Francesco Colonna, http://espresso.repubblica.it/, 14 novembre 2012
La spesa pubblica? Non è il problema principale, conta di più
il debito privato di banche e imprese. La ricetta per uscire dalla crisi?
Non l'austerity che la Bce sta imponendo all'Italia e agli altri Piigs
(Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) ma la crescita, anche finanziata
dallo Stato.
Non sono le tesi di un politico in cerca di consensi ma le convinzioni
di una nutrito gruppo di economisti. «Anzi», spiega Alberto
Bagnai, docente di economia politica all'Università di Pescara,
«è l'opinione maggioritaria della comunità accademica
internazionale.
Che alla base della crisi europea ci siano gli squilibri nella bilancia
dei pagamenti tra i Paesi dell'Eurozona e non i loro debiti pubblici lo
sostengono quasi tutti gli addetti ai lavori.
Con l'eccezione degli economisti legati alla Bce, in chiaro conflitto
di interessi. E dei seguaci dei 'Chicago Boys', che credono nella capacità
assoluta del mercato di autoregolarsi».
Insomma, secondo Bagnai e gli altri economisti del "dissenso", Bce
e governi stanno seguendo le ricette sbagliate. Con l'appoggio dell'opinione
pubblica, influenzata da una classe politica e da un sistema dell'informazione
che hanno sposato le tesi dell'austerità..
Ma qualcosa sta cambiando. Di fronte al perdurare della crisi nonostante
tagli e sacrifici, le voci fuori dal coro stanno aumentando. Economisti
come Emiliano Brancaccio, che insegna all'Università del Sannio,
Alberto Borghi Aquilini, docente alla Cattolica, Sergio Cesaratto, che
insegna a Siena, Gennaro Zezza, dell'Università di Cassino, lo stesso
Bagnai e altri ancora cominciano ad essere invitati a scrivere sui giornali
e ad apparire nei talk-show televisivi.
La strada però è ancora lunga. Lo conferma Emiliano Brancaccio,
autore con Marco Passarella del recente 'L'austerità è di
destra' (Il Saggiatore, euro 13): «Sostenere che dalla crisi si esce
facendo sacrifici è una tesi di facile presa. La gente infatti è
portata a guardare al bilancio dello Stato come al bilancio della propria
famiglia. Ci sono dei debiti? Basta stringere la cinghia. Invece uno Stato
si regge su meccanismi più complessi. Se, in fase di recessione,
un Paese stringe la cinghia, cioè taglia la spesa pubblica e aumenta
le tasse, la sua economia si contrarrà. Col risultato che il rapporto
tra debito e Pil, invece di diminuire, aumenterà. Infatti, con il
governo Monti questo rapporto ha raggiunto il record negativo del 126 per
cento».
«Per la maggioranza degli economisti è pacifico che il
debito pubblico non sia il problema principale», conferma Bagnai.
«Basta pensare che prima della crisi quello italiano stava diminuendo.
E che la tempesta attuale ha colpito per primi Spagna e Irlanda che avevano
un debito minore di quello tedesco. Quindi, lo spread non deriva dal debito
pubblico».
Da che cosa è causato, allora? In sostanza, dicono Bagnai e
gli altri, è un problema di bilancia dei pagamenti: sono deboli,
e quindi passibili di alti spread, i Paesi che si indebitano con l'estero
perché importano molto più di quanto esportino. E' quanto
è avvenuto dall'introduzione dell'euro allo scoppio della crisi
nel 2007: in questo periodo nei Piigs - spiega Bagnai sul suo blog - è
esploso il debito privato, spesso verso banche estere, con aumenti dai
31 (Italia) ai 98 punti di Pil (Irlanda e Spagna).
Quella che ora viene presentata come crisi bancaria causata da una
crisi del debito pubblico, sostiene sempre Bagnai, nei dati si presenta
in modo opposto: la crisi da debito pubblico è causata dal dissesto
finanziario del settore privato. E il debito privato si è accumulato
nei Piigs proprio perché la moneta unica ha impedito alle economie
meno competitive di difendersi con la svalutazione, come avveniva prima.
Bravi allora i tedeschi nella gara della competitività? Sì,
rispondono i "dissidenti", i tedeschi sono stati più efficienti.
Ma attenzione: la loro competitività è figlia anche del contenimento
dei salari pianificato per fare concorrenza ai Paesi periferici dell'Eurozona.
«In Germania nell'ultimo decennio i salari sono stati mantenuti sempre
al di sotto dell'aumento della produttività», chiarisce Emiliano
Brancaccio. «In questo modo i tedeschi hanno potuto aumentare al
massimo il loro surplus verso gli altri Paesi Ue, creando uno squilibrio
insostenibile in seno alla zona euro. Ora la Bce vorrebbe correggerlo imponendo
ai Piigs di abbattere i salari, le spese interne e le importazioni. Ma
la ricetta, è sbagliata, perché finirà per aggravare
la depressione europea».