di Gino Candreva, dal sito www.sottolebandieredelmarxismo.it, 3 aprile 2005
Anche se non è possibile riassumere
in un breve intervento il pontificato di Papa Wojtyla, uno dei papi più
longevi della Storia, la cui elezione data dal 16 ottobre 1978, proviamo
a trarre un sintetico bilancio. La difficoltà è accresciuta
dal fatto che Wojtyla è stato davvero il “papa di tutti”, anche
se non nel senso evangelico del termine. E’ stato il papa di Gianfranco
Fini e di Walter Veltroni, concordi nel ringraziare il roccioso combattente
reazionario polacco per aver dato la “spallata” decisiva a quello che ritengono
di comune accordo il “male peggiore del secolo“ XX; è stato il papa
di Gorbaciov, grato per avergli dato man forte nello sgretolamento dell’Unione
Sovietica, e di Reagan; di Pinochet , di Somoza, della Junta golpista argentina;
il Papa dei vescovi reazionari latinoamericani, riconoscenti per la repressione
della “Teologia della liberazione”; il Papa della razzista Oriana Fallaci
e del pacifista Bertinotti. Tutti chini, non per rispetto della parola
di Gesù di Nazareth, ma delle proprie convinzioni e progetti politici.
Il cinismo della comune commozione di fronte alla morte del Papa non ne
è che l’ulteriore conferma.
Wojtyla è stato il primo papa
non italiano dai tempi dell’olandese Adriano VI, morto nel 1523. Succeduto
a papa Luciani, la cui morte dopo appena 33 giorni di pontificato è
ancora avvolta nel mistero, si è imposto subito per la partecipazione
alla guerra fredda contro l’Unione Sovietica.
L’elezione del primo papa polacco non è stato un fulmine a ciel
sereno, ma abbondantemente sostenuta e probabilmente preparata dalla Cia
e dall’Opus Dei. Il suo anticomunismo era ampiamente conosciuto, in Polonia
e all’estero. Fin dal 1971 il futuro papa era noto per le prese di posizione
contro il regime di Varsavia ed era stato molto attivo in Polonia nell’organizzare
movimenti e associazioni di protesta. Le sue omelie vennero perfino incriminate
in base all’articolo 194 della legislazione polacca dell’epoca. Sembrava
dunque il candidato ideale ad aiutare l’imperialismo americano che aveva
individuato nella Polonia il tallone d’Achille dell’”impero del male” sovietico.
In cambio del suo sostegno l’Opus Dei venne emancipata dalla subordinazione
ai Vescovi e divenne molto più importante nella gerarchia vaticana.
Ne ha canonizzato il fondatore, il franchista Escrivà de Balaguer,
morto solo nel 1975. Il 30 dicembre 1982 il Wall Street Journal scriveva:
“L’alleanza è del tutto naturale perché l’Opus Dei e Giovanni
Paolo II condividono tre preoccupazioni: un’opposizione fissata al comunismo;
un forte desiderio di aumentare l’autorità del papa e un deciso
impegno a preservare la dottrina ortodossa della Chiesa sull’aborto, la
contraccezione, il celibato dei preti e su altre preoccupazioni tradizionali”.
Il pontificato di Giovanni Paolo II si è svolto esattamente lungo
queste tre direttrici. E grazie alla posizione conquistata sotto il pontificato
di Wojtyla l’Opus Dei potrebbe giocare oggi un ruolo decisivo nella designazione
del successore.
Ad appena tre giorni di distanza dal
suo insediamento, in un rapporto del 19 ottobre 1978, la Cia considera
l’elezione del nuovo papa polacco una pericolosa minaccia per la stessa
Unione Sovietica. E nota che in Polonia, Bielorussia, Lituania e Ucraina,
la Chiesa cattolica sta prendendo la testa del rinato nazionalismo anticomunista,
mentre in Ungheria, Cecoslovacchia e Germania Est si assiste a un’accelerazione
delle riforme e a una rinascita della Chiesa Protestante. L’elezione di
Wojtyla, nota ancora il rapporto, contribuirà in maniera decisiva
alla rottura del legame tra i Partiti comunisti dell’Europa occidentale
e Mosca, già indeboliti dall’avvento dell’Eurocomunismo nel 1976.
