Il governo italiano di destra ha, al proprio fianco,
un numero estremamente ridotto di intellettuali di prestigio. Pochi sono
gli scrittori, pochissimi i cineasti, rari pittori e musicisti. Chi sostiene
Berlusconi sono anzitutto gli editorialisti dei grandi quotidiani, in qualche
caso provenienti dalle facoltà universitarie (Angelo Panebianco,
Ernesto Galli Della Loggia, Paolo Mieli ecc.). Tra costoro e gli opinionisti
del fronte teoricamente opposto, quello dell'Ulivo, esiste una sorta di
solidarietà di categoria, dovuta a una sostanziale identità
di vedute circa i benefici del liberismo selvaggio e della mondializzazione.
Se si parla di guerra in Afghanistan, di movimento anti-global, di difesa
della civiltà occidentale contro la barbarie, di espulsione di immigrati,
di politiche sociali, è molto difficile trovare differenze tra la
maggior parte degli editorialisti de La Repubblica o L'Espresso (Geminello
Alvi, Antonio Polito, Eugenio Scalfari, Mario Pirani, ecc.) e quelli dei
giornali governativi.
Tuttavia manca ancora, a Berlusconi, l'appoggio
di un numero sufficientemente ampio di scrittori, di cineasti e di altre
categorie di artisti. Il settimanale che più lo sostiene, Panorama,
è stato costretto ad accordare la definizione di "più importante
scrittrice italiana" all'anziana giornalista Oriana Fallaci, autrice di
un pamphlet violentemente xenofobo, in cui invita a sputare sui musulmani
e dipinge i Somali (forse la più innocua minoranza presente in Italia)
e gli africani in genere quali naturali portatori di sporcizia, fisica
e morale. D'altro canto, il governo si è visto obbligato, in mancanza
di meglio, ad affidare la gestione della mostra di Venezia e della Scuola
nazionale di cinema a incompetenti e industriali, mentre ambasciatore della
cultura italiana nel mondo pare essere diventato l'estroso Vittorio Sgarbi,
che fino a qualche mese fa propagandava un caffè in televisione
e teneva alla radio lezioni di sex appeal.
Ma sbaglia chi crede che, di fronte a questo
vuoto, gli intellettuali non allineati al potere svolgano davvero la funzione
critica e antagonistica di loro pertinenza. Molti di loro denunciano le
ripetute violazioni della legalità, ma non le connettono né
al segno di classe del governo Berlusconi, espressione di una nuova borghesia
arricchitasi con il commercio, i servizi, le comunicazioni, le speculazioni
di borsa, né a un quadro internazionale posto sotto il segno dell'imperialismo
e del neocolonialismo. Mancano in Italia i Bourdieu, le Forrestier, le
Susan Gorge, i Gore Vidal. Se protesta c'è, è contingente
e partitica.
Del resto, quale critica ci si può attendere
da chi muove da punti di vista in gran parte convergenti? Nessuno dovrebbe
dimenticare la campagna astiosa contro gli immigrati condotta per due anni
dall'ex scrittore ribelle Alberto Arbasino, né che Umberto Eco fu
tra i precursori delle politiche di privatizzazione dell'università.
Eppure le aberrazioni di un governo sempre più
simile a un regime sono sotto gli occhi di tutti, e dovrebbero fare gridare
allo scandalo. Alle opinioni pubbliche straniere giungono solo i casi
denunciati dalle forze del centrosinistra e dagli
intellettuali che vi si riconoscono: la negazione della scorta ai magistrati
in lotta contro la mafia, la sostituzione di un giudice nel corso di un
processo che vede Berlusconi e il suo ex legale Previti quali imputati,
la depenalizzazione di reati che minacciano il leader e il suo entourage
confindustriale.
