Gaspare De Caro e Roberto De Caro, www.carmillaonline.org, 1 giugno 2007
[Abbiamo già recensito il volume La sinistra in guerra, scritto da due dei nostri collaboratori più apprezzati, Gaspare De Caro e Roberto De Caro. Proponiamo ora, per la sua stringente attualità, uno dei capitoli del libro, già apparso su Hortus Musicus n. 10, aprile-giugno 2002.]
1. Arte denigratoria. Ossia, come ti eccito le folle e ti ingolosisco i servizi segreti.
"La stupidità, per farsi rispettare, inventò l’ingiustizia.
Perché essere ingiusto è, almeno, essere qualcosa."
(José Ortega y Gasset, Meditazioni del Chisciotte)
Prendete un benintenzionato nessuno pacifista, disposto in una pesca
televisiva ad ingoiare esca, amo e canna. Prendete poi il più bello
del reame, con nomea popolare di intellettuale e addirittura di critico
d’arte, beniamino delle signore, del sacro emiciclo e dei telespot. Metteteli
insieme a discutere non di film dei fratelli Vanzina, come sarebbe giusto,
ma di bombe sulle popolazioni afgane, tanto per passare la serata.
Il risultato è sicuro. Il pacifista comincia a strillare pace,
pace, pace, perché – dice – lui è per la pace. Ma allora
– replica perentoriamente quell’altro – tu non avresti combattuto neanche
il nazismo. A questo punto il dibattito è già finito, anche
se continuano per un pezzo a dirsi l’uno pace pace pace e l’altro, trionfante
ma con qualche prevaricazione logica, nazista nazista nazista. Come previsto
dalle regole della persuasione democratica, le plebi televisive vanno a
dormire senza sospetto, sognando fantasmagorie su Kabul e magari su Bagdad
e Mogadiscio. Le cose non andrebbero così se il pacifista, non frenato
dalla coda di paglia di certe sue sinistre frequentazioni belliciste, arricchisse
di una battuta eterodossa lo scarso repertorio. Nazista sarà lei,
potrebbe dire, lei e le bombe dei suoi amici. Invece, niente. Tutto troppo
facile!
Con la carta stampata non è così semplice. Nella presunzione
magari esagerata dell’alfabetismo dei lettori occorre darsi l’aria di argomentare,
usare strumenti logici raffinati come l’anfibolia, la fallacia compositionis,
la fallacia divisionis, l’ignoratio elenchi. Per questo occorre un personaggio
ad alta qualifica professionale, opportunamente addestrato on persuasion
in appositi stages. È l’Opinionista. Non lasciatevi ingannare dalla
modestia del titolo: al modico prezzo di una copia del giornale, lui non
ci dà la sua opinione, ci dà quotidianamente la Verità
in cui bisogna credere. Definitiva, finché Chi può non gli
dice di cambiarla. Insomma, si parla di lui quando si parla, con qualche
esagerazione, di Quarto Potere; o, amplificando ancora un po’, di Libertà
di Stampa. C’è persino qualcuno che identifica la sua esistenza
con la Civiltà stessa, ma appunto non è convinzione unanime.
Non vorrei però pronunciarmi in proposito. Dell’Opinionista, per
amore dell’arte, vorrei piuttosto sottolineare la virtuosistica magia comunicativa,
attraverso un esempio che si presta bene anche ad un vantaggioso confronto
con le più rudimentali procedure della persuasione televisiva.
Nel Venerdì di Repubblica del 4 gennaio 2002, che sin dalla
copertina ostentava smodate ambizioni culturali esibendo orgiasticamente
la faccia di Umberto Eco, chi riemergeva inopinatamente dalle nebbie del
passato, dicendo anche lui la sua sul tragico caso delle Torri Gemelle?
Niente meno che Bobby Fischer, il geniale, invitto scacchista statunitense,
da dieci anni impegnato in una partita a nascondino con l’FBI per certe
inadempienze fiscali e altri addebiti. Sarò imperdonabile se confesso
che di conoscere il parere di Bobby Fischer sulla strage di Manhattan non
sentivo per nulla il bisogno? Il fatto è che Fischer è uno
dei mostruosi doni bicefali che il gigantismo statunitense ci riserva di
tempo in tempo, come il meglio e il peggio del cinema, Toro Seduto e il
generale Custer, Martin Luther King e il senatore McCarthy, J.F. Kennedy
e J.F. Kennedy. Fischer, il campione che sfidò e vinse l’Impero
del Male prima di papa Wojtyla, il genio con un quoziente di intelligenza
da ingelosire Einstein, convive con un mister Hyde abbastanza ingombrante.
