Questa recensione è stata in origine scritta su richiesta della Beirut Review, supplemento culturale del quotidiano libanese The Daily Star. Per questo alcuni passaggi sono chiaramente rivolti a un pubblico straniero.
E’ quasi impossibile sottoporre a una seria critica letteraria il libro
di Oriana Fallaci La forza della ragione, pubblicato dall’editore italiano
Rizzoli e, dopo il successo in patria, tradotto in molti paesi occidentali.
Non è un vero e proprio pamphlet: gliene mancano la stringatezza
e il rigore argomentativi. Non è di sicuro un saggio: i materiali
vi si accumulano senza ordine alcuno, le fonti sono dubbie, fraintese o
di seconda meno, le tesi di fondo non sono dimostrate né dimostrabili.
E’ certamente un’invettiva, però mal condotta. L’autrice, che
ci fissa con occhi gelidi dalla quarta di copertina e che, fin dallo sguardo,
parrebbe pronta a impartire al mondo occidentale una severa lezione, tende
di continuo a divagare, a saltare da un tema a un altro, ad affastellare
riferimenti disparati fino a perdere il filo del discorso. Talora addirittura
sembra tentennare, balbettare, quasi che, tradita dalla foga, abbia scordato
di cosa sta parlando. In quel caso o chiude il capitolo, o passa a ragionamenti
completamente diversi: i primi che le passano per la mente.
Per sua fortuna una struttura così pencolante ha un proprio
cemento che la tiene in piedi a forza: l’identità del Nemico. Il
quale Nemico è rappresentato dall’Islam, dal mondo arabo, dagli
arabi in genere, senza alcuna differenziazione al loro interno. Lo scopo
di costoro – di tutti costoro – è facilmente riassumibile: vogliono
conquistare l’Europa e soggiogarla. Non solo: intendono distruggerne completamente
la civiltà, per edificare sulle sue macerie, sui suoi monumenti
abbattuti, sulla sua cultura dispersa, un dominio infernale e belluino,
concepito da pastori analfabeti. Scopo che l’autrice, bontà sua,
definisce stolto:
“Infatti nel sogno che i figli di Allah coltivano da tanti anni, il
sogno di far saltare in aria la Torre di Giotto o la Torre di Pisa o la
cupola di San Pietro o la Tour Eiffel o l’Abbazia di Westminster o la Cattedrale
di Colonia e via dicendo, io vedo anzitutto una stoltezza. Che senso avrebbe
distruggere i tesori di una provincia che ormai gli appartiene? Una provincia
dove il Corano è il nuovo Das Kapital, Maometto il nuovo Karl Marx,
Bin Laden il nuovo Lenin, e l’Undici Settembre la nuova presa della Bastiglia?”
Sì, perché secondo Oriana Fallaci la conquista dell’Europa
sarebbe già avvenuta. Nel suo precedente libro, La rabbia e l’orgoglio,
spiegava meglio come. Avanguardia delle armate musulmane sarebbero gli
immigrati nordafricani o mediorientali giunti in Europa in cerca di lavoro
(ma quest’ultima specificazione, agli occhi della Fallaci, è probabilmente
solo un alibi). Insediatisi in Occidente, l’avrebbero soggiogato grazie
alla loro tendenza a “moltiplicarsi come ratti” (è ricorrente, nella
prosa della Fallaci, la descrizione di arabi e islamici tramite il richiamo
ad animali sporchi o infetti, oppure ai loro versi). Ciò si sarebbe
saldato, in un unico piano diabolico, alle azioni terroristiche dei gruppi
integralisti, con la complicità di fatto delle sinistre europee
e di settori cattolici malati di troppa tolleranza.
Il risultato sarà un’Europa irta di minareti e popolata da donne
rese schiave. Per fortuna l’America di Bush, rimasta immune dalla tragedia
in corso, veglia e impartisce dure lezioni ai musulmani ogni volta che
alzano la testa. Occorre però che gli europei affianchino l’alleato,
in quella che sempre di più appare come una nuova guerra di liberazione.
Ieri il nazismo, oggi l’Islam.