Si può dire che se dio è stato il primo a benedire l’avvento
di Giovanni Paolo II la Cia non è stata meno rapida.
In seguito all’ascesa al soglio pontificio,
il neo eletto papa intensificò tutto il suo attivismo ideologico
nei confronti non solo della Polonia, ma di tutte le nazioni cattoliche
del blocco sovietico, la Lituania, la Lettonia, l’Ucarina e la Bielorussia.
Nel giugno del 1979, il viaggio in Polonia diventa l’occasione di una protesta
di massa contro il regime stalinista di Varsavia, nella quale la Chiesa
assume il ruolo centrale. L’occasione per tramutare l’offensiva ideologia
in offensiva politica venne fornita dalla crisi polacca del 1980, con la
nascita di Solidarnosc. Il contributo ideologico e politico del Vaticano
alla nascita di Solidarnosc fu sostanziale. Quello economico ancora di
più. Il finanziamento di Solidarnosc fu il risultato di complesse
operazioni che ebbero come protagonisti il banchiere Roberto Calvi e il
Banco Ambrosiano, la Mafia e lo Ior (Istituto opere religiosa, la banca
vaticana) diretta da monsignor Marcinkus. Lo stesso papa Wojtyla, vicino
all’Opus Dei difenderà Marcinkus accusato di bancarotta fraudolenta
per il Caso Ior-Banco Ambrosiano (e solo l’extraterritorialità del
Vaticano ne ha impedito l’incarcerazione).
Ecco ciò che scriveva Tony Zermo sul giornale La Sicilia il 7 gennaio 2003:
“Diciamo che la storia comincia all'incirca negli anni '70 quando Cosa
Nostra prende a trafficare droga, a mettere su le raffinerie (molte in
via Messina Marine a Palermo) e a far soldi a palate. Questa montagna di
denaro dev'essere investita, una parte va nelle banche svizzere, un'altra
ancora in Borsa e agli insediamenti turistici fuori dalla Sicilia, un'altra
parte viene affidata al banchiere di Patti Michele Sindona. Quando fa bancarotta
nonostante il tentativo di salvataggio di Andreotti, Sindona viene arrestato
e poi ucciso nel supercarcere di Voghera con un caffè all'arsenico:
come anni addietro all'Ucciardone era capitato a Gaspare Pisciotta, l'uccisore
di Salvatore Giuliano.
Sparito dalla scena Sindona, Cosa Nostra era alla ricerca di un banchiere
importante e più affidabile di Sindona che potesse investire bene
il suo denaro, ed ecco spuntare Roberto Calvi che da semplice "ragiunatt"
era diventato presidente del potente Banco Ambrosiano.
Calvi, il "banchiere dagli occhi di ghiaccio", sembrava l'uomo giusto
e i fiumi di denaro della droga finirono all'Ambrosiano. Del resto "pecunia
non olet" e nessuno potrà mai provare con certezza che quel denaro
affluito al vecchio Ambrosiano era di Cosa Nostra.
Ma Calvi era un ambizioso irrefrenabile, pensava che legandosi al Vaticano,
ed esattamente allo Ior, l'istituto bancario della Santa Sede gestito da
mons. Marcinkus, avrebbe avuto porte aperte in tutto il mondo e ottenere
protezione dai partiti politici italiani. Fu così che centinaia
e centinaia di miliardi passarono dall'Ambrosiano allo Ior: e in mezzo
a questo denaro c'era anche quello sporco. Con questo denaro il Vaticano
finanziò "Solidarnosc" di Walesa che alla lunga riuscì a
porre fine al regime comunista in Polonia. Dopo la democratizzazione di
questo Paese seguì a catena la caduta dei regimi degli altri Paesi
satelliti dell'Urss.