Non varcano però le frontiere innumerevoli
casi di arbitrio quotidiano. Talora piccoli, come l'istituzione a Bologna
di un numero verde, gestito da un deputato di Forza Italia e rivolto agli
studenti che vogliano denunciare gli insegnanti rei di criticare il governo
(ne è derivata un'ispezione ministeriale, intesa anche ad accertare
se nelle scuole bolognesi si mettesse nel giusto rilievo la superiorità
dell'Occidente sul mondo islamico, e si celebrasse degnamente il Natale).
Altre volte clamorosi, come l'espulsione, in una versione locale della
"notte dei cristalli", di 1500 immigrati prelevati nel corso della notte
dalla polizia, con irruzioni in appartamenti privati, ed espulsi (ma si
potrebbe dire "deportati") nel giro di 24 ore.
Tutto ciò, dal mondo della cultura che
conta, viene accolto con silenzio, anche perché spesso di tratta
dell'applicazione di leggi varate dal centrosinistra, su cui gli intellettuali
tacquero al momento dell'approvazione. Quando la protesta si solleva, spesso
riguarda la sola persona del premier (che si presta, in effetti, ma non
può esaurire il problema), oppure lesioni troppo patenti al quadro
istituzionale. Passano quasi sotto silenzio, invece, sia l'imbastardimento
capillare della società che le occasioni di scontro vero, capaci
di far vacillare il sistema.
Dai movimenti di contestazione, che pure esistono
nel reale, gli intellettuali si ritraggono con una sorta di repulsione.
I liceali di tutta Italia occupano le scuole, gli insegnanti scendono in
piazza contro la riforma demenziale del ministro dell'istruzione Moratti
(ennesima donna d'affari elevata a incarichi strategici), il movimento
pacifista mobilita centinaia di migliaia di manifestanti, gli operai lottano
contro la completa liberalizzazione dei licenziamenti, gli immigrati minacciati
dall'aberrante legge Bossi-Fini danno vita a massicci cortei. Tutto ciò
vede la maggior parte del mondo culturale italiano, e soprattutto il corpus
arrogante e vanesio degli scrittori di grido, assente, indifferente o addirittura
ostile.
A parte qualche autore di genere, ignorato in
quanto tale dall'accademia, nessuno si chiede se l'ideologia neoliberale
fatta propria dal centrosinistra non contenesse in germe la vittoria di
Berlusconi e del suo governo. Se il costruire campi di detenzione per immigrati,
teorizzare l'utilità di guerre "giuste", favorire il precariato
non costituissero le premesse per una successiva degenerazione autoritaria.
Udiamo quindi Antonio Tabucchi e Andrea Camilleri tuonare contro il fascismo
di ritorno, Nanni Moretti stigmatizzare l'inefficienza dei leaders dell'opposizione.
Mai che si chiedano se tutto ciò non abbia radici.
Clamoroso il caso di Genova, prima prova pratica
del governo Berlusconi (anche se ebbe per regista non tanto questi, quanto
il leader post-fascista Gianfranco Fini): violenze incredibili a danno
dei manifestanti più innocui, reintroduzione di forme di tortura,
molestie sessuali sulle donne arrestate, certezza dell'impunità
per quei poliziotti che cosparsero di sangue le strade cittadine. Uno spettacolo
osceno, ai limiti del sopportabile. Attuato da funzionari di polizia scelti
dal centrosinistra, che a Napoli, pochi mesi prima, aveva attuato una prova
generale del macello. E coperto da una magistratura che oggi è divenuto
di moda attaccare in blocco o difendere in blocco.
A fronte di tutto ciò, quanti scrittori
italiani hanno fatto udire forte la loro voce? Quanti, tra coloro che ne
possiedono i mezzi, hanno sollevato una parvenza di protesta? I cineasti
che filmarono quelle giornate sono rimasti isolati da chi, attraverso la
scrittura, pretende di possedere una peculiare conoscenza del mondo e si
vanta di aderire alla realtà (il realismo connota da sempre, agli
occhi degli accademici italiani, la narrativa "alta": persino Italo Calvino
e Dino Buzzati faticarono a ottenere un riconoscimento). Si comprende,
allora, il prevalere del minimalismo più oltranzista nella letteratura
italiana di oggi: non solo mancanza di idee, ma anche di coraggio.
