di Francesco Berti, "A rivista anarchica", N. 280, aprile 2002
Gli apostoli di turno che apprezzano il martirio
lo predicano spesso per novant'anni almeno.
Morire per delle idee sarà il caso di dirlo
è il loro scopo di vivere, non sanno farne a meno.
E sotto ogni bandiera li vediamo superare
il buon matusalemme nella longevità
per conto mio si dicono in tutta intimità
moriamo per delle idee, va be', ma di morte lenta
ma di morte lenta.
Brassens-De André,
"Morire per delle idee"
C'è solo una cosa su cui concordo con Tobia Imperato, forse.
Probabilmente, è sbagliato scrivere che tra i rivoltosi che componevano
– o che sono stati identificati con – il "blocco nero" non vi fossero anche
anarchici. Non esiste un unico modo, "politicamente corretto", di essere
anarchici, né esiste un "decalogo", come lo chiama Imperato, del
comportamento del buon anarchico. L'anarchismo è pluralista, e ci
sono diversi modi di pensarsi e di essere anarchici. Tuttavia, il fatto
che il discrimine non sia dato da un decalogo non significa che non ci
sia. Se, per esempio, un giorno esco di casa e stupro una bambina, rivendicando
questa azione come anarchica, è chiaro che questo mio comportamento
e questa mia rivendicazione di appartenenza non fanno di me un anarchico.
Non tutti i comportamenti e non tutte le posizioni sono dunque anarchiche:
occorre che rientrino in quel "codice" non scritto come tale, certo flessibile,
ma fino ad un certo punto, che fa parte della cultura e della tradizione
dell'anarchismo.
Nel suo articolo, Tobia si sforza di dimostrare che le azioni del "blocco
nero" o di come lo si voglia chiamare rientrano pienamente proprio in ciò:
nella cultura, nella tradizione, nella pratica anarchica, o, come sarebbe
più corretto dire, di un certo anarchismo. Può darsi che
abbia ragione. A me, comunque, è una questione che interessa fino
ad un certo punto. Il punto vero, infatti, per me è stabilire se
quel tipo di azioni siano giuste e utili, non se siano anarchiche.
Può darsi che mettere bombe in un caffè "borghese", come
fecero alcuni anarchici "individualisti" in Francia alla fine dell'Ottocento,
sia un tipo di "pratica" perfettamente giustificabile dal un punto di vista
di un certo anarchismo: resta il fatto che per la mia etica è una
azione aberrante, e ho tutto il diritto di non riconoscermi in questo modo
di intendere l'anarchismo e la lotta politica. Così, del resto,
ho tutto il diritto di cercare di persuadere gli anarchici della inutilità
e della ingiustizia anche di altri tipi azioni, certo molto differenti,
come ho pieno diritto di invitare gli altri anarchici ad isolare questo
tipo di comportamenti e le teorizzazioni ideologiche che li motivano. Questo
era il senso di quel comunicato: "noi" ci riconosciamo in un tipo di anarchismo
che non ha nulla a che spartire con certe azioni, "noi" non vogliamo avere
nulla a che fare con gli individui che giustificano e praticano un certo
tipo di azioni. È questo il senso della frase "fare piazza pulita"
che Imperato contesta: quello di invitare ad approfondire una divisione
che di fatto esiste già da molti anni, e a rimarcare con forza questa
divisione, in modo che non ci siano spazi di ambiguità.
Vorrei ora brevemente analizzare alcune frasi dell'articolo di Imperato:
non per dimostrare che lui non è un anarchico, ma per rimarcare
che, sicuramente, c'è un abisso ormai incolmabile tra un certo modo
di intendere l'anarchismo, nel quale mi riconosco, come penso si riconoscano
Francesco Codello e tutti quelli criticati da Tobia, e un altro, nel quale
invece si identifica Imperato. Una distanza così netta che mi fa
ritenere che questi due modi di intendere l'anarchismo abbiano in comune
solo il nome.
Agnoletto, Casirini e...
Anzitutto, contesto l'idea che il "lanciare sassi agli sbirri", come
scrive Imperato, sia un semplice gesto di autodifesa, di per sé.
Se ciò accade in seguito ad una carica della polizia, posso ammettere
che rientri nel concetto di autodifesa; se ciò accade perché
inizio io a tirare i sassi, mi sembra che questo comportamento rientri
nel concetto di offesa, più che di autodifesa: almeno se le parole
hanno un senso, e non vengono usate per coprire la verità.