Naturalmente tutto questo era avvenuto senza che Cosa Nostra ne sapesse
niente: aveva affidato i suoi "risparmi" a Calvi perché li facesse
fruttare, non perché li desse a Marcinkus e da lì a "Solidarnosc".
E fu così che anche Calvi fece la fine di Sindona e venne trovato
penzolante da una corda sotto il ponte dei "Frati neri" sul Tamigi. A distanza
di venti anni s'è capito che quello non era suicidio, bensì
un delitto di mafia, forse affidato da Cosa Nostra siciliana alla camorra,
e in particolare a quel Vincenzo Casillo che poi saltò in aria con
la sua auto a Roma. Meglio togliere di mezzo testimoni pericolosi.
Al di sopra di questo sordido traffico sotterraneo di miliardi della
mafia c'era però il più alto contesto politico, la Storia
che cambiava. Che Papa Wojtyla volesse far cadere il regime comunista nella
sua cattolicissima Polonia lo sapevano in molti, soprattutto i servizi
segreti sovietici.”
Controllata dal Vaticano e dalla Cia,
Solidarnosc divenne il cavallo di Troia dell’imperialismo nell’intero blocco
sovietico. Un altro importante polacco, Zbigniew Brzezinski, consigliere
per la sicurezza nazionale dell’allora presidente americano Jimmy Carter,
dichiarò “Mi sono trovato a mio agio con Casey [direttore della
Cia]. E’ stato molto flessibile e poco burocratico. Ha cercato soluzioni
inedite. Ha fatto tutto ciò che bisognava fare per appoggiare gli
sforzi clandestini in termini di materiale, reti, ecc… ed è per
questo che Solidarnosc non è stata schiacciata” (24 febbraio 1992).
Ma è il successore di Carter, Ronald Reagan, a comprendere in maniera
decisiva le potenzialità dell’alleanza tra il Vaticano e l’imperialismo
americano. In un rapporto del 1982 la Cia assume decisamente la direzione
politica dell’affare polacco, consigliando al Vaticano una strategia di
piccoli passi, mentre Wojtyla rafforza le tendenze anticomuniste all’interno
della Chiesa e interviene nella politica polacca tramite il cardinale Glemp.
Tra la fine del 1982 e il 1983 avviene la svolta nel blocco sovietico;
a Breznev succede Andropov, uno dei responsabili della repressione ungherese
del 1956, ma ora “riformista”, Walesa riceve il Nobel per la pace e Reagan
inaugura il progetto di “guerre stellari”. Il crollo del muro di Berlino
nel 1989 e dell’intero blocco sovietico nel 1991 giunsero al culmine di
questo processo inaugurato dall’elezione di Wojtyla.
Il Vaticano, i suoi partner finanziari
e naturalmente il suo partner politico più importante, l’imperialismo
Usa, non mostrarono in America Latina lo stesso zelo per i diritti umani.
Anche in America centro-meridionale la politica del Vaticano ebbe come
stella polare l’anticomunismo.Tuttavia l’America Latina non era governata
da partiti stalinisti bensì da sanguinarie giunte di destra. Il
Cardinal Sodano, nunzio apostolico in Cile, fu uno dei più ferventi
sostenitori della dittatura del boia cileno Augusto Pinochet, mentre il
nunzio apostolico in Argentina, mons. Laghi, benediceva la giunta militare
e mons. Tortolo giungeva ad equiparare il golpe argentino del 1976 con
la Resurrezione pasquale. I responsabili di queste relazioni sono stati
tutti promossi ai posti più alti della gerarchia vaticana, compresa
la segreteria di Stato. In particolare uomini dell’Opus Dei sono stati
tra i più influenti consiglieri di Pinochet, come il ministro degli
esteri Cubillos, o uno degli uomini più ricchi del Cile, Cruzat,
il cui impero attorno alla Banca di Santiago consisteva di oltre 250 aziende.
