"Umanità nova", n. 27, 7 novembre 2010
I bollettini economici sono bollettini di guerra. La guerra di classe.
L’offensiva è nella mano dei padroni e dello stato. Dopo una querelle
durata alcune settimane, in questi giorni, il ministro dell’economia, Tremonti,
ha convenuto sul dato della disoccupazione (11% circa) avanzato da Draghi
(Banca d’Italia e, soprattutto, Stability Board) con l’accordo della Marcegaglia
(Confindustria) e di Epifani (CGIL). Il sofisma era determinato dalla valutazione
delle cifre ufficiali di iscritti alle liste (8,3% secondo l’ISTAT) e quell’insieme,
definito “gli scoraggiati”, di lavoratrici e di lavoratori che“non cercano
lavoro”. Secondo la nostra stima il tasso di disoccupazione reale è
significativamente più alto; potrebbe attestarsi intorno ad un 16%
se, oltre agli “scoraggiati” mettiamo quell’insieme di persone che devono
sbarcare il lunario con lavoretti ultraprecari, al nero, sottopagati nel
quale insieme emergono con chiarezza la condizione degli immigrati e delle
donne. D’altra parte sempre l’ISTAT ci informa che il tasso di occupazione
è del 57% vi è quindi un 43% di non-occupati.
È bene tenere presente che il 100% sarebbe rappresentato non
già dai 60 milioni di persone che abitano in Italia, ma solo da
quella fascia di popolazione compresa fra i 15 e i 64 anni e che in questa
fascia non sono compresi coloro che già godono di un trattamento
pensionistico (sia di invalidità che di anzianità, le pensioni
di vecchiaia sono oggi corrisposte solo a chi abbia più di 65 anni).
L’ISTAT stima gli “inattivi” nel 37,9% con il significativo dato del 26,4%
di disoccupazione giovanile. Traduciamo le percentuali in numeri.
60 milioni x 65,7% (fascia 15-64 anni) = 39,5 milioni di persone (popolazione
“attiva”);
39,5 milioni x 57% = 22,5 milioni di occupati e quasi 17 milioni di
non-occupati;
ma se prendiamo il dato “inattivi” 39,5 x 37,9%, gli inattivi sono
circa 15 milioni.
I 2 milioni di differenza sono rappresentati dai “giovani” che sono
“occupati” (studenti) nella scuola e nell’università. Secondo l’Istat,
quindi, i disoccupati “ufficiali” sarebbero (39,5 x 8,3%) circa 3,3 milioni
di lavoratrici e lavoratori. In realtà la cifra dei disoccupati
è molto vicina a 7 milioni ai quali vanno sommati i circa 1,5 milioni
di cassa integrati e i circa 500 mila lavoratori di prossimo licenziamento
(piano Brunetta). È evidente come le prime pagine dei media main-stream
(i grandi giornali che fanno opinione pubblica) quando danno la notizia
dell’11% di disoccupazione diffondano una colossale bugia, ben consapevoli
di diffonderla. La realtà è che abbiamo circa 9 milioni di
persone che non hanno un reddito (per quanto minimo) garantito (circa il
15% di tutta la popolazione) e che anche la grande massa di pensionati
(35% della popolazione) vive ai minimi di sussistenza (il 70% delle pensioni
non supera i 600 euro). Questo basterebbe a mettere in evidenza il carattere
dittatoriale delle “relazioni sociali”. A questo dobbiamo aggiungere l’andamento
dei prezzi. Scapperebbe la battuta: ma chi non ha reddito cosa se ne fa
di sapere se i prezzi aumentano o meno visto che non ha soldi per comprare?
Moltissimi, oltre l’85% della popolazione, in realtà, ha a che fare
con questa questione; che lavori o sia disoccupato, che abbia la pensione
o debba rubare, con l’andamento dei prezzi ci deve comunque fare i conti.
Anche il nostro beneamato ladro (ovviamente il nostro ruba mele e galline,
altrimenti sarebbe al governo) quando si fa i conti in tasca vede che il
frutto del suo “onesto” lavoro non è sufficiente a sfamare le bocche
per le quali ha commesso il furto. I dati ufficiali ed anche i siti della
“sinistra” ci dicono che l’inflazione è all’1,3%. Ovviamente si
deve andare a scavare. Intanto (fonte IRES-CGIL) sappiamo che quello che
potevamo comprare nel 2000 con 1000 euro ora lo possiamo comprare se abbiano
1350 euro. Ed è, ovviamente, ancora un dato sottostimato. Prendiamo
il caso del pane che è aumentato di 3 volte negli ultimi cinque
anni (300%); della frutta che è aumentata della metà (50%);
degli affitti che sono aumentati del 20%; dei biglietti di autobus e treni
(locali) del 15% (mentre se uno vuole viaggiare in tempo deve spendere
più del doppio su Eurostar e TV); delle rette degli asili (+ 30%
e drastica diminuzione dei posti disponibili; chi è fuori si deve
accontentare delle scuole private che costano il 250% in più rispetto
quelle pubbliche); del gas da riscaldamento (+25%); dei carburanti per
l’auto (+ 15%). Certo è che per telefonare si spende meno. Così
quando uno ha fame può mandare un sms a 1 cent e aspettare che qualcuno
gli risponda! Alcuni elettrodomestici (in particolare gli apparecchi televisivi)
costano molto meno. Si può guardare una delle tante trasmissioni
culinarie e sfamarsi con gli occhi! Anche comprare una casa costa meno.
Ma chi ce li ha i soldi? I soliti che potranno aumentare i loro patrimoni
mentre tutti gli altri (sempre questa insaziabile maggioranza) potranno
dormire sotto i ponti!!!
W.S.
Nota:
i dati ISTAT http://www.istat.it/salastampa/comunicati/in_calendario/occprov/20101029
i dati sull’inflazione http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001930.html
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