Quanto al fatto di andare alle manifestazioni incappucciati, esprimo
la mia totale perplessità rispetto a queste pratiche. Gaetano Bresci,
e come lui molti attentatori anarchici, agivano da individui, assumendosi
la responsabilità delle loro azioni. Partecipare alle manifestazioni
col cappuccio mi pare invece sia l'esatto opposto: non volersi prendere
nessuna responsabilità. Capisco bene che nessuno vuole essere denunciato,
ma bisogna essere consapevoli del fatto che l'andare in giro incappucciati
e armati di spranghe fa pensare ad una formazione paramilitare piuttosto
che ad un gruppo di persone che, se anarchiche, dovrebbero riconoscersi
in valori antimilitaristi.
Ancora: Imperato scrive che "il paventato Black Bloc non è stato
altro che un'invenzione mediatica". Può darsi. Resta il fatto che
alcune centinaia di individui hanno compiuto quelle azioni che sono state
attribuite, per comodità, per ipocrisia o altro, a tale agglomerato
di persone. Oppure anche queste azioni sono un'invenzione mediatica? Non
nascondiamoci dietro i nomi, per piacere. Io non penso che quelle centinaia
o migliaia di persone fossero infiltrate o provocatrici. Penso che abbiano
fatto cose sbagliate e dannose: che è un altro discorso.
Quanto al fatto che il movimento non appartenga ai vari Agnoletto e
Casarini, anche questo mi sembra un concetto non corretto. Certo, la loro
volontà di egemonizzare il movimento va ostacolata: in fondo, sono
i soliti vecchi leninisti, e personalmente, quando sento parlare Luca Casarini
provo un senso di pena per la sua pochezza intellettuale e di estremo fastidio
per la sua marpioneria militante. Ma credo che il movimento appartenga
anche a loro: mi pare che il social forum abbia mobilitato decine
di migliaia di persone, o sbaglio? Infinitamente molto di più di
altri.
Un altro punto. Imperato invita "bakuninianamente" a comprendere le
dinamiche della rivolta: "Quel momento magico in cui anche quelli che sino
al giorno prima non si interessavano alle idee rivoluzionarie prendono
improvvisamente coscienza e si mettono in gioco, sino a lasciarci la pelle".
Non so se Bakunin abbia scritto una frase simile a questa. A me comunque
fa paura e disgusto insieme, perché mi sembra il pensiero di un
talebano. Si tratta di una manifestazione di puro fanatismo, e io, da libertario,
osteggio tutti i fanatismi, compreso quello "anarchico". Non ci trovo niente
di "magico" nel fatto che un individuo si immoli per la causa sino a lasciarci
la pelle. Mi pare una cosa tragica, molto tragica. Dubito poi che una persona,
come per illuminazione divina, diventi anarchica, prenda "improvvisamente
coscienza", partecipando ad una manifestazione, o lanciando un sasso agli
"sbirri". Imperato mi sembra identificare, qui e in tutto l'articolo, il
ribellismo con l'anarchismo.
Ma quale "popolo insorto"?
Quanto al concetto di rivolta, io mi ritrovo molto in quello espresso
da Albert Camus, che mi sembra ben più profondo e più problematico
che non la rivolta che coincide con lo spaccare le vetrine delle banche
oppure con il dare alle fiamme le macchine. Ognuno, evidentemente, sceglie
il concetto di rivolta, e di pratica di rivolta, che più gli si
addice. Per quanto mi riguarda, la necrofilia mistica ed estetizzante della
frase succitata mi fa ribrezzo, perché contiene un disprezzo, che
giudico vergognoso, della vita umana. Mi fa paura, perché per me
il "prendere coscienza" significa il divenire critici, critici di tutto,
anche – anzi: in primo luogo – delle proprie idee. Prendere coscienza per
me significa acquistare una coscienza, farsi una coscienza: non vedo come
si possa prendere coscienza nel momento in cui si perde il lume della ragione
ed, anima e corpo, ci si consacra ad una causa – pardon, rivolta – perdendo
ogni spirito di critica, autocritica ed indipendenza intellettuale; prima
di perdere anche la vita.
Da ascrivere a questa visione mistica è anche una espressione
contenuta in una delle ultime frasi. "A Genova hanno parlato i fatti.
