Mustafa Barghouti, "il manifesto", 31 dicembre 2008
E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita
la tregua.
Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento
falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la differenza tra la
pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? E i bambini consumati dalla
malnutrizione, a quale conto si addebitano?
Muore di guerra o di pace, chi muore perchè manca l'elettricità
in sala operatoria? Si chiama pace quando mancano i missili - ma come si
chiama, quando manca tutto il resto?
E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è
solo un attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di autodifesa.
La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro razzi
di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà precisato
naturalmente, che no, questo non è un attacco contro i civili -
e d'altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che chiacchierano
di Palestina, qui all'angolo della strada, sono per le leggi israeliane
un nucleo di resistenza, e dunque un gruppo illegale, una forza combattente?
- se nei documenti ufficiali siamo marchiati come entità nemica,
e senza più il minimo argine etico, il cancro di Israele?
Se l'obiettivo è sradicare Hamas - tutto questo rafforza Hamas.
Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della democrazia, a
bordo dei caccia tornate poi a strangolare l'esercizio della democrazia
- ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi esploda addosso improvvisa.
Non è il fondamentalismo, a essere bombardato in questo momento,
ma tutto quello che qui si oppone al fondamentalismo. Tutto quello che
a questa ferocia indistinta non restituisce gratuito un odio uguale e contrario,
ma una parola scalza di dialogo, la lucidità di ragionare
il coraggio di disertare - non è un attacco contro il terrorismo,
questo, ma contro l'altra Palestina, terza e diversa, mentre schiva missili
stretta tra la complicità di Fatah e la miopia di Hamas. Stava
per assassinarmi per autodifesa, ho dovuto assassinarlo per autodifesa
- la racconteranno così, un giorno i sopravvissuti.
E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile
qualsiasi processo di pace, gli israeliani, purtroppo, non hanno qualcuno
con cui parlare. E effettivamente - e ma come potrebbero mai averlo, trincerati
dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto - perchè mai
dovrebbero averlo, se la Road Map è solo l'ennesima arma di distrazione
di massa per l'opinione pubblica internazionale? Quattro pagine in cui
a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi terroristici, e in
cambio, si dice, Israele non intraprenderà alcuna azione che
possa minare la fiducia tra le parti, come - testuale - gli attacchi contro
i civili. Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è
un crimine di guerra non una questione di cortesia. E se Annapolis è
un processo di pace, mentre l'unica mappa che procede sono
qui intanto le terre confiscate, gli ulivi spianati le case demolite,
gli insediamenti allargati - perchè allora non è processo
di pace la proposta saudita? La fine dell'occupazione, in cambio del riconoscimento
da parte di tutti gli stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno
di reazione? Qualcuno, là, per caso ascolta, dall'altro lato del
Muro?
Ma sto qui a raccontarvi vento. Perchè leggerò solo un
rigo domani, sui vostri giornali e solo domani, poi leggerò solo,
ancora, l'indifferenza. Ed è solo questo che sento, mentre gli F16
sorvolano la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io
conosco nome a nome, vita a vita - solo una vertigine di infinito abbandono
e smarrimento. Europei, americani e anche gli arabi - perchè dove
è finita la sovranità egiziana, al varco di Rafah,
la morale egiziana, al sigillo di Rafah? - siamo semplicemente soli. Sfilate
qui, delegazione dopo delegazione - e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca,
le parole restano nell'aria, come sugheri sull'acqua. Offrite aiuti umanitari,
ma non siamo mendicanti, vogliamo dignità libertà ,
frontiere aperte, non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E invece
arrivate, indignati e partecipi, domandate cosa potete fare per noi. Una
scuola? Una clinica forse? Delle borse di studio? E tentiamo ogni volta
di convincervi - no, non la generosa solidarietà , insegnava Bobbio,
solo la severa giustizia - sanzioni, sanzioni contro Israele.
Ma rispondete - e neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello squilibrio,
partigiani dei vincitori - no, sarebbe antisemita. Ma chi à più
antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per sessant'anni, fino
a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per gli ebrei, o
chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi i lati? Rileggere
Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi palestinesi
la sua schiuma della terra, è antisemita tornare a illuminare le
sue pagine sul potere e la violenza, sull'ultima razza soggetta al colonialismo
britannico, che sarebbero stati infine gli inglesi stessi? No, non è
antisemitismo, ma l'esatto opposto, sostenere i tanti israeliani che tentano
di scampare a una nakbah chiamata sionismo. Perchè non è
un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altro Israele, terzo
e diverso, mentre schiva il pensiero unico stretto tra la complicitè
della sinistra e la miopia della destra.
So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna
autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza. Tutto questo si chiama solo
apartheid - e genocidio. Perchè non importa che le politiche israeliane,
tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le definizioni delicatamente
cesellate dal diritto internazionale, il suo aristocratico formalismo,
la sua pretesa oggettività non sono che l'ennesimo collateralismo,
qui, che asseconda e moltiplica la forza dei vincitori. La benzina di questi
aerei è la vostra neutralità , è il vostro silenzio,
il suono di queste esplosioni. Qualcuno si sentì berlinese, davanti
a un altro Muro. Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?