Cruzat pagava ogni anno all’Opus Dei milioni di dollari in sovvenzioni.
Dopo aver incontrato e benedetto di persona il boia cileno, il 18 febbraio
1993 il Papa invia la sua speciale benedizione su Augusto Pinochet e signora
in occasione delle nozze d’oro. I “diritti umani” in America latina sono
evidentemente meno importanti che in Europa, dove possono essere usati
come parola in codice della guerra fredda.
Se da una parte il Vaticano promuoveva
alle più alte cariche gli elementi particolarmente reazionari del
clero sudamericano, dall’altra concentrava la repressione all’interno della
Chiesa contro la cosiddetta “Teologia della liberazione”.
In occasione del suo viaggio in Nicaragua
nel 1983 il Papa condannò energicamente il “falso ecumenismo” dei
cattolici impegnati nel processo rivoluzionario sandinista e li invitò
all’unità sotto la direzione del vescovo di Managua, il reazionario
monsignor Miguel Obando y Bravo, nominato cardinale subito dopo il viaggio.
Nata in America Latina, ma diffusasi
in altre parti del mondo, soprattutto in Asia e in Africa, la Teologia
della liberazione è una corrente che si propone la riflessione su
dio, come tutte le teologie, ma la coniuga con le necessità sociali.
Parla di liberazione dei poveri dalla fame, dall’oppressione e dallo sfruttamento,
non semplicemente di liberazione dopo la morte. Il punto di partenza è
dunque costituito dal tentativo di coniugare cristianesimo ed emancipazione
sociale. I teologi della liberazione criticano soprattutto l’intreccio
tra la Chiesa cattolica e i poteri forti, che nei paesi del terzo e quarto
mondo, spesso sono rappresentati da dittature feroci. Questa tendenza appariva
dunque pericolosa sia per le gerarchie ecclesiastiche che per i loro mentori
politici locali e regionali. La reazione della Chiesa di Roma e in particolare
del Papa è stata durissima. Il cardinal Ratzinger ha accusato questa
corrente di marxismo e ateismo, ai teologi venne impedito di continuare
il loro insegnamento, ai centri didattici legati alla Chiesa di parlare
di questa dottrina. Lo stesso Wojtyla, in occasione di un viaggio in Nicaragua
nel 1996, dichiarò che con la morte del comunismo anche questa corrente
non aveva ragione di esistere. In questo modo si considerava la teologia
della liberazione semplicemente una corrente subordinata al Vaticano, strumentale
alla lotta al marxismo, che si proponeva cioè di strappare all’ideologia
marxista l’egemonia sulle masse oppresse. Finito il marxismo, la teologia
della liberazione aveva perso il suo ruolo di concorrente. La repressione
di questa corrente si è inserita in un contesto di profonda restaurazione
passatista. Il documento Dominus Jesus ha posto fine al tentativo di dialogo
con le altre confessioni religiose, al di là delle esibizioni mediatiche
degli incontri di Assisi. Sono stati sospesi e condannati i tentativi delle
Chiese locali di adattare la liturgia alle varie culture, diversi teologi
hanno subito la proibizione ad insegnare, mentre ad altri, autori di libri
ritenuti non ortodossi, sulla verginità della Madonna o sull’origine
del Purgatorio, per esempio, sono stati oggetto di scomunica o di pesanti
condanne.
Caduto l’”impero del male” sovietico,
la frenetica attività del papa si è rivolta alla nomina di
centinaia di santi e beati della Chiesa. Alla fine il totale sforerà
quota 1500, un record! L’iperattivismo di Wojtyla ha una ragione: la necessità
di imporre la Chiesa di Roma al centro dell’attenzione. La beatificazione
o la santificazione hanno costituito un potente segno del messaggio restauratore
del Vaticano. Ogni cerimonia è finita col diventare un messaggio
politico. Interi gruppi di “martiri” sono stati innalzati all’altare, dai
sacerdoti bulgari, che hanno subito la pena capitale in seguito a un processo
del 1952, a un gruppo di 31 martiri ucraini, a 25 vittime della guerra
civile messicana degli anni Venti. 120 sono stati i martiri cinesi, dal
1600 agli anni Trenta.
