Bin Laden non è avanguardia, proprio di nulla

da "Battalia comunista", dicembre 2001


La guerra degli Usa in Afghanistan ha suscitato nel mondo tre diverse reazioni principali:
- una è quella degli amici veri o presunti degli Stati Uniti medesimi, di solidarietà e di connivenza nella gran mistificazione secondo cui quella guerra sarebbe “contro il terrorismo”;
- un'altra è quella di quanti, pur prendendo le distanze dal terrorismo e dal regime teocratico dei talebani, condannano l’intervento bellico in Afghanistan, vedendoci ragioni ben diverse dalla lotta al terrorismo, e reclamano la cessazione dei bombardamenti e … il ruolo attivo dell’ONU;
- la terza, minoritaria, ma non per questo del tutto nascosta, è quella di quanti condannano l’intervento americano come l’azione della grande potenza dell’Occidente - o addirittura come l’azione dell’Occidente/Nord  – contro l’Oriente/Sud del mondo per affermare il dominio incontrastato del primo contro il pericolo di una insorgenza del secondo, o addirittura contro l’attualità di quella insorgenza, identificata nell’attacco alle Twin Towers.
Alle prime due posizioni abbiamo dedicato e continuiamo a dedicare diversi articoli. Ci manca di esaminare e criticare a filo di classismo innanzitutto, e conseguentemente di marxismo, l’ultima posizione, sulla quale si ritrovano più gruppi e tendenze, altrimenti in antagonismo.
Su questa posizione si ritrovano innanzitutto coloro che da sempre identificano il male, l’assoluto del Male, negli Stati Uniti d’America. E’ naturale che chiunque muova contro il Male, rientri in qualche modo nel comparto del Bene e dunque meriti di essere inquadrato in rapporto con gli altri attori della titanica lotta.
Ritroviamo su questo terreno i nostalgici eredi, e più conseguenti, dello stalinismo sovietico. Prima c’era la lotta fra il socialismo sovietico e cinese e il capitalismo Nato, la quale lotta riassumeva entro di sé tutti gli scontri secondari (viene significativamente a mente il giochino maoista delle contraddizioni) e dunque anche quello fra i paesi avanzati – il Primo Mondo occidentale – e quelli del…. Terzo Mondo. Adesso il Secondo Mondo “comunista” si è – almeno per ora – eclissato e le contraddizioni che prima venivano riassunte/eclissate da quella principale fra Socialismo orientale  e capitalismo occidentale, tornano in primo piano. Il Terzo Mondo assume come tale, prima di ogni e qualsiasi altra qualificazione,  il ruolo “anti-imperialista” che una volta veniva svolto dalla Unione Sovietica e dalla Cina di Mao.
E’ evidente per chi mastichi un poco di marxismo e un poco di leninismo, che tutto ciò non ha nulla a che vedere con … quelli. Una delle tesi portanti dell’opera del vecchio Lenin (L’imperialismo, fase suprema… ) è proprio che l’imperialismo non è una politica, ma il modo d’essere del capitale moderno, già allora internazionalizzato. Mentre è reale e verificabile ovunque nel mondo la contrapposizione fra capitale e lavoro, fra borghesia e proletariato, non appartiene alla realtà un mondo diviso fra paesi imperialisti e paesi antimperialisti. L’uso stesso del concetto di Paesi è estraneo al marxismo, poiché gli Stati sono ovunque espressione del potere di una classe sull’altra. Lasciando da parte le polemiche sulla natura del passato (imploso) Stato sovietico,  resta il fatto che gli stati attuali sono espressione del potere delle classi dominanti sulle rispettive formazioni sociali più o meno avanzate, ma pur sempre capitalistiche. E allora lo scontro fra Paesi, fra stati, è scontro fra le rispettive borghesie, ovvero è scontro interno alla classe borghese. Tutti i paesi, tutti gli stati e tutte le borghesie operano all’interno del medesimo quadro imperialista. Ovviamente ci sono i più forti e i più deboli, quelli che impongono le proprie ragioni e quelli che le subiscono. Ma il proletariato, e masse dominate e oppresse, subiscono le “ragioni” degli uni e degli altri, subiscono (anch’essi a diversi livelli di intensità e in forme diverse) la medesima oppressione che il capitale esercita sul lavoro.
Vedere dunque nella lotta – di attacco o di resistenza – degli stati del cosiddetto Sud una espressione specifica della generale lotta contro l’imperialismo (il capitalismo nella sua fase imperialista) pur sempre riconducibile alle ragioni, e alle strategia di questa, è del tutto fuori dall’abc del classismo e del marxismo. Una notazione, che fa parte delle nostre Tesi ma che vale la pena sottolineare qui, riguarda le posizioni di Lenin a Baku e nei primi congressi dell’Internazionale, che non possiamo oggi condividere. La riassumiamo schematicamente:
a) Lenin ragionava nella situazione in cui esisteva (ancora) uno stato operaio, punto di riferimento internazionale della classe operaia e possibile centro di irradiazione di una strategia antimperialista che, sotto la guida appunto della Internazionale, avrebbe potuto trascrescere in rivoluzione proletaria anche nei paesi “coloniali e neo-coloniali” di allora;
b) La non riuscita di quella tattica (di appoggio temporaneo alla “borghesia nazionale antimperialista”) anche in quelle condizioni è una ulteriore dimostrazione del fatto che non esistono politiche rivoluzionarie sostitutive della assoluta autonomia proletaria dalle politiche borghesi, tanto più in epoca imperialista.
Nella guerra attuale è di evidente gravità non vederne le ragioni “interimperialistiche” per sognarsi una strategia di attacco degli Usa al Sud del mondo, in vista di un generico dominio americano globale oppure avente come scopo la sconfitta e l’annichilimento delle “energie antimperialiste” del Sud. E’ grave per chi si pretende marxista, non vedere le stringenti ragioni anti-europee e non solo anti-europee del capitale americano e di difesa della propria rendita petrolifera, alla base dell’intervento USA, tanto più nelle forme in cui si manifesta in rapporto con gli antichi alleati NATO. Ancora una volta si tradisce così l’insegnamento profondo di quel Lenin di cui ci si vuole discepoli. Se gli Usa, infatti, vengono visti solo come capifila di un serrato fronte imperialista occidentale, considerato come elemento di novità nella storia del capitalismo, siamo alla riaffermazione appunto di quel super-imperialismo dileggiato dal maestro.
Ancora più grave è vedere negli attacchi alle Twin Towers il prodotto, estremo quanto si vuole, della reazione popolare arabo-islamica ai misfatti dell’imperialismo americano.
E’ evidente che tali misfatti sono reali; è altrettanto un fatto che la popolazione dei paesi arabo-islamici, come di tanti altri, sia arcistufa e indignata con gli statunitensi (gli odiati gringos, per i latinoamericani); è anche vero che i suicidi per quel mega-attentato sono reclutati fra quanti vivono nella miseria indotta dall’imperialismo stesso e che spinge al fanatismo; ma attribuire ai ricchi organizzatori il ruolo di esponenti della rivolta, quando non addirittura di avanguardie della rivolta delle masse popolari contro l’imperialismo, è inqualificabile miopia politica.
Quando poi a sostenere di quelle posizioni troviamo organizzazioni e uomini che si dicono internazionalisti,  non resta che dichiarare forte e chiaro che costoro si mettono definitivamente fuori (se mai sono stati dentro) non solo dalla sinistra comunista ma dal terreno di classe.