Ulteriori banchi di prova ne sono stati la guerra
e il razzismo. Pochissimi hanno pubblicamente preso posizione contro la
vergogna afgana, anche se in privato sussurravano il loro dissenso. Persi
in futili esercizi di stile, impegnati in piccole diatribe da caffè
condotte con elegante nonchalance, gli scrittori antimilitaristi in pectore
non hanno osato sfidare la falange compatta degli opinionisti, che sui
grandi organi di stampa propagandavano a pieni polmoni una folle e un po'
turpe jihad occidentale. Era, del resto, accaduto lo stesso con la Somalia,
con il Kossovo e con le altre avventure militari che hanno coinvolto l'Italia.
E non si tratta solo di articoli o di interventi
d'occasione. E' anzitutto dai libri degli scrittori italiani che queste
realtà, come quasi tutte le altre realtà, sono praticamente
assenti. Cosa mai capiranno, dell'Italia odierna, i futuri lettori della
narrativa prodotta ai giorni nostri in quest'angolo d'Europa? Temo niente;
anzi, temo che non la leggeranno. E si badi che mi riferisco solo alla
letteratura "realistica", per definizione nobile. Inutile cercare nel contesto
italiano un Orwell o uno Zamjiatin, che ci parlino del presente e del futuro
in forma di metafora.
Ma veniamo al razzismo, attraverso un banale
esempio che la dice lunga sull'interscambio tra schieramenti, e sulla continuità
ideologica alla base dell'esperimento autoritario del governo Berlusconi.
Martedì 15 gennaio, su Il Corriere della Sera, appare un corsivo
firmato dal già menzionato Geminello Alvi. Un economista fino a
poco tempo fa collaboratore illustre di testate legate al centro-sinistra.
Si sta discutendo di smog e inquinamento, e il brillante studioso ha una
propria tesi. L'inquinamento sarebbe un portato naturale dell'incremento
demografico. Da cui, dopo la derisione ormai di rito dei no-global (che
"salterellano in corteo come tarantolati"), la logica conclusione: si stanno
"importando" milioni di immigrati, ed è questo che inquina l'aria.
Il lettore non italiano stenterà a credere
che su uno dei principali quotidiani della penisola si possa scrivere qualcosa
del genere: Haider o Le Pen forse avrebbero difficoltà a condividere,
dell'articolo, altro che non sia la sostanza della proposta, mentre giudicherebbero
troppo stupido tutto il resto. Eppure è questo il livello medio
dei nostri opinionisti, degli sciagurati maîtres à penser
che ogni giorno distillano odio razziale, classista, religioso dalle colonne
di quotidiani compiacenti. E che si scagliano con inaudita violenza contro
tutti coloro che, in un mondo ormai moralmente gelido, resistono abbarbicati
alla trincea dell'idealismo.
E' questo che unisce schieramenti apparentemente
opposti. Il centrosinistra, nel suo inseguire forsennatamente la borghesia
emergente, abbandonò ogni scelta di campo che lo distingueva. Rinunciò
a ogni idea solidale e promosse il neoliberalismo a unica ideologia concepibile.
Il centrodestra ne ha raccolto grato l'eredità, rendendola più
persuasiva con le proprie esplicite scelte di classe, venandola di neofascismo
e ammantando il tutto di una volgarità post-moderna. Solo a questo
punto gli intellettuali di sinistra si sono risvegliati.
Riusciranno gli intellettuali di opposizione
a capire che Berlusconi non è un fenomeno isolato o abnorme? Dall'impaccio
con cui hanno assistito all'intesa tra questi e Tony Blair non si direbbe.
Ma
la cartina di tornasole è stata Genova.
Chi tacque allora, o si espresse in maniera blanda, continuerà a
tacere. Infliggendo alla cultura italiana, già impoverita di suo,
il marchio ulteriore della codardia.