E’ naturalmente impossibile ripercorrere
tutte le fasi di una così frenetica attività beatificatoria.
Particolarmente significative sono stati però tre episodi, indicativi
delle preoccupazioni del Papa.
Il primo riguarda la beatificazione,
avventa nel marzo del 2001, dei 233 preti e laici franchisti uccisi durante
la Guerra civile spagnola dagli “anarco-comunisti”. Il clero spagnolo,
durante la guerra civile del 1936-39, si spaccò tra leali al governo
legittimo del “Fronte popolare” da una parte e ai golpisti di Francisco
Franco, sostenuto da Hitler e Mussolini, dall’altra. Molti sacerdoti inoltre
parteciparono alle brigate internazionali che accorrevano da più
parti d’Europa in difesa della Repubblica. Dopo l’occupazione delle Asturie
lo stesso Franco ordinò una feroce repressione e la messa a morte
di quanti avevano combattuto tra le file repubblicane, tra cui qualche
centinaio di sacerdoti. Queste vittime della repressione franchista-fascista
non hanno però trovato ancora un papa che le beatifichi. Così
come non l’hanno trovato le migliaia di sacerdoti copti massacrati dal
fascismo in Etiopia per il solo sospetto di essere oppositori del colonialismo
di Roma. La consacrazione selettiva delle “vittime dell’anarco-comunismo”,
come si è espresso Giovanni Paolo II durante la celebrazione, costituisce
da parte del Vaticano una rivalutazione postuma del Regime di Franco e
un programma politico preciso.
Il secondo episodio riguarda la beatificazione
di Alojzije Stepinac, avvenuta in Croazia nell’ottobre del 1998. Stepinac,
considerato da Wojtyla una delle “prime vittime del comunismo”, in realtà
è stato un fedele alleato del regime Ustascia di Ante Pavelic, che
in quattro anni sterminò centinaia di migliaia di serbi, ebrei,
zingari e altre minoranze in nome della “purezza etnica e religiosa della
Croazia”, in quanto alleato subordinato di Hitler e Mussolini. Vari prelati
sedevano nel governo di Ante Pavelic, alcune centinaia di religiosi parteciparono
direttamente al massacro (v Marco Aurelio Rivelli: “L’arcivescovo Stepinac,
altro che martire”, in il Manifesto, 3 ottobre 1998). Lo stesso Stepinac
dispose la celebrazione del Te Deum all’atto dell’insediamento del governo
Pavelic e in seguito, perfino quando i massacri e le deportazioni erano
ben conosciute, in una lettera del 24 maggio 1943 al Cardinale Maglione,
rassicura la gerarchia vaticana, che sollevava dubbi sul regime di Pavelic:
“Dal detto segue che il Regime attuale in Croazia pare almeno di essere
di buona volontà, la quale non può essere negata dalla Chiesa.”
Lo stesso centro Simon Wiesenthal ha considerato la beatificazione di Stepinac
“una provocazione”. La beatificazione di Stepinac giunge al culmine di
un processo che ha visto il Papa impegnarsi in prima persona a favore della
sanguinosa guerra che ha distrutto l’ex Jugoslavia. Il Vaticano (e la Germania)
furono i primi a riconoscere la repubblica di Croazia, proclamata su basi
etniche e religiose quando ancora esisteva la federazione jugoslava. La
benedizione di Wojtyla al nazionalismo croato servì da miccia per
l’esplosione della guerra serbo-croata, alimentò il nazionalismo,
fece precipitare la crisi bosniaca. Col viaggio del 1994 e infine la canonizzazione
di Stepinac, il Vaticano sosteneva esplicitamente Tudijman, il nuovo poglavnik
(duce) della “cattolicissima” Croazia, che si presentava come l’erede di
Pavelic. Come ricompensa al sostegno vaticano il governo di Zagabria restituiva
alla Chiesa di Roma i beni confiscati dalla Repubblica federale jugoslava.