Forse è dare troppa importanza alla Fallaci, ma leggendo La
forza della ragione il pensiero corre al Mein Kampf di Hitler. Un testo
che, ai giorni nostri, pochi hanno letto, proprio perché non era
fatto per essere letto: piuttosto era fatto per essere sfogliato. Rigore
logico quasi assente, strutturazione nulla, un continuo divagare, base
scientifica o conoscitiva ridotta a zero.
Solo alcune idee forti erano ripetute di continuo, per catturare l’attenzione
del lettore distratto. Più che di idee si trattava di immagini:
l’Ebreo (poco importava se ricco o povero, se credente o agnostico, se
comunista o nazionalista) quale portatore di malattie misteriose e segrete,
di marciume biologico, di potere contaminante. Al punto che tra Ebreo e
malattia non vi era più differenza: tutta la genia era di volta
in volta la piaga e il suo pus, che l’igiene imponeva di eliminare d’un
colpo solo. Era questa l’idea destinata a restare in mente al lettore che
scorresse anche solo una pagina su cinque.
Non dissimile è il procedimento della ripetizione ossessionante
del medesimo concetto, tra un fiume di parole alla deriva, messo in atto
da Oriana Fallaci. Anche il lettore disattento, letto il suo libro, farà
l’amalgama tra musulmani di ogni età e condizione (riuniti in un’unica
figura, l’Arabo, quale che sia il paese di provenienza, inclusi la Somalia
e l’Iran) e il complotto perverso di cui sono portatori, pari per origine
remota e crudeltà di intenti a quello contemplato dai Protocolli
dei Savi di Sion.
Il conducente algerino della metropolitana di Parigi, il medico siriano
assunto da una clinica di Ginevra, il giovane somalo che studia in Italia,
l’operaio turco di un’officina belga si trovano a loro insaputa, in quanto
musulmani, partecipi di un complotto che ha per capo Bin Laden, e per fine
l’abbattimento della Tour Eiffel.
Argomenti a sostegno della tesi? Oh, i più vari. Si va dalla
strage dei cristiani di Costantinopoli per mano di Maometto II, nel 1453,
al martirio del nobile veneziano Bragadin, nel 1571; dall’obbligo (inventato
di sana pianta) dei cristiani di Granada di inginocchiarsi al passaggio
di un qualsiasi musulmano alla pratica dell’infibulazione, presentata quale
portato naturale dell’Islam e non, malgrado la sua localizzazione africana,
quale frutto esecrabile di tradizioni preesistenti.
Inutile aggiungere che questo condensato strumentale di storia del
mondo arabo, racchiuso nella prima metà del capitolo 1, omette di
menzionare il trattamento che i crociati riservarono ai musulmani quando
riuscirono ad avere la meglio, o quello che, dopo la riconquista di Granada,
l’Inquisizione destinò ai medesimi, anche nel caso in cui avessero
rinunciato alla loro fede.
Ma è inutile perdere tempo in una discussione storiografica.
Oriana Fallaci strumentalizza la storia, di cui conosce poco e della quale
non le importa nulla, solo a sostegno dei due temi che le stanno a cuore.
Il primo: espellere gli immigrati di religione musulmana dall’Europa. Il
secondo: sostenere con motivazioni, sia razziali che culturali, la politica
offensiva degli Stati Uniti di Bush e dell’Israele di Sharon.
Per questo ha composto il proprio libello, spesso confuso e a tratti
delirante. Si tratta del tipico libro destinato a chi non legge libri:
chiunque abbia una conoscenza anche minima dei temi che vi sono affrontati,
capisce immediatamente che l’autrice non ne sa nulla, e che colma con la
bile vuoti culturali impressionanti.
Ciò sfugge, ovviamente, a chi sia digiuno di tutta la tematica.
Infatti è significativo che, non solo in Italia, La forza della
ragione sia finito nelle magre biblioteche di un pubblico che, normalmente,
evita le librerie. Il volume della Fallaci esce dunque dall’ambito storico-letterario,
in cui non esiste, per entrare in quello politico-sociologico. Perché
mai, è il quesito, decine e forse centinaia di migliaia di italiani
hanno comperato un testo tanto vacuo da sfiorare il ridicolo?
