Marco Bascetta, "il manifesto", 22 maggio 2007
Nella sua foga securitaria, domenica la Repubblica ha superato se stessa. Al centro della prima pagina il seguente titolo: «Il terrorismo non è stato estirpato». Nell'articolo che seguiva ci si sarebbe ragionevolmente attesi che si riferisse di attentati, della scoperta di depositi di armi, o di piani criminosi con finalità politiche. Ma già il sottotitolo chiariva l'oggetto di tanto allarme : «215 casi di minacce e di insulti». Si trattava di scritte murali sul genere «Digos boia», qualche slogan minaccioso, qualche stella a cinque punte, sparpagliati in un paese di 58 milioni di abitanti, rissoso, roboante e incline alle pasquinate per antica tradizione. Un paese in cui forze parlamentari, passate anche per il governo, non molto tempo addietro agitavano cappi in aula ed esibivano bossoli e proiettili promessi alla magistratura. Onestamente si dichiarava nell'articolo che il ministro degli interni Giuliano Amato, riferendo di questa ondata di insulti contro le forze dell'ordine, non aveva mai pronunciato la parola «terrorismo», parlando, più genericamente, di «mala erba». E' dunque tutto merito del quotidiano di Ezio Mauro aver individuato la vera natura del pericolo che incombe. Se si trattasse della incapacità di distinguere tra una reale minaccia eversiva e l'espressione, mai sopita, di ostilità, sia pur primitiva e digrignante, contro l'ordine costituito e i suoi tutori, già si tratterebbe di una grave mancanza di serietà. Una scritta murale, in fin dei conti, non è che una scritta murale. Fatto sta che l'allarme sociale viene utilizzato oggi, incuranti dei dati statistici e di una equa considerazione dei fatti, per ottenere spregiudicatamente effetti politici spesso del tutto estranei alla sicurezza dei cittadini. Quando non indirizzati direttamente a danneggiarla con la riduzione di libertà, diritti e garanzie. Un simile uso dell'allarme sociale, questo sì, è assimilabile, almeno sul piano metodologico a una forma di «terrorismo» mediatico. A Eugenio Scalari, che con passione continua tra i pochi a perseguire e coltivare l'argomentazione razionale (che se ne condividano o meno le conclusioni) verrebbe da chiedere di richiamare il giornale da lui fondato a un maggiore rispetto della ragione e della misura.