Ebreo che odia gli ebrei, americano che odia gli americani, estimatore
dichiarato di Hitler, glielo avreste chiesto voi un parere sulle Torri
Gemelle o lo avreste lasciato a sbrigarsela con la sua follia e il fisco
americano? Riccardo Staglianò (Il re degli scacchi che non piange
per le Due Torri), no, non si è astenuto e ha avuto le risposte
cui il suo scoop anelava: «una notizia meravigliosa», quella
dell’eccidio; «è arrivato il momento di farla finita con gli
Stati Uniti una volta per tutte»; «sono stato felice e non
potevo credere a cosa stava accadendo. Dopo tutti i crimini che il mio
paese ha commesso nel mondo, ciò dimostra che quel che è
fatto è reso». Be’, chiunque lo vede, ormai Fischer deve avere
problemi di analisi più col suo psichiatra che con la scacchiera.
Ma anche noi abbiamo un problema: che cosa induce Staglianò
a rovistare nella pazza pattumiera del vecchio naziscacchista? Forse il
gusto un po’ perverso del collezionista di orrori e di stravaganze, che
un tempo induceva a raccogliere nella Wunderkammer feti a due teste, uova
di ornitorinco e crani dei santi da piccoli? Non escluderei questa ipotesi
(non conosco abbastanza Staglianò), se un indizio nello stesso articolo
non orientasse diversamente la ricerca. Accostate al corredo fotografico
dei trionfi scacchistici e a quello comprensibilmente più scarso
della latitanza, che cosa ci fanno le fotografie di Noam Chomsky, Susan
Sontag e Gore Vidal? Una didascalia, piccolo gioiello di ipocrisia giornalistica
– «Gli americani che accusano l’America» –, associa tematicamente
i tre scrittori tra loro e fisicamente, per induzione, allo scacchista
folle. In effetti chi potrebbe asserire che la didascalia è scorretta?
Non da oggi i tre esprimono pubblicamente il loro dissenso dalla politica
degli Stati Uniti. E che ci sia qualche relazione tra tale dissenso e la
paranoia neonazista di Fischer, al di là della promiscuità
suggerita dall’astuto accostamento redazionale Staglianò si guarda
bene dall’affermarlo. Tartufo lascia che il lettore tiri da sé le
conclusioni; Tartufo, deontologicamente, si limita a informarlo dei fatti.
Certo, è possibile che il lettore non tragga le conclusioni
giuste o non con il tempismo desiderabile. Con i lettori di Repubblica
può accadere. In questa eventualità la deontologia offre
la scappatoia del commento deontologicamente separato dall’informazione.
Il commento però non è più compito di Staglianò,
che nella scuderia del Venerdì deve avere un ruolo utile ma un po’
depresso. Ecco dunque scendere in campo, nelle vesti talari dell’Opinionista,
addirittura il vicedirettore del giornale e direttore dello stesso Venerdì,
Paolo Garimberti (Quegli americani contro), con il quale la denigrazione
del dissenso non solo diventa da implicita esplicita, come è privilegio
dell’Opinionista, ma assume la somma autorità della Repubblica,
non accreditabile ai gregari. Di per sé la reazione di Fischer «non
meriterebbe alcuna attenzione», opina l’Opinionista, sdegnoso quasi
che a darle spazio fosse stata la concorrenza. Ma, lesto di mano come un
mago delle tre carte, aggiunge che non meriterebbe attenzione «se
non riflettesse un atteggiamento diffuso tra certi intellettuali americani».
E giù i nomi di Chomsky, Sontag e Vidal. Ora il riflesso è
il riflesso, uno specchio è uno specchio e l’Opinionista opina amaramente
che le opinioni politiche espresse, con «parecchi» altri intellettuali,
dai tre dissenzienti citati coincidono specularmente con quelle naziste
di Fischer. La prova? La prova è che i dissenzianti dissentono «senza
neppure spendere troppe parole di pietà per le vittime di un atroce
attentato». Non dice che non esprimano pietà, perché
potrebbe essere filologicamente smentito, ma che non ne esprimano abbastanza,
e questo non può essere smentito. Quand’è abbastanza la pietà?