Fino agli anni ’80 del secolo appena trascorso il razzismo era, in
Italia, fenomeno non certo sconosciuto, ma tutto sommato marginale. Apparteneva
sostanzialmente al bagaglio ideologico dell’estrema destra, a quel tempo
molto minoritaria. Non apparteneva invece alle coscienze dei cittadini,
se non in quella sua variante che induceva molti italiani del nord a guardare
con disprezzo quelli del sud, ritenuti incivili e abbarbicati a una cultura
arretrata.
In quegli anni non solo un libro come La forza della ragione avrebbe
fatto scandalo, ma nessun grande editore avrebbe accettato di pubblicarlo.
La Fallaci, e anche alcune forze attualmente al governo, addurrebbero a
ciò una facile spiegazione mille volte ripetuta. A loro parere,
tutta la cultura italiana subiva l’egemonia del partito comunista e della
sinistra in genere, che di fatto governavano il paese. Spiegazione che
fa sorridere, se si pensa all’influenza che la cultura americana e il Vaticano
esercitavano in Italia, in una misura non comparabile con nessun altro
paese europeo.
La verità è che, perché il razzismo divenisse
fenomeno “normale” nella penisola, e se ne potesse fare aperta professione
senza suscitare reazioni, erano necessari cambiamenti profondi a livello
strutturale, tali da riflettersi in ambito culturale e politico. A mio
parere, ciò è consistito principalmente in un rafforzamento
molto rapido dei ceti medi, giunti, nel corso degli anni ’80 e ’90, a conquistare
una consapevolezza di se stessi mai avuta prima, e a una larga autonomia
rispetto a scelte e valori della grande borghesia, a cui erano stati fino
a quel momento subalterni.
In Italia, nel periodo considerato, è avvenuta una sorta di
“rivoluzione sociale” analoga a quella operata da Margaret Thatcher in
Gran Bretagna. Si inizia con una rivolta dei quadri di fabbrica contro
i sindacati operai; si prosegue con un sostanziale invito ad arricchirsi
rivolto alla piccola e media borghesia dal leader socialista Bettino Craxi,
negli anni in cui questi è Presidente del Consiglio; si completa
il processo sotto i governi di centrosinistra degli anni ’90, quando l’esortazione
ai ceti medi ad abbandonare il tradizionale risparmio in titoli di Stato
per gettarsi sul mercato azionario fa sorgere dal nulla fortune ingenti.
Vi è molta tolleranza, specie nel periodo Craxi, verso l’evasione
fiscale di piccoli imprenditori e negozianti; e sono soprattutto le piccole
imprese del nord a beneficiare di una protratta svalutazione della moneta,
che favorisce l’esportazione delle merci da loro prodotte.
L’arricchimento dei ceti medio-bassi, blanditi un po’ da tutte le forze
politiche e liberi ormai di accedere ai beni un tempo riservati alla grande
borghesia, fa emergere la cultura di cui sono portatori, grazie anche al
crescente controllo che ormai possono esercitare sui mezzi di comunicazione.
Non è una cultura raffinata, né di radici antiche. Il suo
fulcro è l’egoismo, rivolto sia contro l’egualitarismo di cui la
sinistra è paladina (peraltro sempre più debolmente), sia
contro ogni altra forma di solidarietà o di ingerenza dello Stato
nella vita economico-sociale.
Gli intellettuali, che in Italia raramente hanno brillato per anticonformismo,
si adeguano in fretta. Interi capitoli di storia vengono riscritti, da
quello della resistenza al fascismo, presto criminalizzata, alla rivalutazione
delle imprese coloniali. Se c’è necessità di supporti ideologici
più forti, li si pesca nell’integralismo cattolico più retrivo,
che ormai condiziona numerosi vescovi e cardinali, oppure in frammenti
di pensiero post-fascista – il tutto riverniciato e spacciato per “liberalismo”,
il termine più abusato sia nella politica che nella cultura.
