Saverio Ferrari, "Progetto Lavoro", n. 2, gennaio 2011
Chi si occupa di destre radicali, studiandone l’evoluzione, le politiche, ma anche i miti di riferimento, le simbologie e le sottoculture, si trova sempre più precipitato nella destra istituzionale.Quasi un incastro. E’ un dato da cui partire per approfondire alcuni aspetti, spesso sottovalutati, dell’identità di una delle principali forze della destra italiana, la Lega Nord, e comprenderne l’evoluzione ben oltre i caratteri della destra populista. Inoltre si tratta di una tendenza più generale che investe l’Europa, e non solo (si pensi, negli Stati Uniti, all’incidenza dei Tea Parties sul Partito Repubblicano), che vede sempre più pericolosamente accorciarsi i confini fra destre conservatrici e radicali. Grave, in questo quadro, la situazione nell'Est europeo, con l’affermarsi, in particolare in Ungheria e in Romania, di formazioni politiche razziste, ideologicamente legate ai passati regimi collaborazionisti dei nazisti.
Dall’etnocentrismo al federalismo socioeconomico
In Italia la Lega Nord è il più vecchio partito della
cosiddetta Seconda Repubblica: oltre venticinque anni di vita a partire
dal suo nucleo fondante, la Lega Lombarda. Con le sue specificità,
certamente essa si colloca nel più generale fenomeno delle destre
populiste europee, ponendosi nel solco di coloro che si sono costituti
ex novo, a cavallo degli anni ottanta, o che hanno scelto di attenuare
i legami con le precedenti esperienze nostalgiche dei movimenti fascisti.
Basterebbe ricordare come il FPOE (il Partito Liberale) in Austria fosse
in realtà nato agli inizi degli anni cinquanta come ricettacolo
degli ex nazisti (il predecessore di Haider era stato un ufficiale delle
SS) o come il Front National di Le Pen fosse stato fondato nel 1972 sull’esempio
del MSI (ne copiò anche il simbolo: una fiamma con i colori di Francia),
con ben quattro membri su cinque della segreteria provenienti dal governo
collaborazionista di Vichy.
Due i passaggi cruciali, nel percorso evolutivo della Lega, su cui
è indispensabile scavare. Il primo, indubbiamente centrale, avvenne
alla fine degli anni ottanta, con l’abbandono delle ipotesi iniziali di
federalismo etnocentrico per puntare sul federalismo socioeconomico. “I
piccoli grandi popoli del Nord” non sono in grado di affrontare “lo stato
centralista”, non sono abbastanza forti per “vincere l’assedio romanocentrico”.
Questa fu l’analisi di Umberto Bossi. Da qui la rinuncia a rivendicazioni
che guardavano alle regioni e alle province a statuto speciale, come Valle
d’Aosta o Alto Adige, e i dialetti passati in secondo piano, valutati come
possibili elementi di divisione politica e non di forza.
Il tutto si consumò, non senza forti contrasti e addirittura
alcuni tentativi di disarcionare Umberto Bossi, al I Congresso Nazionale
della Lega Lombarda, nel dicembre 1989, al Jolly Hotel di Segrate. Nacque
così, nel 1991, la Lega Nord, come federazione di più soggetti,
dalla Lega Lombarda alla Liga Veneta, da Piemont Autonomista all’Union
Ligure e ad altri movimenti.
“Capivamo che per affermare le nostre idee avremmo dovuto sottolineare
che il federalismo è l’unica strada percorribile per modernizzare
il sottosviluppato capitalismo italiano, oligopolistico, arretrato, corrotto
dalla mentalità assistenziale e dalla sudditanza nei confronti di
uno stato affarista, arraffone e sprecone”. Così riassunse nel 1996
questo passaggio lo stesso Umberto Bossi in un’intervista del 1996.
E’ da queste basi che si avvia lo sviluppo successivo, con le oscillazioni
che abbiamo conosciuto, tra improbabili parlamenti del nord e spinte secessioniste
(come nel 1996), poi un più attuale, apparentemente moderato, federalismo,
tuttavia sempre nell’orizzonte di un progetto indipendentista.
Razza padana e cristianità
Un secondo momento decisivo fu quanto accadde nel marzo 2002 al IV Congresso,
ad Assago, quando la Lega virò decisamente nella direzione di una
nuova identità. E’ un punto di arrivo maturato negli anni precedenti
e nella cui attuazione l’attentato dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle
di New York ebbe un peso decisivo. In quel congresso la Lega si schierò
a difesa della “razza padana”, a nome dell’“opposizione alla società
multirazziale” ovvero contro “l’invasione extracomunitaria” causa della
“corruzione dei costumi e delle tradizioni” e anche veicolo di “criminalità”
e “malattie”. Nel suo intervento conclusivo Bossi parlò apertamente
dell’immigrazione come di un’“invasione programmata per scardinare la società”
e paragonandola a “un’orda” in grado di “sommergere l’Occidente decadente”.
