di Sergio Cesaratto, "Left", 30 agosto 2012
L’Europa non ha un’idea chiara di dove andare, o forse sì. Che
a un certo punto la situazione possa precipitare per l’insostenibilità
finanziaria o sociale ha portato il flemmatico Hollande e la Merkel a creare
una commissione che dovrà stilare proposte entro ottobre. Ma come
questa possa conciliare un’Europa più unita nel rigore tedesco con
l’apprezzabile difesa del popolo francese della propria indipendenza non
si sa. Più concretamente le dichiarazioni di Draghi che avrebbe
fatto di tutto per difendere l’euro hanno evitato la paventata crisi agostana.
Ma ora i mercati vogliono vedere i fatti. I giornali ci raccontano dello
scontro fra una Merkel convertita a un moderato intervento della BCE e
una Bundesbank custode dell’ortodossia.
Addirittura il falco Weidman, capo della Bundesbank, e la “colomba”
Asmussen, membro tedesco nel Board della BCE, si bisticciano pubblicamente.
Lo schema Draghi-Merkel potrebbe essere questo: (a) i paesi che lo ritengano,
dovranno chiedere ufficialmente soccorso all’Unione Europea che lo subordinerà
a stringenti condizioni di austerità; a quel punto (b) i fondi salva-Stati
(EFSF-ESM) potranno intervenire calmierando le aste nel mercato primario,
quello dei titoli di nuova emissione (operativamente lo farà la
BCE); infine (c) la BCE interverrà calmierando il mercato secondario,
relativo ai titoli già in circolazione. Ci sono un mare di problemi
che la BCE e gli esperti discutono: quali tassi (o spread) obiettivo si
perseguiranno? E con quali differenze fra paesi?
Il lettore si domanderà: ma allora avevano ragione quanti si
sperticavano a dire che i tassi di interesse (dunque gli spread) li fanno
le banche centrali e non i mercati! E allora perché l’Italia è
da due anni alla mercé di un’austerità senza fine? La risposta
convenzionale è che è nella logica dell’unione monetaria
che i mercati puniscano gli Stati fiscalmente irresponsabili. Se si interviene,
alleviando un po’ tale punizione, lo si fa solo per dare loro più
tempo per riportare i propri conti in ordine. Questa risposta è
sbagliata per due motivi. Come dimostrato da Zezza, Bagnai e del sottoscritto
nell’e-book “Oltre l’austerità” (scaricabile gratuitamente dal sito
di Micromega), la crisi non ha a che fare con l’irresponsabilità
fiscale, ma con i difetti di costruzione dell’euro. Se ne deduce che colpendo
l’obiettivo sbagliato, la strategia Draghi-Merkel è destinato a
fallire. L’insufficiente riduzione dei tassi (o degli spread) congeniata
per tenere gli Stati in difficoltà sulla graticola e le ulteriori
misure di austerità richieste li manterranno su un percorso di recessione
aggravando gli squilibri di bilancio e avvicinando il punto di insostenibilità
sociale. Purtroppo la strategia Draghi-Merkel è il massimo a cui
Monti, e la sinistra che con vari distinguo lo sostiene, appaiono ambire.
Potrebbe la sinistra italiana proporre una alternativa? Forse. Intanto
il livello dei tassi di interesse obiettivo della BCE dovrebbe essere tale
da rendere compatibile la stabilizzazione del rapporto debiti pubblici/PIL
con politiche fiscali espansive. Due conti in croce suggeriscono che con
tassi sufficientemente bassi questo è possibile. L’obiettivo di
stabilizzazione sarebbe peraltro apprezzato dai mercati perché realistico
in tempi di recessione. Basterebbe? Non siamo sicuri che esistano politiche
tali da rimediare radicalmente al difetto di origine dell’euro che, come
tutte le unioni monetarie, ha obiettivi deflazionistici - leggi ridurre
i salari. Al gioco della deflazione salariale la Germania è imbattibile
guadagnando quella competitività che crea gli enormi squilibri commerciali
infra-europei. Questi sono il vero cancro dell’euro e non i debiti pubblici
che non sono un problema con bassi tassi di interesse. Ma la Germania non
rinuncia al suo gioco mercantilista. L’alternativa è diventare gli
Stati Uniti d’Europa. Benissimo. Però questo implica enormi trasferimenti
fra gli Stati. In pratica la Germania ci restituirebbe come sussidi ciò
che guadagna nei commerci. Non è una prospettiva accettabile per
nessuno. Che fare, allora?
La sinistra dovrebbe in primo luogo partire dalla consapevolezza che
non era nella direzione dell’unione monetaria che il paese doveva andare,
pur senza rinunciare a una prospettiva europeista, per riprendere 20 o
30 anni fa un sentiero di crescita in un clima di stabilità sociale.
Secondo, dovrebbe comprendere che le prospettive che (ad essere ottimisti)
l’Europa riuscirà a darsi saranno solo l’ennesimo spostamento in
avanti del redde rationem pur al prezzo di insopportabili costi sociali.
E terzo che soluzioni alternative non sono semplici. Ci si batta per queste
ultime, ma con la domanda di fondo: l’euro è davvero sostenibile?