di Maria Turchetto, "Lo straniero", N. 48, giugno 2004
Massimo Cacciari è un filosofo modesto. Sì, lo so, scrive
in modo pomposo, si dà del Lei e fa il primo della classe citando
tutto quello che ha letto e anche di più. Ma questa è la
forma. Nella sostanza, è modesto. Tant’è vero che delle tre
grandi domande della filosofia – chi siamo? dove andiamo? donde veniamo?
– osa porsi solo l’ultima: il problema dell’Inizio (maiuscolo, così
sappiamo che si tratta di discorsi filosofici e non di chiacchiere da bar).
Questo è il tema dell’ultima fatica di Cacciari, “Della cosa ultima”
(Adelphi).
“Conosci te stesso”, aveva detto un suo collega, un po’ di tempo fa.
“Cominciamo dall’Inizio”, ribatte giustamente Cacciari che da più
di dieci anni (il diretto antecedente di questo libro è – appunto
– “Dell’Inizio”, uscito nel 1990) lavora indefessamente intorno a questa
domanda fondamentale: da dove viene Massimo Cacciari? E lavora sodo, si
sbatte come un dannato per trovare la risposta – 554 pagine di arzigogoli
mentali in italiano, tedesco, latino e greco. Non dico che si fa in quattro,
perché si fa soltanto in tre: il libro è concepito come dialogo
(pardon, “trialogus”, cfr. p. 11) e scambio epistolare tra A., B. e C.
– tre simpatici chiacchieroni che si danno del Lei. “A. è latu sensu
l’autore – dico latu sensu poiché l’autore non sarebbe tale senza
B. e C.” (p. 9). Sì, avete capito bene: Cacciari è uno e
trino.
Questo fatto, per la verità, lo ha un po’ confuso nella ricerca.
La domanda chiave – da dove viene Massimo Cacciari? – tende spesso a slittare
nella questione – francamente oziosa – “da dove viene Dio”? “O non dovremmo
di nuovo chiederci ‘da dove’ Lui stesso? In precedenza la risposta al ‘da
dove’ si sarebbe potuta anche così formulare: dal Ni-ente che Dio
stesso è, dal Nihil sui. (Ma il Ni-ente come si dà a conoscere?
Se è Ni-ente, o ha il Ni-ente in sé, Dio ignorerà
se stesso [...]). Ma ora si tratta di Dio stesso, non della sua creazione
ad extra. ‘Da dove’ il suo volere se stesso? Egli non può non volersi.
Ma potrebbe volere l’esse di questa volontà?” (p. 348; scusate la
lunga citazione, ma volevo dare un saggio di come scrive il Nostro). Così
si perde tempo e basta. Queste sono elucubrazioni che sono già state
svolte in tutte le possibili pieghe dalla Patristica e dalla Scolastica:
non ha senso ripeterle, sono inutili digressioni che non interessano la
Modernità – figuriamoci la Postmodernità. Noi contemporanei
vogliamo sapere: da dove viene Massimo Cacciari?
Così a occhio, direi che Cacciari fa parte della creazione ad
extra – spero non s’offenda. Dunque Cacciari è creato da Dio – beh,
dico, non vorrete mica che discenda dalle scimmie, per caso, brutta razza
di miscredenti! In ogni modo, non è questo il punto. Non è
questa la risposta, o quantomeno non è la risposta completa. Da
dove di preciso viene Massimo Cacciari? Insomma, da dove è sbucato?
Vediamo.
“La provenienza dell’ente, il suo ‘nascimento’ primo, mai è
esauribile nella presenza determinata-determinabile, eppure è evidente
in essa e con essa. Che l’ente determinato ek-sista dall’‘immemorabile’
è qui-e-ora assolutamente evidente e tuttavia assolutamente non
determinabile” (p. 445). Dài, Cacciari, non scoraggiarti. Non scoraggiatevi
nemmeno voi, cari lettori che non avete seguito i corsi di Ermeneutica
degli Sproloqui Oscuri presso la Scuola Normale: sta semplicemente dicendo
che lui (Cacciari) esiste, dunque da qualche parte evidentemente dev’essere
venuto fuori, ma non se lo ricorda. Su, Cacciari, è naturale che
non te lo ricordi: chi ricorda la propria nascita – il proprio ‘nascimento’,
come dici tu? Ma ci puoi arrivare lo stesso, ti aiuto io. Forza, cos’è
questa cosa, la “cosa ultima”? “Ogni cosa è non altro da sé”
(p. 440). Giusto, ma – ti metto sulla strada – quella cosa è altro
da te. “L’apparire non è l’astrattamente altro di tale custodirsi
presso di sé proprio della cosa; ciò che appare è
appunto che il proprio della cosa, la singolarità del questo, si
nasconde” (p. 441). Sì, ci stai arrivando: di solito la tengono
ben custodita e nascosta, ma se ci sai fare... “Noi possediamo la cosa
quando ne abbiamo l’idea” (p. 443). No, Massimo, con l’idea ti fai solo
le seghe. “...celata in qualche sublime profondità, che un audace
tuffatore debba portare alla luce...” (p. 444). Ci sei, ci sei! “Ma cosa
pensiamo pensando così la cosa? La pensiamo nel suo ‘fondo’ saldissimo,
eterno, immortale. Il cieco occhio della filosofia così giunge a
‘ricordarla’, ‘dove’, nella sua stessa evidenza, alethôs, essa si
sottrae a ogni definizione, che necessariamente non può dirla se
non predicando di essa ciò che non è” (p. 448).
Eccolo, pensare che c’era quasi, mi si è perso di nuovo nei
suoi garbugli di parole. La TOPA, Cacciari, la risposta è la topa.
È di lì che vieni – è di lì che veniamo tutti.
E se a questo punto vuoi anche sapere chi sei e dove devi andare, dammi
pure un colpo di telefono – mica mi ci vogliono 554 pagine per fartelo
sapere.