Giorgio Cremaschi, www.rete28aprile.it, 20 novembre 2012
Il patto sulla produttività rappresenta un concentrato delle
ideologie reazionarie e della programmata iniquità che è
alla base della agenda Monti.
La tesi di fondo che l'ispira è un brutale imbroglio di classe.
La produttività italiana ha toccato il massimo negli anni 70,
quando il potere dei lavoratori nelle imprese e nel mercato del lavoro
era al massimo. Da allora è sempre declinata, fino a crollare quando
il sistema economico è stato strangolato dai vincoli dell'euro e
del liberismo europeo.
In tutti questi anni il salario ha solo perso posizioni, sia
rispetto ai profitti sia nel confronto con gli altri paesi Ocse.
Un operaio italiano in un anno lavora due mesi in più del suo equivalente
tedesco, eppure la produttività della Germania è ai vertici.
Allora perché in Italia si fa un accordo che chiede a chi lavora
ancora più orario in cambio di ancor meno salario? Per
la stessa ragione per la quale Monti vanta oggi il più feroce sistema
pensionistico europeo, la massima flessibilità del lavoro i più
brutali tagli alla scuola pubblica e allo stato sociale, e allo stesso
tempo proclama che questo è solo l'inizio e pretende
che i suoi successori di centrosinistra continuino sulla stessa strada.
Perché c'é un metodo in questa follia. Se l'Italia
deve sottostare ai drastici vincoli dei patti di stabilità europea,
delle banche e della finanza, della moneta unica, dei governi conservatori,
se il sistema delle imprese vuole incrementare i margini di profitto nonostante
la crisi, allora è chiaro che l'unica leva che rimane , l'unica
reale flessibilità è quella che viene dal supersfruttamento
del lavoro.
Il patto sulla produttività estende ovunque il sistema Marchionne:
i pochi che ancora lavorano devono accettare di farlo ai prezzi del
mercato globale, altro che contratti e diritti.
Tutto questo non ha nulla a che fare con la difesa dell'occupazione
ma solo con quella dei profitti. Anzi la disoccupazione di massa è
indispensabile per costringere i lavoratori a piegarsi al supersfruttamento
. La disoccupazione deve restare e crescere, altrimenti il modello non
funziona.
A tale fine il governo mette a disposizione la riduzione delle
tasse solo per il salario flessibile. Mentre alla maggioranza dei lavoratori
viene calata la paga, una minoranza può mantenere il potere d'acquisto
se lavora di più in una azienda che va bene, e solo questa
minoranza avrà meno tasse suula busta paga. Questo mentre non
si trovano più i fondi per la cassa integrazione o per l'indennità
di disoccupazione.
Questo non è solo un accordo sindacale è un progetto
di selezione sociale. Ed è la vera risposta alla crisi di Monti
e degli interessi di classe che rappresenta. Interessi che impongono
una svalutazione sociale del lavoro sempre più brutale, visto
che quella che dura da trent'anni non è stata sufficiente.
Questo modello sociale reazionario si appoggia su un sistema corporativo
di caste e interessi burocratici organizzati. Tutto il sistema delle imprese,
comprese naturalmente le cooperative e le piccole aziende strettamente
legate a partito democratico, ha sottoscritto con entusiasmo il testo.
Tra i sindacati, i firmatari sono tutti coloro che hanno già
sottoscritto le stesse condizioni alla Fiat, ricevendone in cambio
la facoltà di sopravvivere protetti dal padrone.
La Cgil finora non ha aderito all'accordo, ma annaspando in un mare
di contraddizioni e incertezze.
Il patto sulla produttività è in pochi anni il terzo
accordo interconfederale che devasta il contratto nazionale e tutto il
potere di contrattazione del lavoro. Il primo nel gennaio 2009 non è
stato sottoscritto dalla Cgil. Il secondo, in pura continuità
con il precedente, il 28 giugno del 2011 è invece stato firmato
dalla stessa Cgil, che anzi con la Fiom oggi ne rivendica la
piena applicazione. Ora il patto sulla produttività scioglie ai
danni dei lavoratori alcune formule ambigue dell'accordo precedente, demolendo
definitivamente il contratto nazionale.
Ma firmare una volta sì e una no non costruisce un'alternativa
al cedimento, a maggior ragione poi quando i principali contratti sottoscritti
in questa stagione già dispensano un'orgia di flessibilità
e solo nei meccanici la contrattazione è separata.
Il no della Cgil è dunque di fronte al solito bivio ove
da tempo si dividono tutte le posizioni critiche verso il liberismo. Si
fa sul serio, oppure si testimonia il dissenso e poi ci si adatta alle
nuove schiavitù ricercando il male minore?
Il bivio dei contratti è lo stesso della politica.
Il centrosinistra ha già deciso di far finta di superare Monti,
mentre sottoscrive tutte gli impegni assunti dall'attuale governo. La Cgil
seguirà la stessa strada, cedendo con adeguata fermezza alla cancellazione
di ogni solidarietà contrattuale tra i lavoratori?
Se non si vuole seguire un copione già recitato tante volte,
non basta non firmare l'accordo. Se non si è d'accordo con il patto
sulla produttività, bisogna combatterlo, disobbedire alle sue regole,
scontrarsi con chi invece le accetta.
O si sta, anche solo passivamente, con Monti, la sua politica
, i suoi accordi, o si sta contro di essi e contro chi li sostiene,
in mezzo ci sono solo impotenza e ipocrisia.