E quand’è abbastanza per l’Opinionista? Insomma la volpina tesi
del rispecchiamento è dimostrata. Dunque non servono le sfumature,
non serve distinguere dissenso da dissenso. No, è proprio il dissenso
che non può essere ammesso. «Chi non è con me è
contro di me», lo ha detto Lui, ripetendo quell’altro Lui. Potrebbe
opinare in contrario l’Opinionista? No, non può, per sua natura.
Qualcuno non è d’accordo? Nazista nazista nazista.
Certo, il risultato è lo stesso della rozza sceneggiata televisiva,
ma come non compiacersi di uno stile tanto più sofisticato? Con
inquisitori perspicaci e dialettici come Garimberti, Chomsky, per esempio,
che bisogno ha di farsi processare dai Turchi? E d’altra parte con le sue
migliori risorse la Repubblica ha stanato e indicato al vigile sospetto
delle folle nemici ben più subdoli del nessuno pacifista della telemattanza.
«Quando sento parlare di cultura metto mano alla pistola» dicevano
quelli che Garimberti sa. Quanto a lui, Garimberti, non gli sta bene nemmeno
l’acculturazione della CIA, tra le ragioni, a suo dire – per difetto di
più sbrigativa prevenzione e dissuasione –, di tanta perdurante
ostilità contro la politica degli Stati Uniti. I «ranghi medio-alti»
del servizio segreto americano, opina macabro e incontentabile, «sono
stati riempiti da giovanotti piuttosto snob con master nelle migliori università
e sono stati svuotati dei vecchi agenti operativi, con meno lauree e meno
puzza sotto il naso, ma molta più esperienza sul campo: gente che
sapeva cogliere i venti e gli umori del mondo e, all’occorrenza, era pronta
a sporcarsi le mani per il bene della causa». Ah! le mani sporche
della CIA! Chomsky, Sontag, Vidal, attenti a voi! Garimberti non ha pietà.
Non abbastanza.
2. Arte della memoria. Ovvero, come ricordare il futuro e dimenticare il passato.
"Io se fossi dio
maledirei davvero i giornalisti,
e specialmente tutti, che certamente
non sono brave persone
e dove cogli cogli sempre bene."
(Giorgio Gaber - Sandro Luporini, Io se fossi dio)
A proposito di deontologia degli opinionisti. In La maschera intollerante,
la Repubblica, 2 febbraio 2002, Giovanni Valentini si propone di illustrare
agli scettici la differenza tra Destra e Sinistra. Bene, era ora che qualcuno
lo facesse. E se qualcuno poteva farlo era sicuramente un opinionista di
Repubblica. Secondo Valentini gli emendamenti del governo Berlusconi alla
legge sull’immigrazione, che affidano compiti di polizia alla Marina militare,
«offrono una rappresentazione esemplare di ciò che distingue
i due schieramenti oggi in Italia. Da una parte, il ricorso alla forza
e alle armi; dall’altra, la ricerca dell’ordine e della convivenza pacifica».
E, perché non sia dubbio a chi spetti la parte peggiore, Valentini
spiega che del problema «grave e urgente» dell’immigrazione,
«e in particolare di quella clandestina», la Sinistra si fece
carico, sin dal tempo del governo Prodi, con la legge Turco-Napolitano
(due personaggi, sia detto per inciso, che presi insieme, fifty-fifty,
per umanità e partecipazione ai dolori del mondo, sono un po’ la
Madre Teresa di Calcutta della Sinistra italiana, come tra l’altro possono
testimoniare rispettivamente l’inconsolabile rimpianto dei poliziotti e
l’ingrata memoria delle prostitute). La legge era «imperniata su
due cardini»: le quote d’ingresso («in rapporto soprattutto
alle richieste del mercato del lavoro», ça va sans dire) e
le procedure di espulsione. Solo legislativo l’impegno umanitario della
Sinistra? Be’, si sa, la legge non basta mai. Per riconoscere che in questa
materia sono necessari «strumenti più incisivi ed efficaci»,
opina Valentini, «non c’è bisogno di essere o diventare forcaioli».
