Giuseppe D'Avanzo, "la Repubblica", 23 novembre 2000
Se leggi il più acuto e disincantato osservatore della politica italiana, non può non venirti l' acquolina alla bocca. Filippo Ceccarelli (l' acuto osservatore) recensisce per La Stampa la fatica memorialistica di Francesco Cossiga ("La passione e la politica", Rizzoli) e non controlla il suo entusiasmo. Scrive: "Uno dei più straordinari documenti che la pubblicistica italiana abbia mai prodotto". Aggiunge ancora: "Una manna, una miniera, una grandine, una sagra di aneddoti che ne fanno uno dei più tosti e completi ' diari di potere' che siano stati compilati negli ultimi anni". Come non essere curiosissimi? Come resistere alla tentazione di affrontare le quattrocento e passa pagine complete di prefazione e appendice? E come non restare con un palmo di naso nello scoprire pagina dopo pagina che - manna, miniera, grandine - Francesco Cossiga è l' uomo che non sapeva mai? LE COSE gli accadono intorno. Conosce tutti, incontra tutti, con tutti conversa e tutti confessa, amici e nemici. Studia le loro vite e legami e ambizioni e tentazioni. E' protagonista, testimone, osservatore privilegiato, anche a volte vittima di complotti e trappole, ma di quel che accade, di quel che gli accade non sa mai niente. E' al vertice dello Stato, sottosegretario, ministro, presidente del Consiglio, presidente del Senato, presidente della Repubblica e nessuno gli dice mai nulla, nessuno si prende la briga di informarlo o di consegnargli qualche lacerto di verità o di metterlo almeno sulla strada. Niente. Nessuno ha voglia o la necessità o l' obbligo di dirgli alcunché. Né, per la verità, pare che Cossiga abbia interesse a interrogarsi sull' identità di chi - collega di partito, papavero della burocrazia di Stato, governante di Paese alleato - spinge la slealtà fino al punto di tacere i fatti e le intenzioni con l' alta autorità che Cossiga ha spesso rappresentato negli ultimi trent' anni. E dire che l' uomo non è uno sprovveduto. Ha studiato intelligence e security, assicura, e "in molti Servizi esteri - parole sue - c' era e ancora c' è la convinzione che fossi ' uno di loro' : e in parte era vero!". Il presidente Jimmy Carter, durante una visita di Stato a Washington, gli chiede un consiglio per la riforma della normativa della comunità di intelligence filoamericana così esordendo: "Lei, che se ne intende...". Un "servizio segreto di tutto rispetto" addirittura gli affibbia un nome in codice, "Cesare". Francesco Cossiga è amico di William Colby, il capo della Cia, capostazione in Italia durante la Guerra Fredda. E' amico di Thomas Montgomery, già residente della Cia, prima a Vienna e poi a Roma, e quindi "alternative representative" degli Stati Uniti all' Onu. Purtroppo la buona reputazione di Cossiga serve al di là dei confini italiani. Al di qua nessuno dice niente all' uomo che non sapeva mai. Nemmeno quando al centro dell' intrigo c' è lui, Cossiga. Per un palmo non ci rimette l' osso del collo (politico, naturalmente) quando salta fuori che da presidente del Consiglio ha discusso la posizione del terrorista Marco Donat Cattin con il padre Carlo Donat Cattin, in qualche modo favorendone la latitanza, e che fa quel diavolaccio di Carlo Alberto Dalla Chiesa ("Per me avrebbe fatto tutto o quasi")? Tace. "Carlo Alberto Dalla Chiesa ritenne sempre che il pasticcio in cui ero stato trascinato con il caso Donat Cattin fosse un trappola. Non fece in tempo a dirmi - e aveva assicurato che un giorno me lo avrebbe confidato - tesa da chi". Salta un treno alla stazione di Bologna. E Cossiga: "Mi hanno tempestato perché dicessi quello che so. Io non so nulla". Viene giù un aereo nel mare di Ustica e Cossiga, che in quei mesi è presidente del Consiglio, deve annotare nelle sue memorie: "Io non so nulla di più di quello che sa il comune mortale". E' ministro dell' Interno quando ai vertici delle barbe finte di casa nostra si registra un affollamento di iscritti alla loggia massonica Propaganda 2, come Giulio Grassini, ma che ne poteva sapere Cossiga? Certo oggi, che molta acqua è passata sotto i ponti, sa che "Grassini, di tradizione massonica come molti generali dei Carabinieri, massone come il fratello e credo anche il padre, credeva di potersi servire di Gelli come fonte di informazione. Io ignoravo però tutto questo". Cossiga sa che è stato forse "Aldo Moro il governante più capace nell' utilizzare i Servizi nell' interesse del Paese". Di Aldo Moro, Cossiga è amico e discepolo. E' Moro che lo ha politicamente "creato". E' Moro che gli affida il laborioso compito di sbarrare il passo a una legge di riforma dei Servizi che Andreotti ha ideato. Purtroppo Aldo Moro non gli racconta poi più di tanto. Scrive Cossiga: "Non posso non citare quella grande operazione (organizzata da Moro) di cui anche io non sono riuscito a sapere quasi niente e cioè un accordo con le forze della resistenza palestinese che ha messo l' Italia per lungo tempo al riparo da attentati..". E' vero "gli uomini di fiducia di Moro erano il generale Miceli, il colonnello Giovannone, il generale Santovito". Per Cossiga "nutrivano un grande affetto", ma "non mi hanno mai detto una parola". Mannaggia. Tuttavia ci sono altre questioni che Cossiga conosce o sembra conoscere benissimo. Mitrokhin, ad esempio. Il dossier recapitato da Londra a Roma è, pare, ben poca cosa. Cossiga avverte: "Da informazioni che mi sono state date esistono altre carte. Sono informazioni che ho passato a chi di dovere". O sulla morte di Falcone. Ricorda il senatore a vita: "E' strano, ma proprio durante la gestione Falcone, la Procura generale dell' Unione Sovietica prima e quella della Russia dopo, domandarono la nostra collaborazione per cercare i fondi che il governo sovietico - e quello russo - ritenevano illegalmente trasferiti tramite il Pcus e il Kgb disciolto e riformato. (...) Non è vero che io avessi dato a Falcone l' incarico di occuparsi di questa faccenda: tra l' altro, non ne avrei avuto l' autorità. Sapevo però che proprio Giovanni Falcone era stato invitato, anche a questo scopo, a Mosca. Ma non ci arrivò mai perché una settimana prima del viaggio saltò in aria". PuO' essere questa, sembra suggerire Cossiga, la ragione che ha messo in movimento in tutta fretta gli assassini del giudice. E' questa la ragione? Come è ovvio, Cossiga non lo sa. Come non sa che l' ultimo rovello di Giovanni Falcone è stato Gladio. Si chiedeva infatti il magistrato: ma perché quella struttura segreta ideata e organizzata per far fronte a una possibile invasione comunista da Est non aveva una sua presenza in Sicilia? Ma di Sicilia Francesco Cossiga si è sempre occupato poco. Quando lo interrogarono al processo contro Giulio Andreotti (poi assolto) gli chiesero se avesse mai saputo di rapporti tra la mafia e le istituzioni (e sapere significava anche intuire, desumere, intendere, afferrare). L' uomo che non sapeva mai rispose di non avere mai saputo che quei rapporti, "anche sotterranei", ci fossero. L' uomo, che non sapeva mai, almeno qualche volta poteva chiedere. O no?