Gennaro Carotenuto, dalla Newsletter del sito "Giornalismo partecipativo" (http://groups.google.it/group/articoligennarocarotenuto?hl=it), 6 aprile 2012
Risparmiateci l’onore delle armi per Umberto Bossi e per la Lega Nord.
La melma nella quale affonda è la stessa nella quale ha lucrato
per decenni su paure ataviche ed egoismi modernissimi. È un bene
che il velo sia caduto sul repertorio più classico del peggiore
italianismo: corruzione spiccia, avidità, opportunismo, furbizia,
una casta leghista così impresentabile da far rimpiangere l’Udeur,
la connivenza con la criminalità organizzata, la presunta discontinuità
che invece si dimostra bieca continuità, la bella vita senza lavorare,
il familismo amorale del sistemare la famiglia. Altro non è mai
stato, la Lega Nord. I mali d’Italia concentrati nella casa di Gemonio
quasi come fosse quella del Grande Fratello.
Risparmiateci l’onore delle armi per i ragionieri con lo spadone. Non
provo alcuna pena per i mentecatti di Pontida che si sono prestati al gioco
dell’odio, convinti di essere una razza superiore assediata da chi è
nato poche decine di km più a Sud o su una sponda diversa dello
stesso mare. Causano puro orrore quelli che hanno avvelenato la vita del
nostro paese con l’odio antimeridionale prima e contro i migranti poi.
Causano profondo disprezzo quei profittatori di una guerra inventata che
hanno fatto carriera o guadagnato un posto in graduatoria pretendendo di
discriminare chi era nato in un’altra regione. Non dimentico neanche una
delle infamie della Lega Nord alle quali ha fatto sponda, offrendole una
legittimazione che non era scontata, l’intera classe politica. Ovviamente
Silvio Berlusconi ma anche l’altro campo, esemplificato nella nefasta “costola
della sinistra” di Massimo d’Alema, ha rappresentato in questi anni l’incapacità
di trattar la Lega per quello che è sempre stato: un fenomeno eversivo
fondato sulla discriminazione.
Mi vergogno per un paese che ha avuto Roberto Calderoli come Ministro
e si è fatto rappresentare a Bruxelles da Mario Borghezio e Matteo
Salvini. Mi vergogno di un paese che ha considerato interlocutori politici
gentaglia capace di passare senza ritegno dai riti pagani all’integralismo
cattolico, dalla presunta goliardia violenta del “forza Etna” alle guerre
di civiltà. Noi contro loro perché è più facile
da capire. Noi contro loro perché altrimenti non scatta la macchina
del consenso. Noi contro loro perché altrimenti i nodi del fallimento
del neoliberismo verrebbero al pettine. Noi contro loro perché altrimenti
dovremmo interrogarci sui limiti della nostra modernità, sulla perdita
di valori, cultura, coscienza civile. Noi contro loro nell’illusione che
il problema possa essere espulso e noi si possa riprendere la nostra età
dell’oro bucolica interrotta dall’irruzione dello straniero.
È infame poi lo spaccare il capello in quattro di media tuttora
conniventi con una Lega pienamente interna al sistema, con propri uomini
ovunque, dai consigli d’amministrazione alle fondazioni bancarie, dagli
organismi di vigilanza ai media. Il ribaltamento della “questione meridionale”
in “questione settentrionale” non era altro che questo: aggiungere posti
a tavola della mangiatoia pubblica. Sarebbe “il nuovo” Roberto Maroni,
complice di tutti le nefandezze del capo e condannato per crimini contro
l’umanità dalla Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo per
l’infamia dei respingimenti, il crimine più grave in Italia da Marzabotto,
Stazzema e le Fosse Ardeatine?
È emendabile la storia della Lega Nord dai sacrifici umani,
dal sangue che hanno voluto i dentisti o i commercialisti in camicia verde?
Piango per quei 17.000 corpi senza nome che giacciono nel Mediterraneo,
e che sono in gran parte sulla coscienza di un’Italia che ha permesso la
vergogna di far diventare partito di massa un partitino xenofobo estremista
che in Germania o in Francia sarebbe stato tenuto fuori dalle istituzioni
come testimoniò il ballottaggio 2002 a Parigi. Piango per i torturati
da Gheddafi ai quali Maroni e Berlusconi avevano appaltato il lavoro sporco.
Piango per quei bambini ai quali è stato negato perfino il cibo
in scuole dell’orrore come quella di Adro. Rivendico subito (come minima
prova di riscatto) la cittadinanza per i nati in Italia, e presto, con
un percorso sicuro e garantista, la cittadinanza piena per chi in Italia
ha scelto di vivere. Oggi, Ministro Riccardi!
Ma come siamo arrivati a questo? La canea dell’odio leghista in questi
anni ha fatto breccia in almeno due Italie. Da una parte un’Italia aggressiva
figlia di un ibrido mostruoso tra Mastro don Gesualdo e Margaret Thatcher,
disposta a sparare a vista pur di dire “roba mia viettene con me” e intimamente
rappresentata dal più gretto, volgare e razzista dei partiti. Dall’altra
la Lega ha fatto breccia nell’Italia dei penultimi, tra gli anziani spaventati,
tra i giovani che avevano creduto che studiare non servisse per poi ritrovarsi
subalterni per sempre, per cultura e rapporti di produzione, soprattutto
in quella classe lavoratrice colpita a morte dalla doppia crisi strutturale
del modello, quello neoliberale e quello della piccola e media impresa.
È l’Italia che è stata tradita dalla fine dei partiti di
massa, DC e PCI innanzitutto, che avevano a lungo saputo incarnare la società
della seconda metà del XX secolo per poi sparire senza eredi che
non fossero scorciatoie (sempre conservatrici) di interpretazione della
modernità: l’individualismo berlusconiano, quello appena temperato
da un centro-sinistra che accettava pienamente il modello.
Così la Lega ha speculato su problemi reali banalizzandoli e
offrendo una spiegazione semplice per tutto quello che di brutto andava
succedendo nell’abdicazione di una politica che aveva rinunciato a trattare
le masse stesse come soggettività. Non erano i tagli orizzontali
alla scuola pubblica a far crollare quest’ultima ma era colpa degli insegnanti
meridionali. Non era il radicale peggioramento dei rapporti di produzione
dato dalla globalizzazione a rendere invivibile la condizione operaia ma
era colpa dei migranti che rubavano il lavoro agli italiani. Il veleno
reazionario, incarnato dal messaggio leghista forse meglio ancora che da
Berlusconi, si è insinuato in questi anni nel vuoto di un messaggio
politico alternativo. Solo il riprendere la battaglia delle idee con una
chiara proposta di progresso includente, con un’idea guida che metta gli
ultimi e i penultimi dalla stessa parte della barricata, eviterà
che la fine ineludibile della cosiddetta Seconda Repubblica, nelle cose
con l’ignominiosa uscita di scena di Berlusconi prima e Bossi poi, non
si trasformi in un incubo peggiore.