Gli anarchici (non tutti, purtroppo) sono stati presenti in piazza,
col popolo insorto, con i giovani in azione". Come si fa ad identificare
qualche migliaio di "insorti" giunti da tutta Europa con il popolo? Di
quale popolo parla Imperato? Dei "no global" non può essere, perché
la maggioranza dei partecipanti non si riconosceva nelle azioni degli "insorti".
Lo hanno detto a chiare lettere. Del popolo italiano o di quello europeo
nemmeno. Ma dove vivi, e, soprattutto, quando e in che periodo vivi, caro
Tobia?
Infine, veniamo all'ultimo punto, il più importante. Imperato
si commuove nel vedere "una banca devastata, con le A cerchiata tracciate
sul muro". Il suo cuore, di fronte a tali immagini, si scalda e tutto ciò
lo convince. Che sensibilità delicata! Chissà cosa ne pensa
il popolo di tutto ciò: quello vero, che non coincide affatto con
l'infima minoranza "insorta". Andate a parlare di anarchia alla gente comune
- perché è quella che bisogna convincere se si vuole cambiare
questa società - dopo la guerriglia di Genova. Constatate con mano
quanta credibilità hanno acquisito gli anarchici dopo quei fatti.
Io ho l'impressione che il popolo vero, per la maggior parte, di fronte
a tali immagini di devastazione, non si sia affatto convinto, e che il
cuore di milioni di persone non si sia affatto scaldato. Ma forse il vero
rivoluzionario se ne frega di quello che pensa la gente comune, forse queste
sono solo "menate".
Il popolo è insorto...mandando al governo Berlusconi, Fini e
Casini. Ancora: ma dove vivi, Tobia Imperato?
Egli infine, rimprovera al movimento anarchico di essersi "ammosciato".
Di fronte a questo "ammosciamento generale" si compiace che lo spirito
di rivolta continui "a serpeggiare fra le giovani generazioni, e, diversamente
dai decenni passati, si tinge di un nero libertario e liberatorio". Per
me quel nero del "blocco nero" comunicava solo disperazione, e per ciò
mi ha messo una infinità tristezza, mentre a milioni di persone
ha fatto venire una grande rabbia. Dunque, sarebbero queste giovani generazioni
a tenere alto l'Ideale: siamo messi bene! Prevedo un grande sviluppo per
il movimento anarchico nei prossimi decenni...
Il fatto è che io penso esattamente il contrario: penso che
se il movimento anarchico è così poco incisivo, è
proprio perché, tra le altre cause, nella sua maggioranza non si
è "ammosciato"; perché, di fronte al venir meno, negli ultimi
cinquant'anni, delle tensioni rivoluzionarie, di fronte alle disfatte subite,
di fronte alle smentite che la storia ha dato ad alcune sue pretese "verità",
di fronte infine a una società completamente diversa da quella nella
quale era nato e si era sviluppato, non si è saputo "adattare":
mantenendo saldi i princìpi di fondo e mutando strategia e tattica,
adattandola ai tempi nuovi, cercando e proponendo poi di conseguenza un
programma di cambiamenti graduali, concreti e attuabili nel breve periodo,
alternativi a quello della rivoluzione violenta e insurrezionale. Invece
ha continuato a predicare "o tutto o niente", e i risultati sono sotto
gli occhi di tutti.
Dubito che buona parte degli anarchici attuali voglia davvero fare
i conti con la propria storia e con i propri errori; dubito fortemente
che, a breve termine, si sappia e si voglia fare quella revisione necessaria
a restituire linfa vitale all'anarchismo. Ci vorranno probabilmente altre
generazioni, perché si tratta, dal mio punto di vista, di un cambiamento
molto forte, nel pensiero e nell'approccio stesso con la vita, oltre che
con la politica.
In mezzo a tutti questi dubbi, una delle poche certezze è proprio
questa: che la rivitalizzazione del pensiero anarchico e delle pratiche
libertarie non avverrà certamente per opera di gruppuscoli di guerriglieri
metropolitani. Oggi si firmano con la A cerchiata, ieri con la sigla autonomia
operaia, domani con un'altra sigla. È una moda, come tante: del
resto, siamo nella società dello spettacolo, e la cosa più
triste è che questi contestatori globali dello spettacolo mondiale
non si rendono conto di recitare una parte, al pari di altri. Che essi
si autodefiniscano anarchici non vedo cosa cambi nella sostanza, se non
il fatto di allontanarci e di estraniarci ancor più dal popolo;
sempre, naturalmente, che ne esista ancora uno degno di questo nome. Della
qual cosa ho molti dubbi.
Francesco Berti