Angelo D'Orsi, dal sito http://temi.repubblica.it/micromega-online/, 27 ottobre 2010
Qualunquismo? In un certo senso. Antipolitica? Sicuro. Populismo? Lampante.
Leaderismo? In costruzione. In fondo, se si riflette su questi quattro
elementi, solo uno, il primo (che rinvia al movimento fondato da Guglielmo
Giannini nell’Italia che usciva dalla guerra, e inopinatamente giunto a
esiti elettorali di rilevo, per poi inabissarsi di colpo), è relativamente
estraneo ai caratteri essenziali della leadership politica del tempo presente.
Che cosa accomuna gli homines novi dell’opposizione oggi? Il fatto
che Di Pietro, Vendola e lo stesso Grillo, sono capi, e capi assoluti di
un movimento o partito; capi che non soltanto nella gestione dei loro partiti
(loro anche in senso proprietario), ma anche nei simboli, nei messaggi,
esprimono, da punti diversi della mappa dell’azione politica (compresa
l’antipolitica, che è naturalmente una forma di politica, e tra
le più insidiose ed efficaci, oggi), il nuovo leaderismo. Il quale
è di tipo neopopulistico, e cerca un contatto diretto con la massa
(che nel caso di Grillo sembra essere piuttosto la folla, in carne ed ossa,
ai suoi comizi-spettacoli, o virtuale, attraverso il web o il video).
La massa (o folla), da Grillo in particolare, viene sempre contrapposta
in quanto entità buona alle entità cattive: le istituzioni,
i partiti, i sindacati e quant’altro. Elemento tipico del populismo: popolo
buono versus istituzioni malvagie. Su questa folla Grillo si erge come
un egoarca, che fa e disfa, che tiene in pugno i suoi, che determina le
scelte politiche in modo univoco e indiscusso, che viene seguito e addirittura
adorato come capita non alle divinità da parte dei fedeli, ma ai
succedanei del divino, i divi dello spettacolo, da parte dei fans. Nella
contrapposizione radicale, che nel corso del tempo Grillo ha esacerbato,
immergendo sempre più il suo lessico nelle acque di una torbida
volgarità, la stessa politica esaltata e praticata dai seguaci,
e ovviamente indicata dal leader, è presentata deliberatamente come
una politica contro, come una politica rovesciata, come una politica che
se ne frega, che manda “aff”, i suoi avversari, ma, ahimé, anche
tutti coloro che possano apparire, al grande capo, come ostacoli sul suo
cammino.
Ma dove mena quel cammino? Ricordo – se non sbaglio – che non troppo
tempo fa, sollecitato da più parti, Grillo aveva escluso un suo
candidarsi, in nome di una democrazia più autentica, di un rifiuto
di essere come “loro”. Nulla di male se ci ha ripensato, nulla di male
se decide di partecipare in prima persona alla lotta politica, anche nelle
istituzioni: ben venga. In fondo egli non è un comico che fa politica,
bensì un politico che usa l’arma della satira, pesantissima, condita
di volgarità, appunto.
Sta qui la vera differenza tra lui e i suoi competitors, che non sono
in grado di far ricorso a quel genere di strumento. Di Pietro o Vendola
sono lontanissimi, anche se ciascuno a suo modo sanno affabulare, sanno
persuadere, sanno talora anche trascinare. Grillo sollecita il senso del
comico nella sua forma più profonda e anche greve; che sa far arrivare
il messaggio in modo diretto, senza mediazione alcuna: non occorre essere
”di sinistra”, non necessita neppure un grado di istruzione elevato, né
una formazione o una qualsivoglia esperienza politica. Anzi, il “grillismo”
sembra fatto per acchiappare i delusi della politica, e coloro che dalla
politica si sono sempre tenuti alla larga. In tal senso, pur nell’antipolitica
e nel populismo, pur nel leaderismo, pur nella spettacolarizzazione del
messaggio, Grillo ha svolto una funzione positiva, che nondimeno appare
tante volte ambiguamente gestita, sia dal cesarismo del capo carismatico,
sia dal fideismo dei seguaci.
Non considero Grillo un avversario, né i grillini degli estranei
agli obiettivi per i quali io sono disposto a battermi: anzi, li considero
potenziali alleati. Ma li inviterei sommessamente a stare in guardia contro
lo spettro del qualunquismo che nel comiziare clownesco, ora felice, ora
greve, del “capo”, affiora pericolosamente. Nel messaggio comico, così
come nel messaggio pubblicitario le sfumature, le analisi, le differenze
sono ridotte al minimo: tutto viene azzerato in un Armageddon tra il popolo
dei fedeli – qui mi sia consentito – e la massa degli infedeli. Da una
parte i “giusti”, sicurissimi di essere nel vero, armati dell’arma stessa
del capo, l’ingiuria, la blasfemia, l’urlo, lo sberleffo; dall’altra, coloro
che non seguono quel messia, e che perciò stesso sono denunciati
come servi dei padroni: vecchi o nuovi, questo poco importa.
La politica è arte di guardare lontano, ma è arte che
si fonda sulla capacità di analizzare, momento per momento, le situazioni,
di individuare di volta in volta le forze in campo, di distinguere contraddizioni
principali e secondarie, di stabilire alleanze, sulla base di princìpi
e/o di programmi; di non confondere tutto in una sola, comoda, ma fallace
categoria: i cattivi, che magari, addirittura, possono essere visti nella
Fiom e nella sua dirigenza.
Capisco l’esasperazione dello scontro, ma la necessità di distinguere
amici e nemici ce lo ha insegnato Carl Schmitt; e pur senza giungere alla
sua drammatica concezione della lotta politica, forse vale la pena tutti
di riflettere meglio, con maggior attenzione, ai soggetti sociali che sono
dietro certe parole d’ordine, certi movimenti, certe azioni concrete. Guardare
verso di loro con il dovuto rispetto, pronti ad apprendere, ma disposti
altresì a muovere critiche, con la franchezza dovuta all’interno
di uno schieramento di cui, per ora, ancora, fanno pienamente parte pure
Grillo e i suoi seguaci, anche se la strada che pare intrapresa non incoraggia
il dialogo né il confronto.
Ma nella politica come nella vita, occorrono due virtù, che
ci vengono suggerite da Giacomo Leopardi e, un secolo più tardi,
da Antonio Gramsci: pazienza e ironia.