Piero Bevilacqua , "il manifesto", 6 giugno 2012
Che cosa ha fatto finora il ministero dell’Università per la
mancanza di fondi di ricerca, borse di studio, assegni per laureati, dottorati,
Ph.d e master, deficit che buttano nella disperazione i nostri studenti
e ricercatori? Nulla, però annuncia la svolta meritocratica. In
realtà, ciò che preme a Profumo è creare delle élite
per il mercato. E basta.
Ma come fa il sottosegretario all’Università e alla Pubblica
Istruzione, Marco Rossi Doria – su Repubblica del 4 giugno – a lodare il
ministro Profumo per le sue recenti proposte sulla scuola e sull’Università
del merito? Ma non si accorge che quanto sostiene il suo ministro è
il rovesciamento e il dileggio di tutto ciò che egli ha fatto per
una vita come maestro di strada per i vicoli di Napoli? Sostiene Profumo
che nell’Università verrà premiata una piccola percentuale
dei laureati più bravi, segnalata alle imprese che saranno incentivati
ad assumere tra questi pochi eletti. E tutti gli altri? Tutti gli altri
si devono sentire degli sconfitti, “demeritanti”, e devono accettare la
loro condizione di senza futuro. È questa la grande trovata: l’incapacità
odierna delle società capitalistiche di valorizzare le energie intellettuali
di massa della nostra gioventù deve essere percepita come una colpa
individuale da ciascuno dei perdenti. Così si neutralizzano le loro
frustrazioni. Si capovolge la realtà e si rovesciano le responsabilità.
Ma lo sa Rossi Doria, lo sa Profumo che oggi migliaia di nostri giovani,
detentori con pieno merito di lauree, dottorati, Ph.d, master ecc. sono
gettati nella più cupa disperazione per mancanza di fondi di ricerca,
borse di studio, assegni, oltre che per l’assenza anche della più
modesta prospettiva di lavoro? Quali risorse ha messo a disposizione il
ministero dell’Università per questo enorme potenziale di intelligenze
e di energie che languiscono? Nulla. Crede, Profumo, che il riconoscimento
del merito arriva oggi con lui e che i titoli accumulati dai nostri ragazzi
negli ultimi anni siano frutto di clientelismo baronale? E come mai questi
ragazzi primeggiano in tutte le Università e centri di ricerca appena
mettono il naso fuori dai confini nazionali?
Ma il problema, in Italia, è premiare i più bravi, cosa
che in realtà neppure avviene, o portare il più gran numero
possibile di nostri ragazzi a diventare davvero bravi? Dov’è lo
sforzo finanziario per rendere il premio al merito un riconoscimento degli
sforzi individuali e non l’ulteriore consacrazione delle disparità
di partenza dei ragazzi, delle differenze di classe, che in Italia confermano
una spaccatura di fortune familiari fra le più laceranti dell’Occidente?
Gli unici soldi promessi dal governo riguardano quelli annunciati dal ministro
Barca per le scuole del Sud e per il terzo settore di quelle regioni. Non
mi sembrano in cima alle preoccupazioni e agli sforzi del ministro Profumo.
Perfino nel Pd se ne sono accorti, ed è un segno che dice tanto.
In cima alle preoccupazioni del ministro c’è in realtà
la volontà di creare delle élite per il mercato – come ha
ben ricordato Silvia Niccolai sul manifesto del 3 giugno – accrescendo
la mercificazione del sapere, tutto finalizzato a rispondere alle esigenze
delle aziende, a creare soldati scelti nella guerra per la nuova divinità
che mangia i suoi figli: la crescita.
Ma l’idea dei “giochi olimpionici” della bravura nella scuola, l’istituzione
della figura dello “studente dell’anno” costituiscono un’ipotesi davvero
grottesca a cui non sono mancate le critiche. Al confronto i Littoriali
della cultura e dell’arte, organizzati dal fascismo negli anni ’30, erano
esibizioni meno individualistiche e competitive. Ma si è chiesto
il ministro – portatore di una cultura inguaribilmente tecnocratica – che
cosa succede alla formazione di bambini e adolescenti per i quali l’apprendimento
deve diventare un mezzo per primeggiare, un modo per prevalere sui compagni?
E che cultura è quella che deve servire a “vincere”. E che cosa
accade nelle psicologia di questi ragazzi, quale torsione agonistica subisce
la formazione in una fase della vita nella quale la coscienza dovrebbe
essere plasmata dai valori della cooperazione e della solidarietà?
Vogliamo avvelenare le comunità scolastiche con competizioni, invidie
e soprusi? Vogliamo preparare i nostri ragazzi a diventare pescecani dai
denti affilati per un mondo concepito come pura arena di competizione economica?
Negli Stati Uniti, negli anni ’90, molte scuole elementari hanno abolito
la pausa della refezione per non far perdere tempo agli allievi, per rendere
i bambini more productive. Testuale. Si vede il gran successo che gli Usa
hanno raccolto.
Il ministro Profumo vuole continuare su questa strada? Vogliamo che
sin nelle nostre prime istituzioni formative siano diffusi i valori della
gara, della competizione, della vittoria, simulazione e mimesi della guerra?
Ricordo che sono queste idee che hanno dominato la scena negli ultimi 30
anni, hanno innervato i valori collettivi e hanno condotto le società
al presente disastro. Eppure dovrebbe essere evidente che sono i paradigmi
della cooperazione quelli che aiutano i gruppi e le società a conseguire
i migliori risultati. Questo è evidente da tempo nel campo della
ricerca e della scienza. È la concertazione fra vari saperi il segreto
di scoperte e innovazioni e non la semplice genialità individuale.
Allo stesso modo nelle imprese, che stanno tanto a cuore al ministro, dove
si raggiungono risultati grazie al contributo cooperativo di tutti i reparti.
E come non vedere che analoga logica fa premio nella società tutta
intera?
Che pena, ministro Profumo! Vedere paesi tanto ricchi governate da
élite con idee tanto povere, che esaltano, in mezzo all’opulenza
e allo spreco, i valori guerrieri per tenere in piedi un progetto di società
ingiusta e fallimentare. Quanto è sfortunata l’Italia, a cui, in
tutta la storia repubblicana, è capitato in sorte, salvo qualche
apprezzabile eccezione, un ministro della Pubblica istruzione peggiore
del precedente.