Dante Barontini, www.contropiano.org, 12 aprile 2012
A che servono i vecchi? A nulla, risponde il nuovo capitalismo. Sono
soltanto un costo, ovviamente da abbattere. In senso fisico.
Stiamo esagerando, potreste pensare. E invece no. L'ultimo Outlook
pubblicato ieri dal Fondo Monetario Internazionale - che certo non è
un'istituzione di beneficienza - recita papale papale: «i rischi
connessi a un aumento dell'aspettativa di vita sono molto alti: se entro
il 2050 la vita media dovesse aumentare di tre anni più delle stime
attuali, aumenterebbero del 50% i giá elevati costi» dei sistemi
di welfare.
Non sia mai detto...
Se volessimo, per semplicità, ragionare in un'ottica solo italiana,
potremmo a questo punto tirare le conclusioni di un lungo percorso che
va dalla prima delle innumerevoli riforme delle pensioni (Dini, 1996) fino
all'attuale "riforma del mercato del lavoro". Tutte modifiche motivate
con la "necessità di parametrare l'età pensionabile con le
aspettative di vita", si diceva, in modo da ?non scaricare i costi sulle
generazioni future".
Ora apprendiamo che proprio il prolungamento della vita media - un
effettodiretto del welfare post-bellico, fatto di istruzione, sanità,
pensioni, limiti allo sfruttamento in termini di orari, ferie, ecc - è
il problema.
Badate. Il Fmi non parla dell'Italia, ma dell'Occidente capitalistico,
dei paesi più industrializzati. Parla di una civiltà che
viene definita "economicamente incompatibile" con il sistema di produzione
e distribuzione esistente. Una way of life venduta per quasi 60 anni come
il migliore dei mondi possibili, che era servita a tenere lontani (e minoritari)
i fantasmi della Rivoluzione, stemperando in "riformismo" le rivendicazioni
del movimento operaio.
Tutto finito, inutile, ingombrante, costoso. Il nuovo "modello sociale"
dovrà esse plasmato sui criteri della "competitività", quindi
sul lavoro flessibile, pagato poco, senza "inutili rigidità" come
quelle garantite dai diritti. Senza servizi sociali o miracolose attese
per "la vita dopo il lavoro". Il "ciclo di vita" capitalisticamente "virtuoso"
si deve consumare per intero dentro la fase "produttiva"; il dopo non è
un problema del capitale e dell'economia. Se hai una struttura familiare
e rendite che ti possano garantire, bene; altrimenti spegniti senza dare
fastidio ulteriore, senza pretendere cure, reddito, casa, assistenza pubbliche.
Che questo modo di procedere sia anche economicamente utile, è
dubbio.
Sedetevi la mattina davanti al principale dei monumenti cittadini e
osservate bene le code di turisti che l'attraversano. Vedrete orde di pensionati
ex lavoratori dipendenti, ex insegnanti, ecc. Abbattere i livelli di reddito
dei pensionati "occidentali" (giapponesi compresi, ovviamente) avrà
ricadute immediate sul turismo di massa e l'indotto sconfinato che questo
genera. Dalla ristorazione alle strutture alberghiere, dalle compagnie
aeree low cost agli ambulanti, fino ai "centurioni" del Colosseo.
Possiamo agevolmente prefigurare la scomparsa di decine di professionalità
di servizio: dai dietologi ai personal trainer, dai centri benessere ai
negozi "bio".
Ma si tratta di un "dimagrimento sociale" perseguito lucidamente, non
tanto di conseguenze inattese di politiche insensate. La ragione di fondo
sta nella causa vera della crisi: sovraproduzione di capitale. Che non
significa affatto - come tanti lettori di Marx per sentito dire credono
- semplice "sovraproduzione di merci". Il Capitale, infatti, comprende
certo i soldi, i macchinari, le merci, i servizi, i trasporti, ecc. Ma
anche le persone fisiche. Quelle che entrano nel processo di produzione
sotto la voce di capitale variabile. E che ci entrano come sorgente da
cui estrarre plusvalore, certamente; ma che rappresentano pur sempre -
per il capitalista - anche un costo.
In tempi di crisi, tenere gente in vita è più un costo
che un'opportunità. Certo, ai bei tempi tutto sarebbe stato risolto
con una bella guerra, che consentiva di spianare capitale altrui (ricchezza
accumulata, macchine, merci, persone, ecc) distruggendone anche, in parte,
del proprio.
Purtroppo, la proliferazione nucleare ha di fatto tolto di mezzo questa
possibilità: l'esito finale. In termini di distruzione di capitale,
rischia di essere decisamente ecccessivo. I "nemici di comodo" che di volta
in volta possono essere investiti con la potenza distruttiva accumulata
- i Gheddafi, gli Assad, i Saddam - sono ben poca cosa rispetto alle quantità
che andrebbero eliminate per rilanciare l'accumulazione.
Quindi la guerra "per l'eliminazione della capacità produttiva
in eccesso" si introverte all'interno stesso dei paesi industrializzati.
O imperialisti che dir si voglia. Diventa guerra contro la propria popolazione
in eccesso, contro i "privilegi" che ne hanno fatto salire in modo così
pericoloso l'età media, le "aspettative di vita".
E' una guerra che può anche non richiedere l'uso delle armi.
Basta "esodare" centinaia di migliaia di persone all'improvviso. Magari
ogni anno o giù di lì.
Se li "lasciamo fare", è quello che faranno. Lo stanno già
facendo.