Flaviano De Luca, "il Manifesto", 20 settembre 2002
Con i tragici fatti di cronaca di questi giorni- sbarchi di immigrati
che si susseguono un po' dovunque, dal mare ai camion-, ha una stretta
parentela. Ma fortunatamente Nemmeno in un sogno, il debutto alla regia
di Gianluca Greco, da oggi nelle sale
cinematografiche, ha scelto il registro fiabesco e ironico, un leggero
tocco surreale per rappresentare manie e fobie dell'Italia odierna. Capita
così che un pastore «armengistano» Ahmed (l'attore
turco Ahmet Ugurlu) parta su una carretta del mare
con la famiglia alla volta della costa adriatica, approdando per errore
sulla spiaggia di un villaggio turistico nella giornata d'arrivo dei vacanzieri.
«Qualche anno fa avvenne realmente che un gruppo di profughi sbarcò,
nella notte di Ferragosto, nei pressi di un
club di vacanze in Puglia - ha detto il regista in conferenza stampa
raccontando lo spunto dietro la sceneggiatura, scritta insieme con Doriana
Leondeff e Francesco Piccolo - I villeggianti immaginarono si trattasse
di una sorpresa organizzata e gli immigrati che i fuochi d'artificio fossero
un segno di benvenuto». E così Ahmed si trova a parlare col
linguaggio degli spot televisivi (captati con un antenna satellitare),
a seguire i ritmi indolenti e saltellanti di una giornata-tipo tra ginnastica
in piscina, canzonette idiote, colorate coreografie e tristi spettacoli
serali. Da lì nascono una serie di equivoci che scandiscono una
vicenda divertente, dove si intrecciano due criminali totalmente sciocchi
(Giuseppe Battiston e Roberto De Francesco, al suo primo ruolo comico)
a caccia di una valigetta, i vacanzieri appesantiti dal benessere in cerca
di facile shopping e avventure sentimentali e l'incredulità degli
altri profughi, ospitati in un centro d'accoglienza.
L'innocenza di Ahmed si trovano a cozzare ripetutamente contro questo
chiassoso baraccone, questo vuoto Bel Paese che insegue a tutti i costi
la superficialità, l'apparenza e la ricchezza, dove ognuno cerca
di fregare il prossimo, in maniera chiara o nascosta. Una satira evidente
che sconfina nel nonsense col profugo sdentato che ride sempre, una specie
di matto da paese che intuisce in anticipo avvenimenti e decisioni importanti.
Tra una sbandata pulp (un comitato di occhialute matrone popolari che
guida le attività illegali) e qualche inevitabile citazione (da
Hollywood Party a Morte a Venezia), il film alterna risate, situazioni
buffe e momenti corali, trovando l'unica vera voce di
saggezza in una bambina (Nicole Murgia) che spiega la vita del villaggio.
E le relazioni interpersonali come la storia d'amore e d'interesse tra
una ragazza avvenente (Martina Stella) e un abile imprenditore truffaldino
(Andrea Prodan) con i suoi fondi
d'investimento Miliardaire.
«Il personaggio che interpreto- ha spiegato la bionda attrice
toscana, lanciata dal successo di L'ultimo bacio - mi piace perché
mi ha dato la possibilità di esagerare, di prendermi un po' in giro
e di scherzare. È una sognatrice che trae grandi insegnamenti dal
pastore e vorrei, nella vita vera, incontrare anch'io una persona così».
Purtroppo la favola finisce come nella realtà, con il pastore Ahmed
e la sua famiglia rimandati indietro tra le sperdute montagne a rimuginare
sul «sogno italiano», in finta plastica e massiccia ipocrisia.