Gli islamici presero il posto degli italiani meridionali e vennero assunti
nuovi riferimenti, dalle teorie di Alain de Benoist sul “differenzialismo
etnico” (questi parteciperà nel settembre successivo a un convegno
di formazione dei Giovani Padani) alla difesa della “cristianità”,
abbandonando così un rozzo anticlericalismo e alcune ritualità
celtiche e neopagane. Parimenti la componente cattolica, fino ad allora
minoritaria, assunse un ruolo centrale. Il senatore Giuseppe Leoni, il
maggiore esponente di quest’area, sarà anche nominato nel 2004 direttore
de la Padania. In un’intervista del settembre 2003 egli tra l’altro sostenne
che occorreva “denunciare pubblicamente il progetto ordito dai ‘re di denari’
che controllano i più importanti ambiti finanziari e politici del
pianeta. Mi riferisco all’intento massonico di instaurare una società
mondiale succube di un regime sinarchico, cioè di un governo d’insieme
che cancella le identità e la memoria. C’è un’alleanza tra
islam e massoneria”.
La Lega in questo passaggio assunse dunque i tratti (analisi, contenuti,
linguaggi) tipici delle destre radicali, arrivando anche a condividere
con esse una visione cospirativa della storia, intesa sempre come il risultato
di manovre e intrighi spesso oscuri. In questa fase vennero anche lanciati
alcuni attacchi all’Illuminismo e al Risorgimento (addebitato alle logge
massoniche), in generale ci si scagliò contro la Rivoluzione Francese
per il suo portato di diritti formali di uguaglianza. Tutto ciò
tuttavia avvenne senza il corredo di riferimenti al passato regime fascista,
nonostante alcune evidenti concessioni sul piano delle simbologie e alcuni
riferimenti teorici. Più di un osservatore denunciò come
nei diversi stand, gestiti a latere del Congresso, si propagandassero i
testi di Julius Evola (il principale teorico neonazista italiano) e di
Franco Freda, editi dalle Edizioni di Ar (“ar” sta per radice di “ariano”),
oltre a gadget con il Triskel (un specie di ruota solare esistente fin
dal neolitico), fatto proprio dai Volontari Verdi e dal Movimento Giovanile
Padano benché adottato da tempo da diversi gruppi neonazisti europei
e sudamericani per il suo uso nel secondo conflitto mondiale da parte di
una divisione delle Waffen-SS. Un’inquietante coincidenza. Di fronte alle
inevitabili polemiche i dirigenti leghisti si giustificarono sostenendo
unicamente il loro interesse al recupero di segni provenienti da antiche
culture.
Rapporti indecenti
Il 2 aprile 2004 l’Osservatorio Europeo sui fenomeni razzisti e xenofobi
(EUMC), organismo costituito nel 1997 nell’ambito del Parlamento Europeo,
incluse la Lega Nord nello stesso gruppo ideologico delle forze di estrema
destra. Insieme alla componente cattolica avevano infatti ormai assunto
un peso rilevante all’interno della Lega alcune figure provenienti da precedenti
esperienze neofasciste: si pensi all’europarlamentare Mario Borghezio,
ex Ordine Nuovo, o a Leo Siegel, editorialista de la Padania, un tempo
braccio destro di Giorgio Pisanò al settimanale il Candido, nei
primi anni settanta cassa di risonanza della cosiddetta maggioranza silenziosa.
Inoltre tra il giugno 2002 e il dicembre 2003 si svilupparono rapporti
intensi e organici con le realtà dell'estrema destra, in particolare
con Forza Nuova; numerose le iniziative, con convegni e comizi in comune
e fino al tentativo, dopo il famoso viaggio in veste di vice-premier di
Gianfranco Fini a Gerusalemme, in cui definì il fascismo come “male
assoluto”, di sottrarre consensi ad Alleanza Nazionale. Il quotidiano la
Padania, con una vera e propria campagna, incitò i militanti e gli
elettori di AN a “una rivolta contro il ‘compagno’ Fini” traditore degli
ideali missini. Il messaggio finale era il seguente: “nella Lega si possono
conservare, senza abiure, le proprie radici fasciste”.
Un nuovo movimento fascista?
La domanda è legittima. Se la sono posta in tanti in questi anni:
che la Lega sia un nuovo movimento fascista, ben più pericoloso
dei tanti gruppuscoli che popolano la galassia dell’estrema destra italiana?
Le assonanze e le similitudini non mancano; così i rapporti, come
abbiamo visto, con i gruppi neofascisti conclamati o l’influenza al suo
interno di realtà a tutti gli effetti parafasciste.