In realtà, questo cocktail di concezioni disparate non costituisce
affatto un’ideologia. Rappresenta piuttosto la legittimazione a posteriori
dell’individualismo dei ceti medi arricchiti di recente. La sua portata
filosofica si riassume in due sole frasi: chi ha forza e denaro è
autorizzato a tutto; chi non ne ha, deve guardarsi dall’intralciarlo o
dal chiedere la sua solidarietà.
Mentre in Italia dilaga la concezione del mondo sommariamente descritta,
iniziano le ondate di immigrazione in massa dai paesi più vicini,
devastati da crisi economiche o da guerre: Albania, Maghreb, paesi dell’Africa
centrale, paesi dell’Europa orientale. Nessuno ha più gli strumenti
culturali o economici per analizzare il fenomeno, né la volontà
di farlo. La reazione è invece di timore e, di conseguenza, di odio.
Non esiste forse già un pensiero dominante che glorifica il potente
e colpevolizza il debole? E chi è più debole di un immigrato
in cerca di lavoro?
Come in altri paesi d’Europa, in Italia si addossano alla nuova immigrazione
tutti i crimini commessi nel paese, sebbene la larga maggioranza dei nuovi
venuti chieda solo di lavorare, e si presti ad attività che la popolazione
locale rifiuta. L’immigrazione stessa, prima con i governi di centrosinistra,
poi soprattutto con quello di centrodestra di Silvio Berlusconi (il cui
partito è affiancato da forze post-fasciste e xenofobe), diventa
un crimine, e gli stranieri in attesa di espulsione sono chiusi in veri
campi di concentramento.
Ciò è comune ad altri paesi europei, dicevo. Quasi solo
in Italia, però, l’odio nei confronti dell’immigrato finisce per
ammantarsi di un’ideologia capace di nobilitarlo. Ciò non ad opera
di piccole formazioni di estrema destra dal peso politico scarso, bensì
per mano di giornalisti e intellettuali che godono di vasta popolarità.
Poiché una larga parte degli immigrati sono di religione musulmana,
l’attentato alle Twin Towers ha offerto l’argomento che mancava. La tesi
dello “scontro di civiltà” sostenuta dai neoconservatori statunitensi
è stata involgarita, caricata di razzismo, saldata al pensiero egoistico
dominante. Mentre alcuni vescovi scoraggiavano i matrimoni tra cattolici
e musulmani e accusavano questi ultimi di volere imporre la loro religione
(sebbene nessun italiano possa dire di essere stato accostato da un musulmano
interessato a convertirlo), su molti giornali penne autorevoli amalgamavano
tutto l’Islam alle correnti integraliste, lo volgevano in caricatura, rievocavano
episodi storici dimenticati da secoli. Finché, a coronamento di
tutta la campagna, non sono intervenuti i libri di Oriana Fallaci a riassumere
l’ignoranza sparsa a piene mani, fino a quel momento, da una piccola ma
agguerrita schiera di seminatori di odio.
C’è da chiedersi quali conseguenze possa avere, nella vita sociale,
un testo come La forza della ragione. Non molta, direi, anche se il suo
successo è di per sé inquietante. La società italiana
contiene per fortuna numerosi anticorpi. Le manifestazioni contro l’invasione
dell’Iraq hanno visto sfilare milioni di giovani, più di quanto
sia accaduto in ogni altro paese occidentale. La solidarietà con
gli immigrati resta più alta di quanto le forze xenofobe si augurerebbero.
Il livore contro i musulmani resta limitato a settori di cittadini molto
circoscritti, e comunque, per quanto alimentato da operazioni di polizia
spesso arbitrarie, non è avvertito come fattore di guerra di civiltà
o di religioni. La stessa Fallaci è fatta oggetto di scherno, che
cresce a ogni sua rara apparizione.
E’ però l’ideologia dell’egoismo, ormai non più sorretta
da fattori materiali, che deve essere abbandonata. Fino a quel momento,
esisterà l’intolleranza e brutti libri come La forza della ragione
troveranno lettori.