di Tiziana Boari, "il Manifesto", 18 ottobre 2002
L'abbattimento del muro di Berlino nel 1989 avrebbe dovuto portare una
nuova era di pace e democrazia, secondo le speranze di molti, e invece
è stato l'inizio di una catena perversa di conflitti mondiali sempre
più pericolosi per l'umanità intera: l'Iraq, l'ex Jugoslavia,
l'Afghanistan e ora di nuovo l'Iraq, per non parlare dei conflitti «dimenticati»,
come quelli in corso nella Costa d'Avorio, in Liberia, in Sudan, in Colombia.
Chissà perché questi venti di guerra che spirano nel mondo
occidentale nei confronti dell'Iraq ricordano tanto situazioni del passato
ed errori da non ripetere, riserve da non tenere nei confronti della pace.
Nel frattempo, la macchina delle menzogne di guerra è ripartita
anch'essa puntuale, come ogni autunno. Ricordate una certa, esilarante
quanto tragica, filmografia americana degli ultimi anni, che denunciava
i meccanismi di disinformazione allo scopo di creare le guerre virtuali
fino a farle diventare reali? C'è da chiedersi se sia servita a
cambiare le coscienze, la consapevolezza delle strumentalizzazioni in atto,
a far aprire gli occhi. Così non appare in questi giorni del tutto
fuori luogo il contributo che fornisce alla loro comprensione, seppur guardando
alla guerra nella e contro la ex-Jugoslavia, il giornalista tedesco Jürgen
Elsaesser con il suo libro Menzogne di guerra (trad. Mara Oneta,
ed. «La Città del Sole»). Elsaesser, 45 anni, redattore
del mensile tedesco di sinistra Konkret, con un metodo che lui stesso
ha definito «da criminologo», ripercorre i passaggi essenziali
della campagna massmediatica che demonizzò Milosevic, l'imputato
numero uno del Tribunale Speciale dell'Aja che di brani di questo libro
(già tradotto in serbo e in uscita nella sua traduzione francese)
si è avvalso per la propria difesa. Malgrado il lavoro e lo sforzo
encomiabile, l'autore pecca di imprecisione filologica e bibliografica,
cade su alcune citazioni imprecise e su non poche approssimazioni che automaticamente,
con un effetto a domino, rendono il lettore scettico sulla credibilità
di tutte le altre interessanti informazioni riportate nel testo. Le operazioni
di controinformazione, per essere efficaci, ovvero considerate serie e
credibili, non possono permettersi scivoloni di questo tipo.
Il libro tratta in particolare le «menzogne di guerra»
che diffuse il governo tedesco per giustificare il primo intervento di
sue truppe fuori dai confini nazionali dalla II guerra mondiale. Ma si
inizia dalla Bosnia , dalle cifre ballerine sui morti di Srebrenica (1995)
fornite dall'allora ministro della difesa Rudolf Scharping: si parlò
di 30mila assassinati dalle truppe serbe, quando nell'estate del 2000,
alla luce degli ultimi dati e della improvvisa «resurrezione»
di circa 3.000 persone nelle liste degli elettori presentate dagli osservatori
elettorali dell'Osce in occasione delle elezioni del 1997, si parlò
invece di 3.000 vittime, ridimensionando l'episodio, uno dei numerosi capi
d'accusa contro i quali Milosevic è chiamato a difendersi proprio
in questi giorni dal Tribunale dell'Aja. Certo è che non sono le
cifre a due o tre zeri a fare la differenza su un crimine; è tuttavia
importante illustrare alcune dinamiche perché poi è comunque
sui numeri che si giocano alcune partite, che le guerre vengono approvate
dall'opinione pubblica.