Ma per un giudizio tanto netto mancano ancora troppi elementi. Il movimento
fascista dette vita a un’esperienza storica definita e collocata nel suo
tempo. Un’assimilazione a tutti gli effetti sembra quindi poco fondata
sul piano dell’analisi.
Ciò che va certamente colto è il senso di marcia di un
movimento di destra, xenofobo e razzista, con al proprio interno elementi
che indubbiamente prefigurano una cultura da partito di regime. Si pensi
alla recente vicenda della scuola di Adro, in provincia di Brescia, marchiata
con centinaia di emblemi leghisti, ma anche all’istituzione dei concorsi
di bellezza padani, all’uso di capi di vestiario per distinguersi, non
solo i fazzoletti da taschino ma soprattutto le camicie verdi, assunte
come divise. La Lega, come è noto, nella sua storia sfiorò
anche l’istituzione di strutture paramilitari.
In comune con le esperienze dello scorso secolo va comunque sottolineato
il tentativo di resuscitare miti e simbologie di un passato lontanissimo
per accreditarsi come legittima depositaria di presunte eredità
ataviche. Ripercorrendo strade più vicine alla storia del movimento
nazionalsocialista che a quelle del fascismo nostrano.
Il meccanismo dei simboli
I simboli dicono della natura di un movimento. Sono segnali che rivelano
appartenenze, perciò che assumono, ben oltre l’aspetto grafico,
significati.
Quasi a scimmiottare altre esperienze la Lega in questo campo sembrerebbe
riproporre in sedicesimo i percorsi di quel movimento pangermanista della
seconda metà dell’Ottocento che precedette il nazismo, che recuperò
emblemi conosciuti reinterpretandoli con un significato diverso. Si pensi
alla svastica, all’aquila e soprattutto alle rune, un antico alfabeto ancora
oggi poco noto. Fu un’operazione che servì a evocare la titolarità
dell’antico patrimonio germanico e che poi fu utilizzata a piene mani dai
nazionalsocialisti per giustificare anche l’appropriazione di territori
posti al di fuori dei confini tedeschi. Il ritrovamento di antiche rune,
scolpite su rocce o manufatti, in diverse parti d'Europa servì cioè
a legittimare un disegno espansionistico come ricomposizione di un antico
regno teutonico.
Con la Lega siamo su un piano tuttavia diverso. I simboli servono a
marchiare la presunta identità padana in un’ottica di separazione
e non di conquista. E’ però identico il meccanismo. Si assumono
anche qui simbologie il cui significato, non univoco, si perde nell’ambito
di culture e tradizioni secolari per accreditare la discendenza da un’antica
comunità. Il principale emblema leghista, il sole delle Alpi, sembrerebbe
servire a questo: a identificare i confini della Padania. E’ un simbolo
in realtà proprio di moltissimi altri territori, rintracciabile
infatti in Puglia, in Andalusia, addirittura a Gerusalemme.
Mito della Padania e parole d’ordine orientate all’apartheid
Se si rapportano le parole d’ordine agitate dalla Lega al mito fondante
della Padania si evidenzia una loro organicità. E’ infatti un mito
totalmente inventato, basato su nessuna reale nazionalità, che si
allarga o si restringe a seconda dei successi elettorali della Lega, quindi
ora comprendente l’intero nord, inoltre è un mito in cui partito
e nazione coincidono.
Si disegnano dunque in questo modo i confini di una comunità
che si vorrebbe mossa da comuni interessi, a prescindere da divisioni sociali
e di classe, in lotta contro l’oppressione centralista. E’ in quest’ambito
che avviene l’esaltazione delle presunte virtù degli abitanti autoctoni,
in particolare laboriosità e onestà, spesso incarnati dai
piccoli produttori.
Da questo stesso mito poi discendono atti concreti, in una spirale
tesa salvaguardare i presunti padani da ogni tipo di contaminazione, razziale
e sociale: la politica di allontanamento degli immigrati, anche comunitari;
le impronte ai bimbi rom; i respingimenti in mare; la sistematica persecuzione
dei poveri (le proposte di rimpatrio per chi non ha dimora e reddito adeguati,
ma anche contro l’accattonaggio, come se i poveri portassero povertà);
il razzismo identitario in sede amministrativa. Le ordinanze dei sindaci
leghisti, per quanto sistematicamente bocciate dai TAR, stanno rappresentando
quindi il tentativo di instaurare a livello locale un vero e proprio regime
d’apartheid: dall’obbligo per i non residenti di esibire il certificato
penale alle borse di studio e ai bonus bebè per i soli cittadini
italiani all’esclusione in generale dai contributi sociali. Una sorta di
welfare differenzialista.
E’ in queste misure la vera anima della Lega.