto che siano tali, ma dalle loro idee, dai loro progetti, dalle
loro azioni e dal loro rapporto con altre minoranze (anche avversarie!).
Dai modi del loro agire.
In breve: ci identifichiamo con le minoranze etiche presenti all'interno
delle minoranze etniche, religiose, politiche, sessuali...
Non vogliamo più dare la nostra solidarietà e il contributo
pur piccolo o minimo, quello che possiamo, a minoranze che si comportano
o sappiamo che molte probabilmente si comporteranno nei confronti di
altri con gli stessi metodi che condannano in chi oggi le opprime; che
di fatto sembrano sognare nuovi oppressi stavolta sotto il loro giogo,
in un rovesciamento puro e semplice del gioco del potere e del comando.
Non ci schiereremo dunque con gli ebrei o con gli arabi, i cattolici o
i protestanti, gli israeliani o i palestinesi, i castigliani o i baschi,
i tutsu o gli hutu, gli inglesi o gli irlandesi, i turchi o i curdi, i
bianchi o i neri, i maschi o le femmine, gli etero o i gay, i rossi o i
neri, i gialli o gli azzurri, i grassi o i magri, i giovani o i vecchi...
ma con quella parte di queste parti contrapposte che ci sembri davvero
rispettosa del diritto all'esistenza e alla pari dignità per l'altro
da sé, per il «nemico».
La logica tribale di questi anni dalle guerre in ex Jugoslavia alle
lontane Asie, dall'Africa nera alle nostre periferie non deve assolutamente
appartenerci, e nostro compito deve essere quello di trovare prima e allearci
poi con quella parte della varie minoranze che sentiamo «nostra».
Per esempio, non con «gli israeliani», e tantomeno cogli israeliani
di destra o anche di centro, ma gli israeliani «di sinistra»;
non con «i palestinesi» in quanto tali, e tantomeno quelli
accecati dal nazionalismo e dal fondamentalismo tal quale gli israeliani
(nella convinzione peraltro che dietro questi poteri ci sono poteri stranieri
gli Usa o parte degli ebrei della diaspora, gli Stati arabi o le sette
religiose più ottuse che spingono finanziano armano esigono la
contrapposizione frontale tra questi due popoli, per i loro interessi tutt'altro
che limpidi e generosi!), ma i palestinesi «di sinistra», altrettanto
pochi e soli degli israeliani, mentre la solidarietà, per esempio,
della nostra sinistra è andata e va ciecamente e visceralmente nella
direzione della contrapposizione di un potere contro un altro potere, di
una «etnia» contro un'altra «etnia», secondo logiche
di derivazione più stalinista che socialista.
E via dicendo, minoranza per minoranza, dentro un meccanismo di cui
occorre contribuire a cambiare il corso, perché altrimenti ogni
acritico «schierarsi con» e «schierarsi contro»
non potrà che riprodurre disastri: catene di odio, sangue, guerra.
Non ci convincono le «donne» e i «gay» in quanto
tali, ma certa parte delle donne e dei gay; non gli inglesi o gli irlandesi,
ma certa parte degli inglesi e degli irlandesi; eccetera. E il ragionamento
non è a ben vedere diverso da quello dei nostri lontani padri socialisti,
è quello dell'internazionalismo proletario che distingueva tra i
proletari e gli Stati a cui i proletari appartenevano, e non si schieravano
né con gli Stati né con le razze, le Chiese, i sessi, perfino
i partiti...
Il concetto stesso di minoranza va riveduto alla luce di quanto è
accaduto nelle minoranze degli ultimi quarant'anni. Contro ogni fondamentalismo
e ogni retorica dell'identità, ogni fanatica esaltazione della differenza,
ogni bisogno di avere per sentirsi vivi, per giustificarsi un nemico.