Nel marzo 1999 non fu importante, anzi passò sotto silenzio
il dato di quei profughi, di tutte le etnie, che attraversarono alla spicciolata
il confine tra Kosovo e Macedonia, nei giorni che seguirono l'evacuazione
dell'Osce e precedettero i bombardamenti. Questione di qualche giorno,
è quello che pensavano tutti. Quanto fu abile e scaltra invece la
sovrapposizione semantica tra i treni piombati, le deportazioni, le vittime
sacrificali e la Pasqua cattolica che si celebrava di lì a poco
da una parte e i profughi kosovaro albanesi in fuga. Così, nel giro
di pochissimi giorni, coloro che fuggivano dalle bombe (e cominciarono
ad essere numerosi dal 30 marzo soltanto) e venivano evacuati per ragioni
di sicurezza divennero gli agnelli pasquali, vittime della ferocia serba.
A Pasqua scoppiò lo «scandalo» di Blace e in molti si
chiesero come mai l'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati non avesse previsto
una tale emergenza. Rimase un mistero, poco chiaro anche a coloro che in
quei giorni e poco prima in quei luoghi c'erano stati.
Di ben altro spessore e rigore scientifico è invece l'opera,
molto citata dallo stesso Elsaesser, del generale Heinz Loquai, già
consigliere militare presso la rappresentanza tedesca all'Osce, Il conflitto
del Kosovo. Percorsi di una guerra evitabile (Der Kosovo Konflikt.
Wege in einen vermeidbaren Krieg, Baden Baden 2000), uno studio e insieme
una testimonianza molto rigorosi nella trattazione dei documenti e della
storia più recente, un'opera alla quale dovrebbero andare le attenzioni
di un editore coraggioso e di un pubblico attento proprio perché
rilancia anche la proposta della creazione di una forza europea d'intervento
rapido preventivo per la risoluzione e la prevenzione dei conflitti, composta
da esperti civili, ben addestrati e pronti a essere dislocati dove necessario
con la stessa rapidità di dispiegamento delle truppe militari.
E' inquietante comunque rileggere oggi i meccanismi con i quali una
guerra ormai decisa da tempo fu resa «accettabile» all'opinione
pubblica mondiale. I tempi sono peggiorati rispetto ad allora, quando già
in molti si additava con sdegno alla palese violazione del diritto internazionale
che la guerra, angloamericana prima e Nato poi, contro uno stato sovrano
come la Federazione Jugoslava aveva rappresentato: il primo attacco militare
internazionale partito senza una risoluzione del Consiglio di Sicurezza
dell'Onu. Con l'attacco all'Afghanistan si passa alla fantomatica risposta
al terrorismo, alla «caccia all'uomo» (bin Laden che sembra
avere nove vite e il dono dell'ubiquità: roba da studi Disney...),
alla «guerra infinita». Si distrugge un paese per colpire un
individuo e i suoi adepti. Oggi andiamo verso lo stravolgimento completo
del diritto in quanto tale. Assistiamo al rovesciamento completo del principio
di presunzione di innocenza fino a prova contraria: oggi sono colpevoli
di terrorismo tutti quegli stati che sono sulla lista nera degli Usa e
sono colpevoli finché non provano, attraverso il loro assoggettamento
completo agli interessi economici e geopolitici americani, di essere «innocenti».
Gli Usa soffrono di una gravissima recessione economica, la guerra
è paradossalmente, come è sempre stata, un modo per salvarsi
dal disastro economico interno e per l'amministrazione Bush uno strumento
di propaganda politica. In Europa oggi è la Germania a dire fermamente
«No» alla guerra preventiva contro Baghdad. Lo dice anche la
Francia, ma la posizione tedesca oggi ha un valore diverso perché
fu proprio la Germania il primo paese Ue a cedere alle pressioni statunitensi
nel negoziato di Rambouillet che precedette la guerra contro la Federazione
Jugoslava. La guerra è evitabile, parafrasando Loquai, perché
è davvero una scelta: di mezzi, di modalità, di tempi. E
la consapevolezza del valore di una scelta di pace si sta facendo strada
nelle coscienze dell'Europa ogni giorno di più. Forse la lezione
del Kosovo è servita a qualcosa. A impedire che la menzogna entri
ancora una volta nella storia e diventi verità.