È vero, non c’è bisogno: però aiuta. Pudico e misterioso,
Valentini non dice di più. Ma è un silenzio che urla.
A questo quadro piuttosto sfocato della politica immigratoria della
Sinistra Valentini oppone l’angosciato presagio di ciò che può
accadere ora che «il governo Berlusconi si toglie la maschera della
moderazione e mostra il suo volto nascosto: quello dell’intolleranza leghista
e della radicalità ex o post-fascista». Be’, in verità
c’è di che preoccuparsi. «Attribuire ora funzioni di polizia
alle navi militari equivale in pratica a dichiarare lo ‘stato di guerra’
verso gli immigrati, autorizzando anche l’uso delle armi per fermarli.
Ciò significa forse che la Marina italiana potrà aprire il
fuoco contro le ‘carrette del mare’, colpirle ed eventualmente affondarle,
per impedire che superino il limite delle acque territoriali e sbarchino
il loro carico di disperati sulle nostre coste?».
Sentite in questo terribile interrogativo tutta l’apprensione umanitaria
dell’opinionista? Sentite tutto il suo orrore per i futuri delitti della
Destra? Be’, risparmiate la vostra commozione, riservatela agli immigrati,
che un atroce destino democratico, equanime per la par condicio, a turno
consegna alle cure della Destra e della Sinistra. L’interrogativo di Valentini
è pura retorica, astutamente fiduciosa nella sicura smemoratezza
dei lettori. Tutto ciò che Valentini ostenta di temere dall’avvenire,
dall’anima leghista e fascista del governo Berlusconi, è già
successo: lo ha fatto la Sinistra, sull’anima della quale il dibattito
è libero. Come il gatto nasconde le sue cosine, il complice, esperto
silenzio di Valentini nasconde la massima impresa umanitaria della Sinistra
di governo: l’affondamento nelle acque di Otranto, ad opera appunto della
Marina militare, di una «carretta del mare» carica di profughi
albanesi. Era il 28 marzo 1997, il governo quello dell’onorevole Prodi,
con la ruota di scorta dell’altrettanto onorevole Veltroni. Ne morirono
più di cento: erano anche loro, come quelli che Valentini si aspetta
dal futuro, «un fantomatico esercito, composto da uomini e donne,
giovani e bambini, disarmati, inermi, affamati e assetati». Certo
erano colpevoli: per loro non c’erano abbastanza «richieste del mercato
del lavoro».
Checché ne dica Valentini (e non è necessariamente ciò
che sa), è difficile che la Destra riesca a far di meglio. Però,
poiché la democrazia ha i suoi riti, di una cosa possiamo essere
sicuri. Al tempo dell’affondamento della nave albanese, Berlusconi andò
a spargere sincere lacrime di cordoglio sui profughi affogati dalla Sinistra
di governo. Vedrete che all’occasione la Sinistra, tornata Sinistra di
lotta, non mancherà al suo dovere. Quando toccherà a Berlusconi
disciplinare con la ferocia necessaria i flussi sul «mercato del
lavoro», sentirete che singhiozzi!
Un’ultima osservazione. Un opinionista non dà mai gratis la
sua opinione, tanto meno una silenziosa menzogna. Che cosa si aspetta dunque
Valentini dal suo confronto sapientemente reticente e raccapricciante tra
Destra e Sinistra? Lui non lo nasconde: si è aperta la stagione
della pesca all’elettore e la Repubblica non ammette defezioni. «D’ora
in poi anche l’onorevole Bertinotti e le anime inquiete dell’Ulivo riusciranno
forse a comprendere meglio l’ispirazione di questa maggioranza parlamentare,
a valutare le conseguenze e gli effetti di un esito elettorale che hanno
disinvoltamente contribuito a determinare». Abbastanza disinvolto
anche lui, Valentini sta imputando alle capricciose inadempienze elettorali
di Bertinotti e altre «anime inquiete» le prevedibili inumanità
della Destra contro il popolo dei migranti. Be’, chi crede di impressionare?
A proposito di migranti le «anime inquiete» hanno già
dato. Quando affondò la nave dei profughi albanesi la Sinistra era
al gran completo, Bertinotti compreso.