di Mariuccia Ciotta, "il Manifesto", 18 ottobre 2002
Se l'Italia smantella lo stato sociale e peggiora le sue leggi già
liberticide, sadiche con immigrati e pensionati, sarà proprio come
l'America di Bowling a Columbine. Esce anche da noi il capolavoro
di Michael Moore sulla cultura della paura.
Il regista del Michigan che distrusse l'onore della General Motors
con Roger and me, contro-storia dello smantellamento della città-fabbrica
di Flint, torna a interrogarsi nel suo modo sarcastico sui mali dell'America,
prima e dopo l'11 settembre. Partendo dalla Columbine High School, Colorado.
Nel `99 due teen-ager, armi automatiche in pugno, uccisero dodici compagni,
più un professore. Erano ragazzi come tanti, ragazzi del calibro
di 9mm di diametro, pallottole grandi come un accendino, comprate al supermercato
vicino. Perché gli americani si ammazzano tra di loro? Più
di 11.000 all'anno contro i 60 della Germania, e guardate un po' se il
Far West dei tedeschi è meglio del nostro, dice Moore, e parte una
clip di Hitler. Bowling a Columbine, caccia al tesoro di 2 ore,
è avvincente e disarticolato come il corpaccione del regista che
si trascina di porta in porta, per chiedere ai «vicini» le
ragioni della paura che attanaglia l'americano. Paura amplificata dai media,
che bombardano gli spettatori con il bollettino dei crimini: il sospetto
è sempre l'«uomo nero» ripreso a terra seminudo, avvinghiato
dal cop di turno, eroe della serie tv sulle imprese poliziesche. Moore
propone all'autore del reality show una variante, con gli executives
della city sbattuti sulle loro Mercedes per frode fiscale e
corruzione. Improbabile, ma l'Autidel è legge quando conviene. Vere
invece sono le immagini che una telecamera a circuito chiuso ha ripreso
quel giorno a Columbine: due ombre armate sparano alla rinfusa, gli studenti
sotto i tavoli, voci fuori campo, registrate dai cellulari, urlano aiuto.
Un bambino che sembra un angelo, e ormai lo è, sorride da un cartellone
sostenuto dal padre in lutto, tra manifestanti contro la diffusione delle
armi. Ce l'ha con Charlton Heston, capo e testimonial della Nra, ex lega
sportiva ora gang pistolera di destra, finanziata dalla lobby potente dei
mercanti d'armi. «Per prenderla, dovete passare sul mio cadavere»
declama l'attore ottantenne dal sorriso di Ben Hur sbandierando
un bazooka.
È dunque la facilità di acquistare pistole che provoca
stragi tipo Columbine? Troppo facile. In Canada, dove ci porta Moore, ci
sono 7 milioni di sputafuoco, ma pochissimi si sparano addosso. È
vero che in Usa se apri un conto in una certa banca ti regalano un fucile,
ma anche a Toronto abitano i signori Smith & Wesson. Allora? I canadesi
hanno l'assistenza sociale, se si ammalano sono curati, si tutela la multietnicità,
i disoccupati sono «ammortizzati» (al festival di Toronto e
Vancouver il documentario di Moore, pieno di humor e senso critico, e così
sbilanciato a favore dello stato sociale garantito da ottawa, ha stravinto
i premi del pubblico...). Invece, i ragazzi di Columbine, piuttosto che
un futuro di terrore in un mondo dove vince il più forte, hanno
scelto di anticipare i tempi: uccidere e uccidersi.
E se fosse tutta colpa di Hollywood, del rock e di Internet, come sostiene
la destra? Il «detective» Moore riparte e indaga. Il suo film
espanso è opera complessa, angosciata, tra tante gag, ed esprime
un grande amore per la propria gente che vive in una democrazia terrorizzata,
col mitra in spalla. I suoi nemici precedenti erano chiari: la Gm, le Nike,
la globalizzazione... «Ma qui il problema è lo stesso pubblico
cui il film è dedicato, quello statunitense - ha detto Michael Moore
a Les Inrockuptibles - La ragione della violenza in Usa non sono
le armi, siamo proprio noi. C'è un problema nel nostro comportamento
collettivo, nella nostra mentalità. È un avversario molto
più difficile da circoscrivere. L'etica europea dice: se qualcuno
si ammala, se qualcuno perde il lavoro, noi abbiamo la responsabilità
collettiva di aiutare queste persone. L'etica americana dice: vai a farti
fottere». Il giorno di Colombine fu quello del record di bombe Usa
in Kosovo, morirono civili a centinaia. Moore non ci risparmia la visione
di altre stragi Usa, in America latina, Sudan, Iraq, Afghanistan. E la
paura impressa sulle facce dei newyorkesi quelll'11 settembre 2001.
Ma, fosse colpa del rock? Risponde il «diabolico» Marilyn
Manson, intervistato in camerino, durante un tour sabotato dai benpensanti.
Il rocker è davvero cattivo, con Bush jr.. E incantevole quando
alla domanda su cosa si sentirebbe di dire ai ragazzi di Columbine, risponde:
«Niente. Ascolterei quello che loro hanno da dire, cosa che nessuno
ha fatto».
Le misure prese all'indomani della carneficina, ci racconta il film,
consistettero nel sospendere qualche ragazzino sospetto, un kid sospeso
per un mese perché minacciò il maestro con una coscia di
pollo e quell'altro, grande e grosso, oltretutto offeso per non essere
stato nominato «nemico pubblico numero uno» per bombe diligentemente
fatte in cantine, e grandi come pallina di golf. E di palle si tratta a
proposito dei due sterminatori di Columbine, che proprio quel fatidico
mattino giocarono a bowling. Gioco sospetto.
Tra uno scherzo e l'altro, Michael Moore diventa il nostro eroe quando
insieme a due ragazzi feriti dalle 9mm assedia il grande magazzino che
rifornì la coppia omicida, e lo costringe, dopo un braccio di ferro
incalzante, a promettere il ritiro entro 30 giorni delle micidiali pallottole.
Boowling for Columbine ci fa vedere l'America al di là
dei pregiudizi, e la feroce critica al liberismo e al governo Bush jr.
è ritmata da manifestazioni, sorrisi, interviste, lacrime di chi
fa resistenza e prima o poi seguirà l'esempio dell'imponente Moore,
che alla fine spegne il suo sardonico ghigno quando incontra il «divo
esplosivo» utilizzando per rintracciarlo una di quelle «mappe
delle case dei divi» che vengono vewndute ai turisti di passaggio
nella Los Angeles chic di Bel Air e Westwood.
In un'atmosfera ipnotica, la visita a Charlton Heston nella villa di
Beverly Hills diventa un requiem per una bambina di 6 anni ammazzata da
un suo coetaneo a scuola. Il regista, che si è spacciato per un
fedele adepto della Nra («è vero ha la tessera, «un
tempo l'associazione aveva carattere prettamente sportivo») intervista
l'attore difensore della libertà di sparare, che come un re si meraviglia
della richiesta di scuse alla popolazione di Flint (dove è morta
la piccola).
Heston trasecola incredulo e barcollante se ne va sulle sue gambette
sghembe di vecchio malato. Ma offeso. Il giorno dopo l'omicidio da guinness
dei primati (il più giovane assassino Usa, 6 anni), il divo era
arrivato in città col suo carrozzone di esaltati per neutralizzare
l'effetto emotivo di quella morte. La piccola ringrazia Heston con un sorriso
ironico, alla Moore, impresso sulla foto poggiata a una colonna del grande
giardino silenzioso.