Dopo aver attaccato il comunismo, il
Papa ha preso di mira la stessa ideologia della Rivoluzione francese, come
paradigma di ogni idea di progresso. In un discorso pronunciato il 19 settembre
1996, in Vandea, così si rivolge il Papa ai fedeli di questa regione
passata alla storia per essersi opposta alla Rivoluzione francese e aver
scatenato il terrore bianco contro i rivoluzionari: "Voi siete gli eredi
di uomini e di donne che hanno avuto il coraggio di rimanere fedeli alla
Chiesa di Gesù Cristo, quando la sua libertà e la sua indipendenza
erano minacciate". Più che a Cristo il clero e i nobili della Vandea,
regione a nord della Francia, furono fedeli al Re e a un sistema di privilegi
che non volevano abbandonare. Nel 1789 organizzarono la resistenza alla
Rivoluzione nel tentativo di restaurare l’Antico Regime. La rivolta vandeana
giunse a spalancare i porti all’invasione inglese, che rischiava di travolgere
il neonato potere rivoluzionario, già minacciato dalla reazione
monarchica e dai suoi alleati austro-prussiani. Anche i “martiri” vandeani
hanno avuto naturalmente la loro beatificazione.
Come se Wojtyla avesse voluto far girare all’indietro il film della
storia e del progresso: dalle Repubbliche popolari nate nel dopoguerra,
alla Rivoluzione russa, fino alla Rivoluzione francese; un filo percorre
le scelte del pontificato di Wojtyla, che si sposa col cattolicesimo liberale
moderato: l’idea delle masse come oggetto e non soggetto di trasformazione
sociale. La stessa enciclica “Laborem exercens” del 1981, riprende il progetto
del “cattolicesimo sociale” ponendosi in concorrenza con la teoria marxista
sul terreno dell’egemonia sulla classe operaia. Le masse devono subire
passivamente i processi sociali, determinati da un potere sul quale non
hanno controllo, ma che deve paternalisticamente badare alle loro necessità.
Quindi si criticano gli eccessi del liberismo e del capitalismo, ma l’essenza
del socialismo. Il pericolo principale da scongiurare è la possibilità
che il proletariato si emancipi istituendo un proprio sistema di potere
da contrapporre al potere della borghesia. Dieci anni dopo la “Centesimus
annus” travolge nella sua critica non solo il socialismo marxista ma lo
stesso “razionalismo illuministico”.
Predicando contro “il potere”, lo stesso
Giovanni Paolo II è stato un uomo di potere. Ha utilizzato l’enorme
apparato della Chiesa cattolica romana, le sue quasi sterminate risorse
finanziarie, il rapporto privilegiato con l’imperialismo americano e un
iperattivismo mediatico per rafforzare la gerarchia ecclesiastica e subordinarla
all’autocrazia papale. Lo stesso principio di collegialità episcopale,
diffuso dal Concilio Vaticano II, sotto Karol Wojtyla è andato disperso.
Lo strumento privilegiato è stato il Servizio diplomatico e la Nunziatura,
direttamente controllati dal Papa. Sotto Giovanni Paolo II la Chiesa ha
rafforzato il peso dell’apparato, finendo per distruggere altre istanze
e forze vive richiamando i fedeli, ma non solo, a una stretta ortodossia
cattolica tradizionalista.
Nulla è rimasto inespresso nel
pensiero di Giovanni Paolo II, dalle grandi questioni politiche alle questioni
sociali quotidiane alle questioni morali. In particolare su queste ultime
si è fondato l’edificio di una grande restaurazione dottrinale della
Chiesa. Innumerevoli sono i documenti nei quali il Papa ha preso posizione.
Perfino i villaggi vacanza, “luoghi di un turismo vuoto e superficiale”,
sono caduti sotto la scure del pontefice. Ma è stata la famiglia
il terreno privilegiato della restaurazione cattolica. Su questo aspetto
il Vaticano è rimasto sordo a ogni richiesta di rinnovamento che
provenisse dalla società civile. E cuore della famiglia sono i figli.
Wojtyla ha ribadito più volte la concezione che scopo della famiglia
è la procreazione. Ha quindi condannato senza mezzi termini qualsiasi
controllo o pianificazione delle nascite. Perfino di fronte all’esplosione
dell’epidemia di Aids in Africa il Papa ha condannato l’uso dei profilattici.
Il che ha impedito che centinaia di migliaia di vite venissero salvate.
L’omosessualità viene condannata come atto “contro natura” e il
possibile riconoscimento legale, di qualsiasi tipo, delle coppie omosessuali
ha incontrato sempre una decisa chiusura negli ambienti vaticani. Il divorzio
è nettamente condannato.
Ma dove il Vaticano ha insistito maggiormente,
e in modo più intenso negli ultimi tempi, è nella netta opposizione
all’aborto e nella difesa dell’embrione, definito “soggetto umano con una
ben definita identità”. Nell’ Evangelium vitae” del 1995, accanto
a una condanna senza mezzi termini della contraccezione o di qualsiasi
controllo delle nascite, dell’eutanasia, ecc., si teorizza la disobbedienza
alle leggi quando queste violino la morale cattolica: “L'aborto e l'eutanasia
sono dunque crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare.
Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo per la coscienza,
ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante
obiezione di coscienza”. Nell’agosto del 2000 la Pontificia accademia pro
vita, istituita da Wojtyla nel 1993, ha condannato la ricerca sulle cellule
staminali e nel 2001 lo stesso Pontefice, rivolgendosi ai medici cattolici,
ha ribadito le convinzioni morali della Chiesa, auspicando anche qui la
necessità della cosiddetta “obiezione di coscienza”, ovvero la violazione
delle leggi vigenti, per medici, ostetriche ecc.
L’enciclica “Evangelium vitae” tuttavia
è importante anche per un altro aspetto. Essa contiene una casistica
dettagliata sui doveri del cattolico che occupi posizioni istituzionali,
di fronte a un dilemma di coscienza. Mira quindi al condizionamento religioso
della vita politica del Paese. Un attacco alla laicità dello Stato
che culmina in questi giorni con la pesante intromissione ecclesiastica
nel referendum sulla procreazione assistita.
La visione del mondo che Wojtyla ha
voluto diffondere è una visione ampiamente antimodernista. A questo
scopo ha utilizzato tutti gli strumenti di forte impatto mediatico messi
a disposizione dalla modernità. Si tratta di un utopico quanto reazionario
tentativo di ritorno al Medioevo, quando l’Europa si chiamava Cristianità.
Da qui l’insistenza al riconoscimento delle “radici cristiane” nella Costituzione
Europea. Lo scopo è rendere la religione un “affare pubblico”, ovvero
fondamento di diritto. In questo modo la legislazione europea si sarebbe
dovuta piegare ed adeguare ai principi morali della Chiesa cattolica in
tema di famiglia, aborto, omosessualità, ecc. Ma a ben guardare
la logica della nominatio Dei nel preambolo costituzionale europeo andava
oltre, fondava la “comunità europea” su basi religiose e non su
basi politiche, stabilendo la superiorità del Dio dei cattolici
sulla volontà popolare. E, implicitamente, la superiorità
del suo rappresentante in terra, il Vescovo di Roma sulle istituzioni politiche.
La scena di un povero vecchio che muore,
resaci incessantemente dalla pruderie necrofila dei mass media, non può
oscurare l’essenza reazionaria del pontificato di Wojtyla e del suo grandioso
progetto di restaurazione che cerca di fare piazza pulita di oltre due
secoli di progresso ed emancipazione. Né può farci dimenticare
che l’emancipazione umana è, oltre che emancipazione sociale e politica,
emancipazione della ragione dai dogmi ciechi della fede.